Stampa
Visite: 8043

Valutazione attuale: 5 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella attiva
 

>Alesa da Vercingetorige ad Arcònide

ovvero Il prezzo della libertà

Peristilio di una casa
Peristilio di una casa

Durante l’indagine storica da noi condotta, finalizzata alla riscoperta della storia della Sicilia pre-greca, ci siamo imbattuti, come precedentemente era accaduto per il principe siculo Ducezio, in un altro titano della Gens sicula, Arconide. Abbiamo già accennato, nell’articolo dedicato a Ducezio (Gli dèi Palici e le sacre sponde del Simeto. Ducezio principe e pontefice), all’affinità che legava questi due condottieri e li aveva indotti a condividere un progetto comune, articolato contemporaneamente su due vie parallele: una perseguiva, attraverso un’operazione militare, l’arresto dell’avanzata dei perfidi Greci, i quali, accolti come ospiti, si erano rivelati successivamente infidi tiranni; l’altra finalizzata alla conservazione della tradizione religiosa sicano-sicula degli Avi, che i Greci, attraverso l’opera di poeti, tragediografi e storici prezzolati, stavano tentando di seppellire sotto cumuli di falsificazioni, riadattamenti e mistificazioni. Questo secondo obiettivo dovette, più d’ogni altro, stare a cuore ai nostri due corregionali, essendo entrambi custodi della tradizione. Abbiamo infatti buoni motivi, parte dei quali crediamo di avere già sufficientemente provato nell’articolo su citato, per ritenere che Ducezio fosse il pontefice massimo addetto al culto degli dèi Palici, figli di Adrano, e che Arconide facesse parte di una casta sacerdotale incaricata di conservare l’eredità religiosa, tramite il “trasferimento” del sapere agli “eredi”, ma probabilmente anche di selezionare e formare i sacerdoti.

Diodoro definisce Arconide “principe degli Erbitei” ovvero degli abitanti della città di Erbita. Noi crediamo che l’appellativo di principe possa essere messo in qualche modo in relazione con il titolo che la chiesa cattolica, in tempi recenti, attribuì a certi nobili che si eressero a paladini e sostenitori del credo ufficiale; si pensi al titolo di “principe della chiesa” dato al vescovo di Asti, nel 1784, dal re di Sardegna Vittorio Amedeo III di Savoia. Se il nostro lettore, a seguito delle molteplici prove apportate nei nostri precedenti articoli, ha acquisito fiducia nella tesi relativa alla derivazione nord europea della lingua sicana, non avrà difficoltà ad accettare le implicazione legate al fatto che Erbe, in tedesco, la lingua nordica più affine al sicano, significa erede e ad accogliere le conseguenze relative alle nostre riflessioni sul significato dei nomi delle città fondate dai due condottieri. La città fondata da Ducezio, con il contributo di Arconide, si chiamava Kalè-aktè ovvero, secondo la nostra traduzione, “richiamo al sacrificio” o “all’azione”, mentre la città che Arconide avrebbe fondato più tardi, si chiamava Alesa (da Alle, che significa tutti, e Hass, odio, avversione); evidentemente i due condottieri utilizzarono i nomi delle due città da loro fondate, quale strumento evocativo, con chiari intenti di ordine psicologico, per una chiamata alle armi di tutti i Siculi. È fondamentale inoltre riflettere sul fatto che Arconide abbandona la città di cui, secondo Diodoro, era “principe”, cioè Erbita o, più probabilmente Erbesso, indignato per il fatto che il Senato cittadino avrebbe voluto scendere a compromessi con l’assediante greco Dionigi il Vecchio, e fonda un’altra città, appunto Alesa, (403 a. C.) al fine di accogliervi tutti gli oppositori del tiranno siracusano.

