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Ingevoni, Istevoni, Erminioni e la mutazione consonantica.

Le azioni passate (…) svelano nella loro vera luce le inclinazioni e i pensieri di ciascuno (…).
Se infatti si toglie alla storia l’analisi di perché, come e a che scopo fu fatto quanto fu fatto,
quello che resta è un pezzo che non è di nessuna utilità per il futuro.

 Polibio, Storie, lib. III 31,8-13

PREMESSA

La storia umana è movimento! Una premessa di tal genere si rende necessaria per comprendere ciò che in questo articolo potrebbe passare altrimenti come una serie di illazioni, forzature linguistiche e utilizzo strumentale degli eventi storici. Noi che abbiamo eletto lo storico Polibio a  maestro di metodo per ciò che riguarda la ricerca storica, partiamo dal presupposto che tutto possa rendersi comprensibile qualora da ogni evento si riesca a risalire alla sua causa. La causa prima che ha ingenerato l’evoluzione linguistica delle popolazioni indoeuropee crediamo sia attribuibile, in primo luogo, al “movimento” dei popoli. I popoli in passato, e ancora al presente, sono emigrati da un luogo all’altro del pianeta. Ad ogni nuovo contatto tra i popoli stanziali e i nuovi arrivati si sono prodotte inevitabilmente nuove modifiche sociali, più o meno complesse a seconda dell’affinità dei popoli che interagiscono. Noi siamo dell’avviso che in origine le migrazioni furono univoche, da nord verso sud, e ciò a motivo dei mutamenti climatici venutisi a creare nella parte settentrionale del globo, mutamenti che resero impossibile il normale svolgersi delle condizioni di vita dei suoi abitanti.

Queste migrazioni iniziarono in un’epoca così remota da rendere impossibile agli storici l’acquisizione di prove concrete circa il modo e le forme in cui esse si distribuirono sull’intero pianeta. Né d’altra parte si dispone di fonti certe circa le caratteristiche somatiche dei primi abitanti distribuiti sulla terra, la loro psicologia o le loro caratteristiche comportamentali. In mancanza di dati storici oggettivi abbiamo ricavato informazioni indirette da antichissimi testi ritenuti sacri, tra i quali l’Avesta. Questo libro sacro, rispetto ad altri, offre maggiori indizi sulla genesi della civiltà umana, anche perché i suoi riferimenti ad un’epoca glaciale che costrinse gli uomini ad abbandonare la patria originaria trovano riscontro negli studi dei geologi moderni. Non è casuale, dunque, che tutta la storia antica, fino al Medio Evo, documenti inequivocabilmente lo svolgersi di una  emigrazione che, come detto, si svolse in una direzione univoca: da nord verso sud.

LEGGE DI GRIMM

Ci siamo interrogati sui meccanismi in seguito ai quali il popolo comunemente indicato come indoeuropeo avesse nel tempo modificato la pronuncia di determinate consonanti, divenute pertanto, secondo la descrizione di Grimm, da occlusive sorde, fricative sorde (ad esempio p/f), o da occlusive sonore,  occlusive sorde (ad esempio b/p). Abbiamo notato che gruppi umani caratterizzati dalla medesima pronuncia, ossia da un uso sistematico delle occlusive sorde al posto delle sonore o viceversa, abitavano enormi aree geografiche in modo discontinuo, a macchia di leopardo. Approfondendo l’indagine ci siamo resi conto che a tali caratteristiche linguistiche si associa sistematicamente una peculiare visione del mondo, tanto strettamente correlata all’aspetto fonologico da far presumere che le differenze di pronuncia non fossero frutto di un’evoluzione o di una “rotazione consonantica” quanto piuttosto una peculiarità caratterizzante determinati gruppi umani.

