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Alla ricerca della mitologia slavo-russa

© 2010 di Aldo C. Marturano

 

Il breve primo studio che stiamo per affrontare è un tentativo di ricostruire una mitologia slavo-russa cercandone le tracce riconoscibili ai tempi in cui era ancora in atto un’aspra lotta del Cristianesimo contro i pagani nordici. Inoltre, giacché le tradizioni pagane ci sono giunte attraverso i miti, è giusto riflettere meglio sul mito per distinguerlo dalla favola o dal racconto ludico per ragazzi e infine, un po’ più avanti e interessati alla Mitologia Slava, ricostruirne gli aspetti peculiari slavo-russi. Naturalmente diciamo subito che, per motivi più in là esposti, la documentazione relativa è scarsa e frammentaria, ma noi c’immergeremo nella palude e raccoglieremo quel che potremo… respingendo la follia di far rivivere riti o dèi del passato in vesti romantiche e in anacronistici contesti!

Già nell’Alto Medioevo ci furono difficoltà a dare un nome al credente di religioni diverse dal Cristianesimo e la parola preposta, paganus, fu sottoposta ad un processo ideologico-linguistico per consolidarne (con un colorito più spregiativo) il significato di non battezzato, al posto di contadino imbelle finora valido. Assicuratosi lo strumento linguistico, cominciò alfine la propaganda delle proibizioni e delle ridicolizzazioni atte a distruggere quella che fosse la filosofia o la religione dei popoli nordici.

Sarebbe giusto farsi un’idea di che cosa s’intenda con religione, ma, siccome si è scritto tantissimo e dibattuto altrettanto, qui ci limitiamo a dire che dal punto di vista scientifico essa non è altro che un sistema mitologico che offre spiegazioni di vario tenore e contenuto (ciascuna religione si vanta di darne migliori di altre) sul significato dell’essere vivi nel mondo e su come rapportarsi con un eventuale divino creatore.

A questo proposito, allo scopo di distinguere le religioni dominanti e sedicenti portatrici di verità e di etiche universali, nel passato furono coniati dagli etnografi europei vari termini da attribuire alle credenze sparse nel mondo coloniale considerate inferiori. E.B. Tylor coniò nel XIX sec. Animismo per i Paganesimi e la parola ebbe la sua esclusiva ragion d’essere nel porre i pagani animisti su un gradino più basso e svalutarli sul ricco mercato delle idee. Un altro termine pure abusato nel parlar corrente è Politeismo in cui però non troviamo alcunché di degradante se lo attribuissimo al Paganesimo perché, a guardar meglio le cose, anche il contrapposto Monoteismo Cristiano non è davvero tanto diverso ed è difficile distinguere la sua Trinità e i suoi Santi dai tanti dèi delle religioni politeiste…

Ma serve avere tali distinzioni artificiali e capziose? E hanno ancor valore, visto che il Cristianesimo definisce spontaneamente gli dèi pagani come Demoni o emanazioni del Diavolo (si leggano sant’Agostino e Rabano Mauro o Ermete Trismegisto o le Cronache Russe revisionate da Nestore), quest’ultimo un essere creato dallo stesso dio cristiano? Nel Medioevo certamente valeva la pena esortare contro la venerazione del Diavolo perché un Anticristo dava fastidio e, si spiegava, il Diavolo era un angelo ribelle di certo inferiore al Dio Cristiano, ma quasi altrettanto potente e perciò capace di portare confusione nell’animo dell’uomo spingendolo verso il male. A noi sembra che sia un semplice problema di rango e non di dubbiosa esistenza, sempre ammesso che dio e dèi siano realtà! Purtroppo queste sono concezioni che continuano a circolare tuttora a braccetto con l’idea di negare ogni validità alla fede e al pensiero pagano. Addirittura, e qui entriamo nel vivo del nostro discorso, nelle definizioni ufficiali una mitologia, per il fatto d’esser collegata agli dèi pagani, è marchiata col nome di “superstizione” (parola carica di sentimenti negativi in quasi tutte le lingue europee, ma che significa unicamente pratica religiosa esistente al di là dei riti ammessi dallo stato imperiale romano) mentre l’altra mitologia, per il fatto di essere cristiana, non può neppur esser così chiamata, ma va definita religione rivelata unica e vera sopra ogni altra.

