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LA TERRA DELL’AVO. IL SIGNIFICATO CELATO NEL SIMBOLISMO DELLA TRISCELE E DELLA TRINACRIA

Il titolo del seguente articolo prende spunto dalla conferenza tenutasi a Belpasso il 18 Dicembre 2015 per iniziativa del presidente dell’Archeoclub di Belpasso dott.ssa Maria Rosa Vitaliti. Conferenza nella quale, per ovvi motivi di tempo, non è stato possibile approfondire tutti i numerosi temi affrontati e afferenti al nucleo centrale della trattazione, “La terra dell’Avo. Itinerario storico-archeologico nella Sicilia pre-greca”. Per ciò che concerne l’argomento oggetto dell’articolo, constatato che esso ha suscitato particolare interesse nell’attento uditorio, rimandiamo a questo pregevole sito quanti intendano approfondirlo.

IL TOPONIMO TRINAKRIA

Dall’inedita analisi del significato dei nomi Triscele e Trinacria emergerà chiaramente l’oculata e voluta scelta di coloro che, in perfetta sintonia con la propria visione del mondo, utilizzarono o meglio coniarono questi due termini. Come vedremo, atteso che Tucidide pose in epoca anteriore all’arrivo dei Sicani il toponimo Trinacria, possiamo affermare che l’immagine simbolica, cui rimanda il termine, delle tre gambe ruotanti intorno ad un perno centrale, fu utilizzata a partire dall’era paleolitica fino a quella moderna, nella variante della croce uncinata con senso rotatorio da sinistra verso destra. Non ci soffermeremo, in questa sede, sul simbolismo magico e religioso cui è legata la rotazione verso sinistra o verso destra, ma è necessario almeno un cenno in merito al potere evocatorio implicito nel movimento orario e antiorario della Triscele e della Trinacria. Si consideri inoltre che il simbolo della Triscele, con le opportune varianti legate allo stile figurativo, con o senza gambe, e alla direzione, oraria o antioraria, è universalmente condiviso, tanto che non vi è stato credo religioso, partito politico, formazione militare, famiglia aristocratica o stato nazionale che non abbia sentito la necessità di adottarlo quale proprio emblema e di ricorrere al suo naturale potere evocativo di forze espansive, legate al movimento orario, o inclusive, legate al movimento antiorario. La scelta del movimento orario o antiorario, del resto, non è mai casuale ma consapevolmente legata ad una determinata visione del mondo o ad un progetto di vita, tanto che in Oriente si poté teorizzare di una via della mano destra e di una via della mano sinistra, mentre in Occidente di una via dell’azione e di una via della contemplazione. Ci verrà facile comprendere quale tra le due vie scelsero gli Avi siculi, grazie all’attenta analisi della più antica effigie della Trinacria, ritrovata dipinta su una coppa del XIII sec. a. C.

Ma prima di addentrarci nell’intrigante simbolismo della Trinacria e della pratica magico religiosa ad esso legata, affidata alla casta sacerdotale degli Adraniti, gli “evocatori del furore dell’Avo” (odhr-an-heitan), è bene indagare il significato del toponimo Trinacria. Esso risulta formato dall’accostamento dei lessemi tri-an-kr o tri-an-akara che, nella traduzione verbum pro verbo,significa: tre-avo-forze o tre-avo-territori; espressioni liberamente traducibili, pur con le difficoltà e le approssimazioni dovute alla distanza temporale e alla complessità dell’approccio alla lingua, come “le tre potenze dell’Avo” o “i tre territori dell’Avo”. Corre l’obbligo di soffermarci sul nesso consonantico kr contenuto nel toponimo in questione che, con il suo suono palesemente onomatopeico, richiama il rumore prodotto da qualcosa che si spezza. Non a caso tale nesso consonantico è contenuto nella parola italiana “crepa”, con la quale si fa riferimento ad una fessura prodottasi in un corpo inizialmente monolitico e si immagina parimenti, grazie al suono palesemente onomatopeico, lo scricchiolio conseguente. Sulla forza onomatopeica del termine crac non è necessario spendere alcuna parola. Lo stesso nesso consonantico si ritrova nel nome di divinità quali Cristo o Kṛṣṇa, di re come Creonte o Creso, resi immortali dal mito. Leggendo tra le righe del mito che riguarda ognuno dei personaggi citati, l’attento lettore noterà che nelle opere e\o nelle parole di costoro, nella metafora che la loro stessa vita ripropone, ricorre costantemente il leit motiv della vita o della rinascita.