LE STIRPI UMANE

I gruppi umani ai quali si fa riferimento, tuttavia, pur caratterizzati da una diversa visione del mondo e da un differente sistema fonetico, condividono certamente una comune origine, come figli nati da comuni genitori, tale da farli definire tutti germanici. Del resto innumerevoli sono i miti che riconducono l’origine delle stirpi umane ad un unico progenitore. Secondo il mito ebraico le tre razze umane sono derivate dai tre figli di Noè: da Sem i Semiti, da Cam i Camiti, da Jafet gli Arabi. Secondo il mito germanico dai tre figli di Manno, l’antenato della nazione, come lo definisce Tacito nel suo trattato Germania,  sarebbero derivate le tre stirpi germaniche: gli Ingevoni, che, a detta dello storico romano, sono “le popolazioni più vicine all’oceano”; gli Erminoni, “che occupano le zone di mezzo”; gli Istevoni, che sono “tutte le altre” popolazioni. Non è stato difficile, utilizzando il meccanismo della comparazione e delle analogie, identificare nei tre gruppi individuati da Tacito gli antenati di Scandinavi, Germani e Celti. Del resto, anche il significato dei nomi attribuiti dal mito alle tre stirpi germaniche è perfettamente riconducibile alla visione del mondo, cristallizzatasi in determinate caratteristiche caratteriali, ancora oggi ravvisabili, dei popoli su citati.

LA RUOTA DEL SOLE O SVASTICA

Capitello esposto nel Museo di Adrano
Capitello (Museo di Adrano)

La visione del mondo delle stirpi umane di cui sopra emerge con forza prorompente, oltre che dal linguaggio, dal sistema simbolico che, per sua natura, è capace di esprimere concetti difficilmente veicolabili tramite la lingua.  Mentre inoltre la corretta comprensione dei concetti espressi tramite la lingua, che è un organismo in evoluzione continua, è condizionata dalla conoscenza esatta del sistema linguistico, motivo per cui nel tempo inevitabilmente si perde parte del significato veicolato dalle parole e dal sistema grammaticale, la comprensione dei concetti affidati al simbolo si sottrae alla corrosione del tempo e si offre intatta ai lettori.

Il simbolo per antonomasia, capace, più d’ogni altro, di veicolare un’intera visione del mondo, è quello legato alla rappresentazione del movimento, di un dinamismo cioè che implica vitalità, evoluzione, creazione, continuità. Il concetto di movimento è da sempre così strettamente collegato a quello di vita da essere stato oggetto di speculazioni religiose e metafisiche nell’ambito di tutti i sistemi culturali, da quello dei Veda a quello dei Latini. Per questi ultimi il movimento, espresso sui piani fisico e metafisico, divenne un sinonimo di continuità della stirpe e, per estensione, di immortalità. Per esprimere tale concetto, i nostri antichi patres  non avrebbero potuto  utilizzare parola più efficace di gentes. Infatti, nel suo primo e antico significato, nel vocabolo si indicava “l’andante” (gehende)1 ossia il movimento continuo del gene dell’antenato trasmesso all’erede. Il movimento produce inevitabili cambiamenti, i quali determinano la storia stessa del singolo individuo e della collettività di cui egli fa parte. La storia umana è movimento, dalla direzione del quale dipende l’esito fausto o infausto dell’evoluzione. Sulle direzioni assunte dal movimento i nostri antenati elaborarono le loro prime speculazioni filosofiche o teologiche, attribuendo presagi fausti o infausti a seconda della direzione del movimento, che può svilupparsi su un piano orizzontale, verso destra o sinistra, e sul piano verticale, ascendente o discendente.

Ritrovamento di svastiche nel mondo antico. Ricerca dell’università di Yale
Ritrovamento di svastiche nel mondo
antico. Ricerca dell'università  di Yale

Il simbolo per eccellenza capace di incarnare il movimento è sempre stato il sole, l’astro più amato ed evocato, soprattutto da quei popoli che, per la loro collocazione geografica, meno degli altri ne subivano i benefici effetti. Infatti sorge a destra del pianeta per tramontare alla sua sinistra. Inoltre, durante l’apparente movimento di attraversamento della terra, compie un percorso su un piano orizzontale, da destra verso sinistra, e su un piano verticale, dal basso, l’oriente, verso l’alto, lo Zenit, che si trova a metà dell’intero percorso, nella “via di mezzo”, per poi tramontare seguendo una parabola discendente, fino al punto più basso ad occidente della terra. Il simbolo del sole e il suo apparente movimento antiorario è stato affidato ad un segno che, sotto forma di pitture, incisioni e sculture viene tramandato, immutato, da migliaia di anni: la ruota del sole, nella variante della croce inscritta nel cerchio, e la svastica.