Alesa decumano nord
Alesa decumano nord

Noi riteniamo che Alesa significhi “tutti avversari” del tiranno, dal momento che il nome è formato dal lessema Alle, che significa tutti e Hass, che significa odio, avversione. Non è forse un caso che pure il principe gallo Vercingetorge, la cui lingua, alla luce delle nostre teorie, doveva essere affine a quella siculo\sicana, diede il nome di Alesia alla città che, divenuta il suo quartiere generale, aveva lo scopo di accogliere “tutti” i Galli ancora liberi intenzionati ad “avversare” l’avanzata dell’invasore romano. Ben trecentoventimila guerrieri si presentarono all’appello lanciato dal principe Gallo, aggiungendosi agli oltre ottantamila che già facevano parte stabile dell’esercito del principe. Tuttavia, un numero così alto di agguerriti Galli non fu sufficiente ad arrestare la potente macchina bellica delle dieci legioni (quarantacinque mila legionari) di Cesare. Il parallelismo storico tra i Celti di Vercingetorige, nel 50 a.C., e i Siculi di Arconide, nel 403 a. C., trova anche uguale esito, essendosi concluso con la sconfitta di entrambi e avendo determinato rispettivamente la romanizzazione dei Galli e la grecizzazione dei Siculi. Si noterà ancora che il nome che contraddistingue il capo gallo, Vercincetorige, è formato dal prefisso sacro , che fa di lui, se non un sacerdote vero e proprio come Arconide, quantomeno un “principe consacrato” per l’occasione e per il ruolo che avrebbe svolto; tra l’altro si noti che Cesare, nel De Bello gallico, afferma che molti comandanti dei Galli erano Druidi. Si noterà ancora, a conferma delle similitudini lessicali tra Galli e Siculi, che nella famosa iscrizione sicula scolpita nella stele del Mendolito, è ravvisabile lo stesso prefisso sacro , attribuito al principe di Innessa\Adrano, Teuto. Infatti, il termine Veregaeso, verosimilmente riferito al principe di Innessa\Adrano, Teuto, significa, alla luce del nostro metodo interpretativo, “dalla lancia” (gaesa) “consacrata” () , con chiara allusione ad un “principe consacrato”, l’equivalente siculo dell’attributo gallico Vercingetorige.

Arconide. Principe\Sacerdote

Arconide è definito da Diodoro principe degli Erbitei. Lo storico agirese è però piuttosto parco nel dare delucidazioni sui personaggi siculo sicani che osteggiarono l’avanzata culturale e militare dei Greci, giunti in Sicilia in parte come supplici, in parte come coloni o ospiti; ciò ha reso difficili, ma non impossibili, le nostre ricerche su questi eminenti personaggi. Del resto il forte ruolo militare esercitato da Arconide, quale irriducibile oppositore dell’avanzata greca, emerge in più di un episodio della storia siciliana. In primo luogo Tucidide lo definisce potente e afferma che, durante la guerra peloponnesiaca svoltasi in Sicilia, era a capo di una numerosa componente sicula ed era alleato di Atene. Per chiarezza storica è il caso di segnalare che Tucidide sembrerebbe però riferirsi ad un Arconide diverso rispetto a quello di cui parla Diodoro, poiché lo storico ateniese pone la data di morte del suo protagonista intorno al 413 a. C., mentre l’Arconide di cui parla Diodoro appare solo nel 405 a. C., pur sempre nel ruolo di oppositore del tiranno siracusano, il quale voleva conquistare Erbita, la città di cui Arconide era principe. Comunque, che i due Arconidi fossero la stessa persona o l’uno erede dell’altro poco conta; anche nel secondo caso, infatti, ci sarebbe continuità ideologica e pratica nella politica condotta tra i due consanguinei finalizzata alla lotta contro i Greci, così come i Cartaginesi Amilcare e Annibale, rispettivamente padre e figlio, condussero un’identica politica antiromana.