Stando a Tucidide il toponimo Trinakria fu il primo nome con cui fu denominata l’isola di Sicilia, terra che la tradizione ha sempre considerato tra le più fertili e, di conseguenza, tra le più appetibili quale oggetto di conquista. Una terra in cui ogni frutto cresce spontaneamente, in cui ogni seme attecchisce con facilità. Il seme si spezza (kr) e germoglia per quella forza intrinseca (thr - dhr) che il dio o l’Avo (Ano) ha riposto in esso e che il sacro suolo, ricco di humus, esalta. Ma poiché la lingua dei popoli antichi viaggiava su due vie parallele, una più immediata, diretta agli uomini di semplice intelletto, l’altra, definita da Omero “lingua degli déi”, allegorica, metaforica o metafisica, compresa solo dagli “addetti ai lavori”, per decriptare il significato di Trinacria è necessario muoversi su due vie parallele. Nella lingua degli uomini il termine Trinacria si riferisce ad un suolo fertile (Akara) che produce cibo per il nutrimento del corpo, in quella degli dèi si riferisce ad un suolo ricettacolo di forze (kr) che nutrono, invece, lo spirito.

Che la Trinacria fosse, nell’immaginario collettivo di coloro che l’abitarono e non solo, una terra abitata da dèi o da essi protetta, non solo è implicito nel significato del toponimo (“le tre forze dell’Avo”), ma è deducibile da almeno due episodi concreti: nelle Verrine Cicerone, che riteneva la teogonia siciliana la più antica, racconta l’episodio in cui Pinario, un centurione che comandava un distaccamento romano nella città di Enna, si era macchiato di un delitto atroce dal momento che aveva ucciso gran parte della popolazione inerme della città, scatenando o facendo temere ai Romani che si scatenasse la rappresaglia degli “dèi che abitavano il luogo”. Tanto erano sinceramente convinti i Romani del fatto che la Sicilia fosse abitata e protetta da dèi, che decisero di porre rimedio all’infausto gesto riappacificandosi ritualmente con le divinità offese dallo scellerato gesto del centurione. L’altro caso in cui i Romani dovettero fare i conti col furore divino degli dèi siculi è riferito da Diodoro, il quale narra che, nell’arco di tempo compreso tra il 217 e il 211 a.C., i Romani, non potendo sconfiggere militarmente i Siculi, attribuirono la causa della loro forza militare all’assistenza fornita dal dio Adrano, l’Avo, il padre della stirpe sicula, tanto simile del resto al loro antenato primordiale Jah-ano o Giano bifronte. Probabilmente la convinzione dell’affinità tra Odhr-ano e Jah-ano era rafforzata dalla conoscenza dell’episodio, raccontato da Plutarco nella Vita di Timoleonte, relativo all’apertura della porta del tempio del dio Adrano, durante la guerra contro il tiranno Iceta; tale episodio sarà stato senz’altro associato al rito della porta legato a Giano. Per questo motivo i Romani pensarono bene di chiudere per sempre quella porta dalla quale fuoriusciva il furore del dio Adrano, che combatteva fianco a fianco, sui campi di battaglia, con i suoi eredi siculi: racconta Diodoro che attorno ai templi di questo potente dio siculo, sparsi in tutta la Sicilia, i Romani eressero dei muri al fine di contenerne il temibile furore.

IL TRIANGOLO

Il fatto che la Trinacria fosse una terra protetta dall’Avo Adrano, trova ulteriore conferma nella forma triangolare dell’isola. L’antica conoscenza della geografia sacra, posseduta dai nostri antichi Avi ed esposta, per primo, da Pitagora, riconduceva immediatamente la Sicilia, in quanto terra di forma triangolare, all’idea di uno spazio protetto da dio. Il termine triangolo deriva dall’accostamento dei lessemi tri-an-gonnen, letteralmente tre-Avo-protezione: il territorio circoscritto nel triangolo era dunque ritenuto esplicitamente protetto dall’Avo. Il triangolo, del resto, è stato inteso fin da principio quale simbolo tangibile della divinità e, con esso, il numero tre. Tutte le religioni antiche erano basate sul comune concetto di trinità divina: per i Greci il vertice teogonico era formato dalla triade Zeus, Era, Atena; per gli Scandinavi da Odino, Freya, Tor; per i Romani da Giove, Giunone, Minerva (più anticamente Marte al posto di Minerva); per i Siciliani Adrano, Etna (Hybla?), i gemelli Palici. Insomma la triade divina era formata da una famiglia; una famiglia sacra, certo, ma come quella umana formata da padre, madre e figli, questi ultimi intesi nell’accezione di eredità, di veicolo per mezzo del quale si rende eterna la stirpe. I figli invocavano i padri e questi continuavano a vivere nei ricordi degli eredi.