La svastica, così come la croce inscritta nel cerchio, è una rappresentazione dei piani orizzontali e verticali  inscritti  all’interno di un cerchio aperto in quattro parti. A differenza della croce inscritta nel cerchio, che indica l’astro immobile, la svastica indica la direzione antioraria del movimento naturale e armonico dell’astro, da oriente (destra) verso occidente (sinistra); l’armonia implicita in tale movimento però può essere sconvolta. Infatti l’apertura del cerchio, coincidente con i quattro punti nei quali è possibile rappresentare graficamente i solstizi e gli equinozi, indica che esso, attraverso quelle quattro “porte”, può interagire col mondo esteriore. In linea di principio l’interazione dovrebbe avvenire in modo da permettere alle forze armoniche sviluppate dal potere dell’astro di correggere possibili deviazioni di percorso della terra, percorso da intendersi, metaforicamente, sul piano etico. Nella cultura veda, per esempio, per correggere un percorso etico deviato, venivano inviati sulla terra degli “avatar”. L’andamento armonioso era dunque simboleggiato dalla svastica con senso sinistrorso o antiorario, che raffigurava il corso del sole, col suo moto apparente da destra verso sinistra, da oriente verso occidente.

Per quanto il movimento antirotatorio sia il più naturale e armonico, in quanto sintonico con il movimento dell’astro, non sempre il simbolo della croce o della svastica, particolarmente importante per i popoli nordici ma adottato da quasi tutte le antiche civiltà del pianeta, si associa ad un movimento rotatorio antiorario.  In  questa sede intendiamo analizzare il significato attribuito, consapevolmente, a questi movimenti tra loro antitetici.

Disco d’oro greco dell’VIII sec. a.C.
Disco d’oro greco dell’VIII sec. a.C.

Crediamo che la svastica, rappresentata nel senso rotatorio ora verso destra ora verso sinistra, portava seco, quale stendardo primordiale, la volontà del popolo che la adottava di ostentare la propria posizione circa la visione del mondo, in merito a questioni d’ordine politico, sociale e metafisico. A seconda dell’interpretazione del proprio ruolo nel mondo e della via da percorrere per realizzarlo, i tre gruppi etnici di cui sopra adottarono un simbolismo, associato al movimento dell’astro, che si trasmise ai vari livelli dell’essere, da quello spirituale a quello pratico e addirittura linguistico. In merito alla direzione del movimento, fausto se antiorario, cioè naturale e armonico, infausto se orario, occorre precisare che in origine l’operatore del sacro, assumendo una posizione attiva rispetto alle forze extrafisiche che gli si manifestavano, interveniva su di esse, con la volontà di cambiarne il corso. L’evocazione di un movimento orario, innaturale, si dimostrava talvolta necessaria quando la cura ordinaria si dimostrava inefficace, quando cioè appariva indispensabile ricorre alla terapia d’urto, quale ultima ratio della quale servirsi dopo aver esperito l’inefficacia delle pratiche tradizionali. Ecco perché, dunque, si ritrova talvolta, in un medesimo popolo, il simbolo della svastica raffigurato con andamento rotatorio opposto. Del resto, il fatto che il significato legato alla sinistra quale lato infausto non sia da prendere in senso assoluto, sembra essere suggerito, per analogia, dalla mirabile perfezione dell’anatomia dello stesso corpo umano, dal momento che le inserzioni nervose sul lato destro del cervello si originano dall’occhio sinistro, mentre l’emisfero destro del cervello coordina la vista dell’occhio sinistro e viceversa. Ne costituiscono prova le svastiche raffigurate in una coppa d’oro greca del VII sec. a. C. ed nel pavimento a mosaico di una villa romana in Spagna. In entrambi i reperti, infatti, vi sono raffigurate tre svastiche con senso rotatorio uguale e una quarta con senso rotatorio opposto: tale ricorrenza suggerisce all’osservatore che trattasi di una regola evocatorio ben precisa.