Mito e Mitologia sono parole derivate dal greco che indicano l’una un racconto orale e l’altra una loro raccolta organica. Attenzione però! Mentre il Paganesimo greco-romano e la sua mitologia erano tenuti in grande stima dal pensiero cristiano in quanto predecessori storici del “sapere teologico” insegnato nelle università medievali, quello dei popoli nordici doveva restare mal conosciuto e ne veniva impedito lo studio. Insomma ammettere l’esistenza di un qualsiasi altro pensiero, religioso o no, era una questione di fondo spinosa che si risolveva proprio non attribuendo alle selvagge genti settentrionali, a “questi animali”, alcun grado d’intellettualità che invece i Greci e i Romani avevano avuto e poi passato in eredità ai Cristiani. La logica di questo ragionamento stava nel fatto che la Chiesa si era impadronita giusto delle idee pagane classiche per radicarsi nell’Impero Romano e farlo poi cristiano. Siccome non sono mai esistiti poteri secolari che non abbiano cercato di allargare il proprio dominio, da alleata del potere armato l’unico compito che restava alla Chiesa con i suoi secoli di dominio ideologico era evangelizzare i barbari per facilitarne la conquista dei territori! E così un sistema cristiano conquistatore e mercantile quasi perfetto, dato il pensiero classico per morto e finito, si mette al lavoro e rifiuta ogni mitologia, salvo la propria, capace di inquinare il progetto social-economico che sta nascendo al volgere del 1° millennio!

Il politeismo sincretistico romano era stato molto elastico ogni qual volta che una nuova regione e relativo popolo erano stati annessi all’Impero e, nel caso dei popoli nordici, avrebbe con rispetto assorbito i loro dèi nel suo pantheon come era sempre avvenuto. Anzi! Gli scritti di Plinio il Vecchio o di Tacito sulle credenze germano-baltiche, pur con evidenti alterazioni, sono degli esempi calzanti di tale modo di fare pragmatico da secoli già consolidato nella mitologia imperiale! Le peculiarità dei costumi con gli dèi rispettivi dei conquistati sarebbero stati annotati e, sistematizzati negli schemi ufficiali, noi avremmo avuto qualche dettaglio in più.

La Chiesa al contrario non si permise mai aperture simili. La preoccupazione, giustissima dal suo punto di vista, fu che prima d’ogni altra cosa si riconoscesse il maggior spazio al dio cristiano, proclamato il più potente fra tutti gli altri dèi (e demoni), e in più, dal bacino del Reno fino all’Elba ossia fra i Germani e gli Slavi, lavorò sodo affinché la “paganità” di quei barbari fosse lavata via e dimenticata automaticamente. Si può facilmente intuire che gli scontri fra i centri di propaganda cristiani e i focolai pagani fossero frequenti, benché i contemporanei li considerassero episodi di ordine minimo. Su questo punto potremmo partire da Gregorio Magno che nel VII sec. d.C. fu uno dei primi ad avere notizie di prima mano sugli scontri con gli Slavi nel sudest dell’Europa in una famosa corrispondenza con Massimo, vescovo di Tessalonica (l’odierna Salonicco), che li vedeva attaccare la propria città. Il Papa tentò allora in tutti i modi di circoscrivere e giustificare l’ostilità contro quei pagani raccomandando tra l’altro non tanto di combatterne gli usi e i costumi o di distruggerne i luoghi di culto con la forza (le armi non furono mai bandite) quanto invece di integrarli nella “morale cristiana” possibilmente avocando le loro feste e i loro culti alla protezione dei santi consacrati dalla Chiesa, addirittura inventandone di nuovi, se necessario. Se si considera che il Cristianesimo, di natura cittadina e aristocratica, presentiva già l’acme del successo futuro nel ruolo di sponsor e garante dei poteri secolari, la soluzione suggerita sopra era la migliore per prevalere.