Sul sacro concetto della famiglia, composta dalla forza generatrice del padre (rinvenibile nel nesso consonantico thr o dhr, potenza), dalla vitalità incubatrice della madre (in analogia al terreno, Akara, che accoglie il seme o la potenza del padre) e dal figlio (germoglio generato dal seme), si fondava la società siciliana. La famiglia era dunque l’istituzione “sacra ed eterna” intorno alla quale ruotava l’universo, garantendo, sul piano fisico, la perdurabilità del genere umano, e su quello divino o metafisico l’andamento etico, con il risultato globale di andamento sicuro, equilibrato, armonico dell’intero universo.

LA TRISCELE E LA TRINACRIA

Il simbolismo della triade divina è dunque comune ai popoli indoeuropei ed il significato del termine triangolo non era una conoscenza esclusiva del popolo siciliano, per quanto è plausibile pensare che la genesi stessa del termine sia avvenuta in Sicilia, terra triangolare e incarnazione stessa, per la clemenza degli elementi e la ricchezza del suolo, del favore degli dei. Anche il simbolo delle tre gambe fa parte dell’immaginario collettivo di popoli affini: lo ritroviamo come stemma dell’isola di Man, in città della Germania, in Irlanda, nelle monete greche. Le triscele che si trovano nei luoghi citati hanno però la caratteristica di essere rappresentate con un apparente movimento rotatorio, dettato dalla direzione dei piedi delle tre gambe, che va in senso orario, cioè da sinistra verso destra. Questo senso rotatorio apparente, che va in senso contrario rispetto alla trinacria, è stato consapevolmente ed evocativamente rappresentato.

Tale consapevole volontà è tradita dal significato del nome Triscele. Infatti esso è formato dall’accostamento del lessema tri, che significa tre ed allude alla potenza della famiglia, o thr che significa forza, potenza, scee che significa sinistro, mancino ed Hell che indica l’aldilà, una zona metafisica tra cielo e terra in cui si addensano particolari forze “sinistre”, non necessariamente negative, da controllare. Si ricordi che le porte Scee di Troia e dell’antica Arpino venivano così chiamate perché collocate strategicamente alla sinistra delle rispettive mura difensive, formando una rientranza rispetto al muro più avanzato di destra in modo che i nemici, attaccando le mura difensive e tentando di spalancarne le porte, sorreggendo lo scudo con il braccio sinistro, erano costretti a scoprire il corpo e quindi a rimanere vulnerabili ai lanci di frecce provenienti dall’alto delle mura. L’eroe romano Muzio Cordo, fu appellato Scevola dopo aver perso l’uso della mano destra.

Dunque, consapevolmente, la Triscele, aveva, a differenza della Trinacria, un andamento contrario all’apparente andamento del Sole.

SIMBOLISMO DI DESTRA E SINISTRA

Varie Triscele
Varie Triscele

Il senso rotatorio da sinistra verso destra, detto anche orario, fu collegato nel mondo antico ad un senso rotatorio innaturale, probabilmente perché contrario al movimento apparente del sole, che nasce ad oriente del globo terrestre per tramontare ad occidente. Il senso orario venne interpretato dagli antichi come foriero di sconvolgimento di eventi naturali ed armonici. Fu associato inoltre ad un atteggiamento violento, anche se non necessariamente negativo; infatti esso poteva essere attuato per ristabilire un diritto violato, che l’usurpatore non avrebbe ceduto spontaneamente. Si ricordi per esempio l’auspicio del porcaro di Ulisse che avrebbe voluto vedere le Aquile di Zeus volare provenendo da sinistra e posarsi sui tetti degli infidi Proci che spadroneggiavano nella reggia del suo padrone.