Muro tombe di età imperiale
Muro tombe di età imperiale

È anche interessante notare, poiché ciò tornerà utile in seguito, come dalla narrazione di Diodoro relativa ad Arconide emerga che la costituzione sicula si basasse su un regime democratico, all’interno del quale il principe rappresentava soltanto un primus inter pares, che avrebbe potuto essere sconfessato o messo in minoranza da altri poteri bilanciatori, di cui tuttavia nessuno storico ha saputo o voluto fornire notizie più dettagliate. Sconcertante è constatare che perfino Platone, autore di “dialoghi” finalizzati alla ricerca della migliore costituzione da dare allo “stato” perfetto (Leggi – La RepubblicaIl Minosse), venuto in Sicilia per tentare di rinsavire il tiranno siracusano, non abbia mai fatto cenno alla costituzione dei Siculi i quali, ancora al suo tempo, formavano una forte opposizione politica e militare alla tirannide greca, osteggiata dal filosofo ateniese. Infatti di lì a poco, nel 344 a.C., i Siculi adraniti, taorminesi e tindaridi avrebbero portato con le armi, al seguito del condottiero Timoleonte, la democrazia a Siracusa. La costituzione sicula rappresentava una sorta di regime democratico in cui il potere era distribuito e controbilanciato da una serie di contrappesi, al fine di scongiurare la concentrazione del potere su un singolo individuo. Emerge, infatti, dal racconto diodoreo che, quando il tiranno di Siracusa ebbe dettato le proprie condizioni all’assediata cittadina di Erbesso/Erbita, i diversi poteri preposti al governo della città non si trovarono d’accordo sulla soluzione da adottare nei confronti del tiranno e delle sue proposte. Arconide, da intransigente custode della religione degli Avi, non accettò nessun compromesso con Dionigi mentre gli altri poteri, presumibilmente un Senato, un Consiglio degli anziani o comunque un’Assemblea con potere decisionale, si dimostrarono piuttosto morbidi nei confronti del tiranno e accomodanti rispetto alle sue richieste. Tra queste richieste abbiamo buoni motivi per ritenere che vi fosse quella della rinominazione della città da Erbesso (Erbe ed Hass cioè gli eredi contro) in Erbita (da Erbe, gli Eredi,con riferimento alla casta sacerdotale, della quale Dionigi intendeva attirarsi i favori).

La tesi, azzardata, della rinominazione della città Erbesso, nome attestato in Polibio, in Erbita vuole essere più che altro una provocazione rivolta agli studiosi affinché, anche al fine di dimostrare l’eventuale infondatezza di tale associazione, decidano di dedicare le loro energie e i loro studi alla ricerca di ulteriori fonti relative alle città Erbita ed Erbesso e sul ruolo anti tirannico da esse svolto. Tuttavia non possiamo fare a meno di citare, a sostegno della reale possibilità dell’identificazione delle due città, il prezioso Cicerone. Questi, avendo appreso la retorica in Grecia e avendo fatto proprio il metodo circolare applicato all’esposizione del discorso, utilizza tale metodo pure nelle Verrine, in merito alla citazione delle città siciliane; il criterio della circolarità geografica mette in evidenza come Erbita fosse collocata tra Enna ed <atitle="“Hanno deposto gli inviati di Alesa, di Catania, di Tindari, di Enna, di Erbita, di Agira, di Noto, di Segesta” ( Verrine lib. II,157); “Erbita, Enna,Murganzia, Assoro, Imacara, Agira” (Verrine, III,47)">Agira. Inoltre Cicerone non menziona la città di Erbesso in nessun luogo delle sue verrine, pur citando i più piccoli e insignificanti villaggi come Neto, oggi una frazione di Letojanni nei pressi di Taormina, o Mistretta; ciò fa supporre che l’antico nome Erbesso fosse ormai stato trasformato in Erbita. Lo stesso Cicerone, in III,75 dopo aver discettato su Agira, definisce Erbita una “onorata ed un tempo ricca città”. Va ancora notato che Cicerone, quando tratta di città note con più di un nome, utilizza sempre il nome più prestigioso o strategicamente utile alla propria arringa.