Malgrado ciò quattro secoli dopo i territori cristiani in Europa appaiono essersi ridotti mentre i pagani non sono scomparsi. Anzi! Lustrati dalla benedizione dell’acqua santa di un blando battesimo cristiano, perseverano imperterriti nei loro riti talvolta nella clandestinità e, in ambiente slavo-germanico, si nascondono dietro un Paganesimo mascherato con la croce. Roma (ma parimenti la più potente e più moderna Costantinopoli) escogiterà nuovi espedienti per aggirare le conseguenze funeste delle conversioni forzate quando vide che nei catecumeni s’alimentava un odio crescente verso la stessa Chiesa non appena appariva chiaro che la nuova fede comportava l’assoggettamento ai poteri secolari forti con tasse e altri oneri mai auspicati. Per questi motivi, siccome l’unico scopo era ampliare il consenso popolare alla raccolta delle prebende e alle imposizioni delle corvées, le manovre cristiane, al di là della spiritualità che non c’interessa qui toccare, diventarono più sofisticate.

Annotato per sommi capi il quadro storico fino al XII sec., torniamo ora al mito.

Un racconto orale? Sì, ma non basta! Nel dizionario Zingarelli (1968) troviamo che il mito è un’…“immagine schematica o semplificata, spesso illusoria, di un evento, di un fenomeno sociale, di un personaggio quale si forma o viene recepita presso un gruppo umano, svolgendo un ruolo determinante nel comportamento pratico e ideologico di questo.” I miti dunque sono non soltanto parte di un costrutto culturale e religioso del passato, ma vivono con noi e capire a che cosa (e se) servono diventa importante ancor oggi. Né potrebbe essere altrimenti, se noi stessi siamo prodotti della cultura in cui ci siamo formati e restiamo i ripetitori (non passivi, visto che usiamo spesso riferimenti mitici) di tutto quanto questa ci ha inculcato. Immaginando allora un viaggio a ritroso nel tempo, il discorso sul mito deve iniziare dalla nascita, dal momento in cui l’individuo uscendo dal mondo “non-umano” in cui si trovava s’affaccia in quello “umano” attraverso il passaggio che per il neonato (ma anche per il coniuge o per il membro acquisito) è rappresentato dalla vulva femminile. E’ un aspetto simbolico non secondario giacché da quel momento in poi alla persona è assegnata la differenziazione culturale primaria ovvero il sesso col suo proprio ruolo.

Nella nuova realtà, alle prime apparenze ostile e irta di pericoli, il nuovo venuto passerà probabilmente il resto della vita. A parte il coniuge, la presenza della donna-madre è fondamentale. Grazie all’età e all’esperienza, costei conosce l’ambiente da lungo tempo e in esso sa districarsi e perciò, assicuratasi che suo figlio è sano e vivrà, si assume la responsabilità di insegnargli a vivere con le norme vigenti.

A questo punto è chiaro che per diventare membro vero e pari agli altri al neonato occorre un certo periodo di “tirocinio alla vita” strettamente legato con la madre-maestra sulla quale, casomai il bimbo dovesse inaspettatamente morire, ricadrebbe la colpa grave di non aver avuto cura sufficiente di lui con tutte le pesanti conseguenze previste. Alla fine, sotto la spinta della natura e con i mezzi fisici e psicologici di cui dispone, la genitrice trasmette le proprie conoscenze accumulate fino a quel momento in modo che il bimbo acquisisca i gradi di libertà occorrenti per continuare a vivere. Ed ecco un primo passo da compiere per entrare nel mondo degli adulti ossia l’iniziazione. Le byline (racconti popolari russi da cui si possono estrarre alcuni dei miti a cui ci riferiamo) indicano persino che nel mondo slavo ci fossero riti iniziatici separati per le femmine e per i maschi e quindi dobbiamo immaginare tutta una serie di rituali ai quali sottoporsi per accedere, fisicamente e “spiritualmente”, all’ambiente in cui si vivrà in gruppo…