Pavimento con svastiche
Pavimento con svastiche

Un’altra prova del consapevole utilizzo del senso rotatorio rappresentato dal simbolo,  emerge da una descrizione fatta da Posidonio sul comportamento dei Galli durante un banchetto, in seno al quale l’uso eccessivo del vino avrebbe provocato, come di consueto avveniva, risse e liti violente. In questa circostanza si faceva girare il coppiere, per mescere il vino agli invitati, da sinistra verso destra, mentre il senso opposto  veniva riservato per le cerimonie religiose. Certamente la predominanza di un movimento rispetto a quello opposto, come attestata dai ritrovamenti archeologici propri di un certo popolo, potrebbe indurre a ritenere che il simbolismo rotatorio prediletto fosse coerente con la visione del mondo del popolo in oggetto. È anche plausibile che la presenza del simbolo della svastica con movimento orario posta ad esempio nel pavimento della sala dei banchetti cui fa riferimento Posidonio, alludesse all’alta probabilità che potessero scaturire episodi violenza; allo stesso tempo la direzione antioraria impressa in una coppa esposta nel museo di Caltanissetta indicava il carattere rituale della mescita del vino solo per scopo augurale.

Oinochoe esposto nel museo di Caltanissetta
Oinochoe da Caltanissetta
Mosaico gallico. Museo di Lione
Mosaico gallico. Museo di Lione
Vaso ritrovato a Creta
Vaso ritrovato a Creta.

ETIMOLOGIA DEL TERMINE SVASTICA

Per quanto appaia ovvio che la svastica, simbolo del sole, sia nata originariamente nei luoghi in cui l’astro era più assente ed evocato e che sia successivamente emigrata, al seguito dei popoli che le avevano dato vita, verso l’assolato Sud, come attestato nell’Avesta, libro sacro degli Iranici, il termine che la designa compare per la prima volta, con il valore di mantra2, nel più antico testo sacro, i Veda3. Nessuna meraviglia dato che, come affermano Cesare e Tacito, i Germani non scrivevano, pur conoscendo la scrittura, ed affidavano alla forza della mente e dunque alla tradizione orale la trasmissione della conoscenza da maestro a discepolo. Nel Chandoya Upanisad, nel quarto Adhyaya, diciassettesimo Khanda, i evince come il sacerdote utilizzi il mantra “svah” al fine di correggere un sacrificio pregiudicato da una non corretta esecuzione, ossia al fine di ristabilire un ordine sconvolto a motivo di un errore nell’esecuzione di un rito. Grazie a quanto esposto in questa Upanisad non vi sono dubbi circa il potere di un sacerdote di influenzare gli accadimenti o anche di ristabilire l’ordine cosmico, attraverso la forza della mente e della parola.

Si sottolinea a margine che, in una nota alla Mandukya Upanisad, si legge che “svarga” significa cielo, mentre dal Candoya Upanisad apprendiamo che il sole rappresenta il “succo” del cielo. La conseguenza è che il termine sanscrito svah entra in stretta relazione con cielo, sole e con l’armonia che li lega. Potremmo pertanto azzardare una traduzione del termine svastica, formato dall’accostamento dei lessemi svah-ass-akt che, nella traduzione  verbum pro verbo, è interpretabile come cielo\sole\potere-atto4, cioè il potere dell’azione che incide sul cielo. Il Cielo va inteso quale luogo ove si decidono gli accadimenti.

TR E DR: DESTRA E SINISTRA.

Medaglione etrusco
Medaglione etrusco

Come affermato in premessa, è nostra convinzione che le caratteristiche linguistiche siano strettamente connesse con la weltanshauung di un popolo e con il suo stesso sistema simbolico.  Pertanto ad una pronuncia dura, fortemente gutturale, viene naturalmente associata ad una simbologia caratterizzata dalla presenza di elementi di forza, come il movimento rotatorio orario della svastica ad esempio. Il mondo antico considerava, infatti, violento il movimento che andava da sinistra verso destra, augurale quello da destra verso sinistra.

L’associazione tra caratteristiche linguistiche e sistema di pensiero non deve sorprendere, dal momento che il carattere di un individuo emerge già dal timbro della voce. Ad un tono forte si associa un carattere sicuro, prorompente e irruento mentre ad uno calmo un carattere riflessivo, che intende rassicurare il proprio interlocutore. Il linguaggio insomma è il riflesso di un moto interiore dello spirito che, identificandosi con la parola e utilizzandola quale proprio simbolo, la plasma conseguentemente.