Etna
Etna

Tornando ad Arconide e alla sua reazione all’assedio di Dionigi, congetturiamo che, indignato per le concessioni fatte al tiranno, avesse abbandonato la città e, seguito da alcuni seguaci, si fosse avviato verso l’entroterra siciliano, verso i territori siculi ancora liberi dall’influenza greca, dove fondò Alesa, presso l’attuale Tusa, in provincia di Messina. Questa città avrebbe mostrato subito importanti affinità cultuali e religiose nonché legami politico militari con la città di Adrano, quest’ultima fondata, secondo un discutibile passo di Diodoro, in contemporanea ad Alesa dal tiranno Dionigi. Noi abbiamo buoni e numerosi motivi, molti dei quali già esposti negli articoli già pubblicati in questo pregevole sito, per ritenere che Adrano, allora chiamata Etna, fosse stata messa sotto assedio dal tiranno, esattamente come era accaduto ad Erbita, e costretta, sempre come Erbesso/Erbita, a mutare il proprio nome originario, Etna, in Adrano, consentendo in tal modo a Dionigi di essere appellato fondatore della città. A riprova di quanto affermato facciamo notare che della notizia della pseudo fondazione della città di Adrano da parte del tiranno non si trova traccia né negli scritti dello storico di corte di Dionigi, Filisto, né in quelli di Plutarco, che pure, ne La vita di Timoleonte, ha modo di soffermarsi abbondantemente su Adrano, né tra le pagine dello storico Timeo di Taormina o di Ninfodoro, a cui si ispira Eliano per parlare del famoso tempio del potente dio siculo.

ARCONIDE. SACERDOTE DEL DIO ADRANO E PONTEFICE DEGLI ERBITEI

Arconide era dunque, secondo la nostra possibile ricostruzione, un pontefice\principe della città di Erbesso, il cui nome potrebbe significare “Gli eredi contro” (ogni tirannide). In seguito all’assedio posto da Dionigi, è possibile che la città abbia cambiato nome, assumendo quello di Erbita; il Nostro, deluso e sdegnato, l’avrebbe quindi abbandonata per fondare Alesa, il cui nome (Tutti contro) ricalca lo stesso significato di Erbesso, con la differenza che ad essere contro (hass)non sono soltanto gli eredi (Erbe)ma tutti gli uomini liberi seguaci del principe-ecista, sia Siculi che Greci, oltre ad una sparuta componente Cartaginese che da generazioni era residente in Sicilia. È per questo che nella nuova città furono edificati quattro templi, come emerge dal ritrovamento delle tavole alesine, in rispetto delle diverse componenti etniche della città: quello di Giove Melichio, caro alla minoranza greca, aristocratica ma democratica e ostile al tiranno; quello di Apollo, il cui culto accomunava quasi tutti i popoli antichi, dai Celti, con il loro dio Apollo iperboreo, ai Siculi\Sicani, che prediligevano il simbolismo del sole; il tempio di Adrano, dio che crediamo rappresentasse il credo del nostro Arconide, della cui eredità egli era custode; ed infine un quarto tempio di cui non abbiamo notizia, ma che riteniamo fosse dedicato al culto della Venere Ericina visto che, ancora fino ad epoca romana, Alesa avrebbe fatto parte delle diciassette città che formavano una anfizione religiosa legata al culto della dea. La presenza della guardia sacra alesina nel tempio di Erice ci induce a pensare inoltre che, tra le componenti etniche già citate, si era aggiunta, al seguito di Arconide, un gruppo di Elimi che non tolleravano la presenza, nel loro territorio, dei Cartaginesi, odiati tanto quanto i Greci. Tale tesi viene ulteriormente avvalorata dal fatto che, tra i testimoni di Cicerone per esporre i soprusi del pretore romano Verre, viene citato un eminente cittadino di Alesa dal significativo nome di Enea.

Altare pre ellenico?
Adrano - Altare pre ellenico?

Come già argomentato, Adrano significa l’Avo furioso, da Odhr-Ano. Ma sarebbe illogico pensare ad un Avo separato dalla propria progenie cioè dai propri Eredi; proprio a questo concetto quasi ossessivo ci riconduce il significato del termine Sicani, dal momento che i lessemi “sich” ed “Ahne” significano l’Avo in sé. I Sicani si ritenevano dunque orgogliosamente “gli eredi” dell’Avo, del capostipite, del primo uomo. Ma il termine che, più esplicitamente, indica gli eredi è Erbe. Va da sé che dovevano esserci profondi rapporti d’ordine spirituale tra la città di Erbesso o Erbita, sede degli Eredi, ed Adrano, la città sede dell’Avo, così come ve ne dovevano essere con Palikè, la città che ai figli di Adrano tributava onori immensi.