Permettiamoci un’utile e breve digressione per il mondo slavo. La madre fa parte d’una comunità primaria o famiglia diversa però da quella nucleare che conosciamo oggi formata da madre e padre con i rispettivi figli. Lì c’è la famiglia patrilocale estesa in cui più d’una generazione con a capo un maschio anziano convivono e talvolta formano un intero villaggio. Se ci chiediamo a che serva un gruppo organizzato del genere e se sia importante per la tradizione pagana, pur non avendo la competenza per azzardare facili definizioni in termini antropologici né per discutere i principi con cui si classificano in etnografia le diverse comunità umane, ci preme rispondere che il bisogno generico di uomini e donne adulti a formare gruppi stabili probabilmente partì giusto dalle donne-madri moltissimi millenni fa. Alle femmine non soltanto toccava nutrire i propri piccoli, ma occorreva difenderli dagli assalti di animali predatori mentre esse erano occupate con i maschi a procurare cibo per tutti. Queste attività sono intimamente connesse fra di loro e derivano dalla nostra natura biologica in cui la riproduzione della specie è importante farla funzionare non solo all’età giusta, ma anche trovandosi in buone condizioni fisiche e psicologiche (sazi e contenti). Associandosi, si facilitava inoltre l’incontro fra i due sessi e l’accoppiamento poteva avvenire senza eccessivi traumi e in un luogo protetto, sapendo che per il coito umano si richiede più tempo che per altre specie.

Abbiamo parlato di gruppo che occupa un ambiente o uno spazio. Oggi queste sono parole abbastanza correnti che si possono “allargare” a tutto il pianeta (un posto al sole, lo spazio vitale, la globalizzazione etc.), ma nel passato il concetto di territorio riservato ad un gruppo era ben più limitato mentalmente e fortemente sacralizzato. Un “pezzo di spazio” abitato è un vero e proprio mondo a sé col quale tutti sono relazionati e la cui acquisizione è un’impresa in comune tanto straordinaria da costituire solitamente l’argomento di miti elaboratissimi: basti pensare ai grandi poemi epici composti dai vari popoli sull’occupazione di una nuova patria. Siccome in questo spazio deve avvenire l’iniziazione, quel rito è molto importante per la società! In termini pratici l’aspirante-membro ha imparato a governare tutte le funzioni del proprio corpo e, dopo che ciò sia stato verificato dagli anziani secondo le modalità prescritte, può passare allo stadio successivo. Due insegnamenti occorre inculcare precocemente: il primo è il rispetto per l’autorità costituita cioè per le gerarchie d’età e di sesso e, subito dopo, l’obbedienza alle regole, alle leggi, alle usanze oltre a paventare le sanzioni applicate al contravventore. Con l’ausilio dei sapienti si apprenderà come si costruiscono e si adoperano certi arnesi, come si lavora il legno o si spaccano le pietre o si semina o come si usano le armi e tante altre cose, giacché sia gli arnesi sia le attività lavorative sono indispensabili elementi dei riti iniziatici.

L’iniziazione somiglia alla frequentazione di una vera e propria “scuola di base” in termini moderni (o forse meglio di un “liceo”), ma alla stessa stregua, non essendoci ancora l’uso dello scrivere, è inutile cercare “libri di testo” perché la verbalità è dominante. E siamo giunti così alla Civiltà del Parlare che con l’invenzione del linguaggio articolato sembra distinguere l’uomo dagli altri animali!

Avete mai notato che all’udire persino un semplice suono, emesso o no da bocca umana, immediatamente nella nostra mente (addirittura prima di saper parlare o comprendere una lingua) si generano delle immagini? Noi per comodità le abbiamo ordinate in tre tipi:

  1. Sensazioni (paura, meraviglia, apprensione, allegria, soddisfazione etc.) o memorie olfattive o tattili o oniriche,
  2. Immagini di oggetti a noi noti da esperienze passate e infine
  3. Immagini di persone o di figure che assomiglino a uomini o a qualcosa di composito semi-umano. La mente accumula queste immagini continuamente nel proprio archivio o memoria e, a causa degli “archivi mentali” diversi fra persone diverse l’immagine che si crea nella mente di chi sta ascoltando un messaggio parlato non sempre coincide con quella che chi parla sta tentando di trasmettere. Per evitare fraintendimenti la lingua fornisce allora la possibilità di ricorrere a descrizioni sempre più dettagliate, aggiungendo particolari sempre più intimi o più stuzzicanti etc. etc. un po’ alla volta finché gli “oggetti mentali” – nel nostro caso del docente e del discente – non coincidono.