Elmo macedone
Elmo macedone

SCANDINAVI, CELTI, GERMANI

Sulla base di quanto affermato, non sarà difficile associare le tre stirpi derivate dai tre figli di Manno con Scandinavi, Celti e Germani. La stirpe degli Erminioni, attestata da Tacito, può essere facilmente identificata con l’attuale popolo tedesco a motivo di un illustre antenato, il cui nome era un etnico che riconduceva proprio alla stirpe degli Erminioni: Arminio o forse, in origine, Erminio, il distruttore delle legioni romane che gettò nello sconforto l’imperatore Augusto. È probabile che il nostro eroe teutonico avesse assunto questo soprannome, la cui traduzione è “signore della mente”, in un momento in cui i Romani tentavano di sottomettere la Germania, al fine di ricordare ai suoi connazionali  la nobile origine della stirpe germanica: essi furono ed ancora si consideravano i “signori” gli Herren.

L’accostamento dei lessemi her (signore) e min (mente), contenuti nel nome Erminio o Erminioni, giustifica l’ammirazione di Tacito per questo popolo che, per austerità e coraggio, veniva paragonato dallo storico agli antichi patres romani. Gli Erminioni erano considerati i Signori che dominavano grazie al potere dell’intelletto, della mente, della volontà, del carattere fermo nel perseguimento di un fine. Tacito era chiaro sulla pronunzia gutturale dei Germani: “Sono, soprattutto, ricercati i suoni aspri, i mormorii spezzati, per ottenere i quali si pongono gli scudi davanti la bocca, perché la voce ripercossa, riecheggi più profonda e più forte”. È compatibile con una tale descrizione e con le loro caratteristiche comportamentali l’ipotesi di una pronuncia sorda anziché sonora (tr anziché dr) o gutturale anziché palatale (schi/e anziché sci/e). Seguendo questo ragionamento linguistico ed imitando il metodo dello studioso L. R. Mènager che, sulla base dell’onomastica, riuscì a compilare un censimento sulla presenza normanna nell’Italia meridionale, dovremmo credere di derivazione germanica il nome di Atreo, il padre di Agamennone e Menelao, i nomi dei quali, a loro volta, sono collegabili col nesso consonantico mn contenuto nell’etnico Erminioni e che significa mente. Dovremmo pensare altresì che toponimi quali Trento, Otranto, Atri siano stati apposti dai Germani ai propri possedimenti. Proseguendo su tale ragionamento ci si aspetta inoltre che il simbolismo della svastica adottato dai Germani sia legato ad un movimento rotatorio orario, da sinistra verso destra, ad indicare il desiderio di imperio, di espansione verso l’esterno, di imposizione tramite l’uso della forza.

Di contro gli Ingevoni, che noi crediamo progenitori degli Scandinavi, collocati geograficamente da Tacito vicino all’Oceano, prediligevano i suoni sonori dr anziché il corrispondente sordo tr e i suoni palatali sci, più dolci all’orecchio, rispetto al corrispondente gutturale schi, più duro. Sulla base del ragionamento espresso sopra, a motivo della presenza del nesso consonantico dhr, potrebbero attribuirsi ad una onomastica di origine scandinava i nomi di eroi quale Adrasto, la principessa Andromaca, i teonimi Odhr-in e Odhr-an, gli idronomi Adriatico, Adrana, i toponimi Andria, Adria, Idro. Coerentemente con quanto sopra affermato presumiamo che il simbolismo della svastica da loro adottato avesse un senso rotatorio antiorario e dunque naturale, armonico, sintonico con le leggi dell’universo. Ed avendo ormai spezzato ogni freno inibitorio circa la tesi da noi, in questa sede, sostenuta, andando agli estremi, potremmo perfino interpretare il significato dell’etnico Ingevoni: “Coloro che hanno scelto di anteporre una ricerca del sé interiore ad ogni forma di conquista esteriore”. Infatti, verbum pro verbo, la traduzione del nome deriva dall’accostamento di: in (dentro), ge (dare), vone (delizia, gioia) cioè “coloro che mettono gioia dentro”. Il senso rotatorio da destra verso sinistra, che si ritrova nel simbolo della trinacria5 dipinta in una coppa del XIII sec. a.C. rinvenuta a Palma di Montechiaro, nella svastica dipinta in un vaso esposto al museo di Caltanissetta, nella spirale incisa nel capitello di una colonna lavica esposta nel museo di Adrano, nell’andamento delle mucche incise nella coppa d’oro del XIII sec rinvenuta a S. Angelo di Muxaro, parte del tesoro del re Cocalo,  indica infatti un movimento inclusivo, di raccoglimento spirituale, una rotazione, cioè, attorno al proprio asse, al proprio centro, all’Io interiore, al fine di trovare un sostegno ed un equilibrio nella stessa propria interiorità. Gli Scandinavi non furono grandi conquistatori di territori, il loro numero rimane tutt’oggi esiguo, tuttavia l’ammirazione per il loro raggiunto equilibrio interiore fece sì che popoli interi si rivolgessero a loro per avere dei re, se dobbiamo dare credito alle Cronache di Nestore.