Il legame religioso tra Alesa ed Adrano è sufficientemente documentato non solo dalla presenza in Alesa del Tempio dell’Avo, che Arconide erige appena fondata la città, ma anche dalla copiosa coniazione di monete che raffigurano il cane, caro al dio, talvolta posto su una colonna, o lo stesso dio, ovviamente in veste marziale dal momento che Arconide ne evoca l’intervento nella sua guerra antitirannica. Meno appariscente ma certamente più affascinante risulta il legame religioso tra le due comunità che emerge da prove semantiche sulle quali torneremo in seguito. Intensi dovevano essere anche i rapporti politici e militari tra Alesa e Adrano (ancora chiamata Etna nel periodo che vide protagonista il nostro Duce), al punto da fare ritenere possibile un contributo adranita alla fondazione di Alesa, anche se, al momento, non abbiamo elementi per attribuire un nome e un’identità agli interlocutori adraniti di Arconide o Ducezio. In verità l’unico nome adranita di prestigio pervenutoci, grazie agli Stratagemmi di Polieno, è quello del principe Teuto, vissuto circa un secolo prima rispetto ai nostri due condottieri; trattasi tuttavia di un personaggio di tale spessore da indurci a ritenere improbabile l’estinzione di una tale eredità politica nell’arco di un secolo. Forse non è un caso che, quando Adrano viene assediata e poi presa con cruento assalto da parte dei Romani, anche Alesa richiede una pace separata col console romano, quasi a voler testimoniare la volontà di seguire il destino che l’Avo comune ha scelto per gli Adraniti e gli Alesini.

A partire dal 460 a.C. dunque, potrebbe essersi formata la triade Adrano-Palikè-Erbesso e, parallelamente, una sorta di triumvirato siculo anti-greco fondato su Arconide, sacerdote del collegio degli eredi, Ducezio, sacerdote degli dèi Palici, e su un sacerdote javascript:void(0)della potente casta sacerdotale degli “Adhraniti”, indubbiamente coinvolta nel progetto della sopravvivenza dell’identità etnica e religiosa dei Siculi. Azzardiamo l’ipotesi che possa esservi stata, da parte della componente sacerdotale in questione, paragonabile per prestigio e conoscenze a quella prestigiosa dei Druidi, capi religiosi e condottieri di eserciti, perfino un’elaborazione metafisica e metaforica della guerra combattuta per il mantenimento delle tradizioni sicule, di cui ravvisiamo traccia nella citazione, da parte di Diodoro, di una presunta città, Trinacria, capace di opporsi strenuamente e persino romanticamente, sino alla morte sacrificale di tutti i suoi abitanti, ai Greci invasori. Non è dato sapere però dove fosse collocata geograficamente Trinacria, né tantomeno è possibile ritrovare altre fonti relative a questa presunta città, mai menzionata di fatto da altri storici. Riteniamo piuttosto che Trinacria fosse non un luogo reale ma un simbolo, grossolanamente travisato da Diodoro, elaborato dalla casta sacerdotale sicula per alludere alla triade sacra più volte ricorrente nella concezione religiosa dei Siculi: si pensi alla triade padre-madre-figlio, identificabile con Adrano-Etna-Palici e, al contempo e parallelamente, alla triade Adrano-Erbesso-Palikè (o Mene), sedi del culto delle divinità. Del resto il significato del nome Trinacria, derivante dal nord europeo tri-akara (tre territori) o da tri-an-akara (i tre territori dell’avo), è perfettamente coerente con tale teoria.

A noi Adraniti, abitatori di uno di questi tre sacri luoghi, forse il più caro all’Avo, avendolo egli scelto come sua antica dimora, tocca forse il compito di interrogarci per capire cosa possiamo fare per recuperare un territorio e delle tradizioni che sono stati visibilmente profanati!

Francesco Branchina