A questo punto si dice che la trasmissione è  avvenuta con successo!
Nel processo iniziatico il sistema linguistico serba linguaggi appositi per l’insegnamento (discorso aulico, poetico, allegorico etc.) contrapposti a quelli d’ogni giorno e così nel caso del mito si odono parole reboanti, si descrivono figure di personaggi straordinari o si parla di eroi ed eroine coinvolti in eventi assolutamente fantastici. Quando occorra mettere in risalto certi tratti salienti dell’evento raccontato, si usano persino giri di parole e figure retoriche complicati giudicati più efficaci per la comprensione e l’assimilazione.

Allo scopo di favorire la partecipazione dei discenti, si può migliorare la trasmissione del mito con delle tecniche mnemoniche che hanno sempre accompagnato il mito cioè il canto, le litanie, i gesti speciali, le danze e le imitazioni ludiche, le ripetizioni. Persino l’intervento del genio poetico dell’antico cantautore, chiamato nelle diverse lingue scaldo, aedo, vate o pevez, con i suoi espedienti linguistici e musicali come anagrammi o scioglilingua, ritornelli etc. è di grande aiuto perché trasformano il mito da una semplice “materia scolastica d’insegnamento” in una piacevole espressione artistica da ascoltare o, addirittura, da ricordare come epos nazionale. L’efficacia di queste tecniche è tanto vera che la pedagogica cristiana la sfruttò appieno. I drammi sacri, i cori, gl’inni e tanti altri tipi di insegnamenti cantati e suonati sono ancora oggi il vanto di ogni manifestazione liturgica! Qui però si nota meglio un’evoluzione più tipica: Con queste tecniche mediatiche si guidava nel Medioevo l’attenzione del catecumeno sempre più verso i libri, millantando che i miti cristiani (il Vangelo, la Bibbia, le Vite dei Santi) erano unici, veri, immutabili e culturalmente superiori (cioè edificanti)… perché raccolti in uno scritto! Questa manovra ideologica, che evolverà e migliorerà fino all’avvento di Internet, è chiara: Si indica il mito e la mitologia pagani come cultura popolare analfabeta proprio perché orale rispetto alla cultura nobile superiore legata invece allo scritto! Malgrado ciò, nel Paganesimo esistette una scrittura sacra! Infatti rune germaniche, russe e finniche incise in modo sparso, sebbene non costituissero dei testi compiuti, ma soltanto brevi invocazioni o motti cristallizzati, sono state ritrovate su vari oggetti (i bastoncini slavi per leggere il futuro) ed erano usate allo stesso modo dei testi su pergamena cristiani. Certamente di fronte alle Sacre Scritture, le rune scritte su una pietra o su un pezzo di legno posseggono un valore assai meno coinvolgente! Addirittura, oggi sarebbe difficile immaginare di fermare un esercito invasore col solo agitare davanti al comandante nemico un libro scritto in una lingua sconosciuta (come era il latino del Vangelo nel Medioevo). Eppure il papa Leone ci riuscì con Attila, Sacre Scritture in mano e agitando la croce, perché ben conosceva la forza magica di quegli oggetti e soprattutto il fascino che essi esercitavano sul barbaro di quel tempo!

Concludendo, il mito pagano nasce così e prima di ogni insegnamento scientifico! Un esempio ci aiuterà allora a distinguere il mito dalla definizione scientifica moderna.