Altre tipologie di Triscele
Altre tipologie di Triscele

Oggi potremmo identificare la pratica violenta che accompagna, nell’immaginario degli antichi, il movimento rotatorio da sinistra verso destra con quella che in medicina viene definita la terapia d’urto, cioè una pratica violenta e tuttavia necessaria per fare reagire il malato dallo stato di prostrazione in cui il male lo ha costretto. Posidonio è altrettanto chiarificatore accennando al comportamento dei Galli durante i banchetti e i convivi. Egli osservava che il coppiere che mesceva l’inebriante vino, bevanda notoriamente causa di liti in seguito ad ubriacatura, girava fra i convitati da sinistra verso destra. Posidonio specificava che i Galli utilizzavano il senso contrario, cioè da destra verso sinistra, per mescere le bevande nel corso delle cerimonie religiose. Lo stesso valore augurale dava Omero, nell’Iliade, al volo delle aquile che provenivano da destra, mentre quelle che provenivano da sinistra erano portatrici di lutti e disgrazie. Platone, nel suo trattato Le Leggi, osservava che agli dèi del cielo venivano riservate le parti destre delle vittime sacrificate, agli dèi infernali le parti sinistre. Nel simbolismo delle spirali che si ritrovano scolpite su pietra, dall’Irlanda alla Sicilia fino all’isola di Malta, si legge il medesimo simbolismo. Le due spirali, una avvolgente l’altra svolgente, una inclusiva l’altra espandente, simboleggiano l’atteggiamento che si attua verso il mondo. Il primo meditativo, in quanto induce ad un guardar dentro di sé, ad un atteggiamento di introspezione, all’intento di voler cercar dentro di sé la soluzione di arcani quesiti. A tale atteggiamento segue, per contro, quello di segno opposto, simboleggiato dalla spirale in direzione svolgente o espansiva, a indicare una volontà di dominio, un’intenzione di dirigere le proprie energie verso l’esterno, di applicarle al mondo, visto non necessariamente come elemento materiale ma come riflesso tangibile dello spirituale, come oggetto fisico su cui intervenire per fini metafisici, terreno di scontro tra forze opposte. Ovviamente non vengono dati giudizi di merito sulla scelta dell’una o dell’altra via da perseguire, cioè tra quella contemplativa e quella che ha l’azione come mezzo, poiché tale scelta fa parte di un modo d’essere individuale diverso da individuo a individuo e che, comunque, ha come fine il medesimo obbiettivo, l’armonia.

vaso con svastica.
vaso con svastica.

Il popolo siciliano, erede dell’Avo, il quale aveva superato il concetto di materia ascendendo tra gli dèi, scelse la via della contemplazione, della spiritualità, dell’inclusione, della non violenza. La Sicilia fu concepita quale centro d’irradiazione di forze non violente che dovevano essere utilizzate al fine di equilibrare l’eventuale insorgere di forze opposte, violente e disarmoniche. Lo conferma l’apparente senso rotatorio della Trinacria dipinta nella coppa del XIII sec. a.C. rinvenuta a S. Angelo di Muxaro. In questa Trinacria, la più antica rinvenuta fra quelle europee, i piedi delle tre gambe indicano infatti un senso rotatorio opposto rispetto alle Triscele degli altri paesi del nord Europa. Lo stesso nome del simbolo, Triscele, veicola, come già spiegato, intenti semantici opposti rispetto alla Trinacria. Sulla consapevole attuazione del movimento rotatorio antiorario o augurale dei simbolismi siciliani, si ha ulteriore conferma attraverso l’interpretazione di una moneta in cui il dio locale Adrano, nel diritto, e la scritta Adranitan, nel verso, con la loro posizione antioraria, contrastano la furia del toro, che simboleggia il tiranno siracusano, in atteggiamento di caricare nella sua corsa verso destra.

Moneta Adranita
Moneta Adranita

Ancor oggi, a distanza di migliaia d’anni dal conio del toponimo e dall’utilizzo del simbolo, la Trinacria\Sicilia, testimonia la coerenza nella volontà di perseguire la via dell’accoglienza, della sacra ospitalità, incarnata nel XIII sec. a.C. dal saggio re siciliano Cocalo, che ospitò senza pregiudizi il prestigioso architetto cretese Dedalo, in fuga dall’ira temibile del suo re, da Iblone, il benefattore immeritato dei perfidi Corinti cui diede asilo, ai giorni nostri dall’ospitalità dei Siciliani nei confronti dei derelitti del nostro secolo che, a migliaia, fuggendo dall’Africa afflitta trovano in Trinacria la loro prima ancora di salvezza.

Prof. Francesco Branchina

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