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Età del ferro

Il ver, la fede e ogni bontà dal mondo
Fuggiro, e verso il ciel spiegaro l'ali,
E in terra usciro dal tartareo fondo
La menzogna, la fraude e tutti i mali:
Ogn'infame pensiero, ogni atto immondo
Entrò ne' crudi petti de' mortali;
E le pure virtù, candide e belle,
Gîro a splender nel ciel fra l'altre stelle.
Un cieco e vano amor d'onori e regni
Gli uomini indusse a diventar tiranni;
Fèr le ricchezze i già svegliati ingegni
Darsi ai furti, alle forze ed agli inganni,
Agli omicidj ed a mille atti indegni,
Ed a tante dell'uom ruine e danni;
Chè per ostare in parte, a tanti mali,
S'introdusser le leggi e i tribunali.
Né fur molto securi i naviganti,
Ch'oltre l'orgoglio de' venti e de' mari,
Molti uomini importuni ed arroganti
In varj legni diventar corsari.
La terra, già comune agli abitanti,
Come son l'aure e i bei raggi solari,
Fu fatta in mille parti, e posto il segno
Fra cittade e città, fra regno e regno.
Va il ricco peregrino al suo viaggio,
Ecco un ladro il saluta, il bacia e ride;
E, fingendo amistà, patria e linguaggio,
L'invita seco a cena, e poi l'uccide.
Il cittadin più cortese che saggio
Alberga con amor persone infide,
Che scannan poi, per rubarlo nel letto,
Lui che con tanto amor diè lor ricetto.
S' accendon l'aspre ed orride giornate
Piene di sanguinosi alti perigli,
Che spingono a morir le genti armate
Sotto l'offese de' lor fieri artigli;
Onde le donne afflitte e sconsolate
Piangono i morti lor mariti e figli;
E il fanciullin con l'angosciosa madre
Resta senza governo e senza padre.
Astrea che con la libra e con la spada
Conosce di ciascun l'errore e il merlo,
Poi che s'avvide che non v'era strada
Da giunger con la pena al gran demerto,
Se non rendeva per ogni contrada
Il mondo affatto inutile e deserto,
Pria che veder che il tutto si consumi
Ultima andò fra i più beati Numi.