Da un libro di Fisica traiamo la seguente descrizione di un’esperienza abbastanza comune: Definiamo un piano inclinato un piano che incontra un altro piano orizzontale di riferimento con una certa angolazione. Ogni volta che poniamo una sfera sulla parte più alta del piano inclinato, vedremo la sfera rotolare verso il basso. Di qui deduciamo che qualsiasi corpo posto su una superficie inclinata rispetto al piano orizzontale terrestre da una certa altezza tende a cadere sempre verso il basso per gravità.
Passiamo ora alla Mitologia Greca e leggiamo di Sisifo: Sisifo, figlio di Eolo e Enarete, era un re rinomato per i suoi atti fraudolenti, tanto che riuscì persino ad ingannare la Morte. Gli dèi lo punirono per l’orgoglio di voler diventare immortale come loro e lo condannarono nell’Ade ad un supplizio eterno. Con l’aiuto delle mani e dei piedi doveva portare in cime ad una montagna un masso facendolo rotolare. A breve distanza dalla cima, il masso però ogni volta gli sfuggiva e cadeva rotolando verso il basso, per cui Sisifo doveva ricominciare tutto daccapo.”

Nei due brevi testi riportati non è forse stata descritta la medesima esperienza? Noi l’abbiamo letta una volta in “versione scientifica” e un’altra in “versione mitica”. Qui possiamo concludere che il mito è un racconto stratificato nel tempo di un’esperienza reale (considerata tale persino se vissuta in sogno ossia “ricevuta dall’esterno”) subita o compiuta dai membri della comunità e fissata in una serie di parole (scelte con cura e per principio immutabili, sebbene sostituibili non appena il contenuto mitico diventi obsoleto o muti la comunità dove esso serviva) che il novizio deve attentamente ascoltare, ripetere e, quel che è più importante di tutto, assimilare incorporandolo nei propri atteggiamenti e nei modi personali di reagire di fronte al quotidiano.
E infine un’ultima considerazione: Il mito stratificato dal tempo perde a volte molto del suo valore originario storico e si concentra in stereotipi elementari (memi) che possono più facilmente passare come “pillole” al servizio della politica della classe dominante, trasformandosi in dogmi di fede che giustificano qualsiasi potere. Di esempi di tale uso dei miti la storia è piena a cominciare dai primi stati mesopotamici per giungere fino ai nostri giorni...

Se ciò è chiaro, i tratti basilari del mito sono quelli che Giambattista Vico aveva individuato già nel 1700: 1. Una descrizione del mondo in cui viviamo 2. Una morale pedagogica da apprendere affinché siano evitati danni fisici al proprio corpo e a quello degli altri e 3. Suggerire un comportamento ideale attraverso un personaggio e un evento mitici creando i modelli da imitare affinché nel novizio si costruisca una nuova personalità, tutta sua ma che riconosca l’ordine naturale e non osi disturbarlo con inutili devianze. Il mito non fa storia, ma morale, etica e costume.

Ciononostante le Mitologie Pagane continuarono a tramandarsi oralmente di generazione in generazione nelle società del Nord Europa. Sopravvissero ed evolsero, sebbene pesantemente inquinate di Cristianesimo. Purtroppo è arduo distinguerle e separarle fra di loro a causa dell’inquinante stesso che le ha penetrate ed alterate e, di conseguenza, i Paganesimi nordici sembrano molto simili e non a causa dei legami interpersonali stabilitisi fra le etnie a contatto per secoli in quelle “lontane” regioni! Certo, non si può che essere grati per l’area culturale del nordest europeo agli appassionati del XIX sec. per le sistemazioni in forma scritta del Kalevala finnico o del Kalipoeg estone o infine del Cantare della schiera di Igor e come pure delle byline, ma questo materiale è talmente sparso che non è facile riscrivere una mitologia senza scivolare nella speculazione. Alla fine condividiamo l’opinione della E. Levkievskaja che la Mitologia Russa in particolare è troppo giovane (non supera i 1000 anni d’età!) per metterla insieme con il metodo comparativo e partendo dal folclore popolare russo conservatosi fino ad oggi. Per di più, quando la ricercatrice russa contemporanea, T. I. Sen’kina, ammette che “i racconti popolari della Carelia (urgo-finnica) attraggono l’attenzione per le loro strette relazioni con le byline (russe)…” in circolazione nel mondo contadino dell’estremo nord, si riconosce implicitamente che una commistione di culture diverse c’è stata e c’è ancora e ciò rende il Paganesimo slavo-russo ancor più composito e articolato.

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Miti3000 nella persona di Rodolfo Furneri, ringrazia Aldo Marturano per questo prezioso contributo