Statua litica ligure. La figura antropomorfa tiene nella mano sinistra tre strali
Statua litica ligure.
La figura reca
nella mano sx
tre strali

I Celti si ponevano in una posizione intermedia tra quelle, più estreme, occupate da Scandinavi e Germani. Non è forse casuale il loro continuo riferimento al termine Med (mezzo, metà), nome con cui è denominata un’importante regione dell’Irlanda. Infatti l’Irlanda si ritrova nel mezzo tra il nord, la Scandinavia, e il sud, la Germania. I Celti avevano aspetti caratteriali e religiosi propri degli uni e degli altri. Nel medo-celta Astiage si può notare l’aspetto violento dei Germani, che assume a tratti momenti di gratuita crudeltà, in particolare quando il re Medo, per punire il suo luogotenente Arpago, la cui colpa era stata quella di non aver eseguito alla lettera i suoi ordini, gli servì, durante un pasto, i propri figli opportunamente cucinati. Fu forse questo episodio che gli valse l’appellativo Astiage, “il giorno dell’odio”, da Hass (odio) e tage (giorno), il giorno cioè in cui si attirò l’odio non solo di Arpago ma della maggior parte della classe dirigente meda, tra cui Zarathustra, la quale, passando dalla parte di Ciro, fu causa della caduta del regno Medo. Che Astiage fosse Celta appare chiaro dal nome della figlia Mandane, composto dall’accostamento del lessema man mente e Dana, che era il nome della dea madre dei Celti. Che i Medi fossero celti appare ancora chiaro dal simbolo della lepre, legato alla vittoria, di cui Arpago si serve per comunicare con Ciro. Quanto a Ciro, il cui soprannome in persiano era Kurus’, mucca rossa, da (mucca) e russ (rosso), era celta per parte di madre, scandinavo per parte di padre; infatti i Vareghi svedesi venivano appellati rus6. Le testimonianze degli storici, in particolare di Senofonte, autore della Ciropedia, confermano da un lato l’insaziabile istinto all’imperium di Ciro, ereditato dalla madre Celta, ma dall’altro anche la saggezza, a tratti metafisica,  ereditata  dal padre scandinavo. Anche il nome della regione sottoposta ad Astiage, Media, sembra provare la provenienza dei Medi dal Med, cioè dalla terra di mezzo (anche se Tacito attribuisce tale origine geografica agli Erminioni).

La toponimia e l’antroponimia forniscono indizi in merito all’origine etnica di un gruppo umano. Non abbiamo dubbi, per esempio, sul fatto che fosse celta Medea. In questo caso non è solo il nome a tradire le origini celte ma lo è pure la pratica della magia in cui lei era esperta. Tra i Celti vi era un ordine sacerdotale molto carismatico, il quale gestiva tutto ciò che era in relazione con la dimensione extrafisica, quello dei Druidi; nella Media quest’ordine sacerdotale assumeva il nome Magi, termine che deriva dal verbo germanico mögen, desiderare, possedere, avere caro, rendere possibile. Le caratteristiche caratteriali attribuite da Apollonio Rodio nelle Argonautiche a Medea, che la descrive come una donna ambigua e maga, sono coerenti con quanto sopra affermato. Certo il fatto che Medea abitasse nella Colchide, nella costa orientale del Mar Nero, identificata con l’attuale regione caucasica della Georgia, dove è stato coniato il nome Sciamano (da sà-man, la mente che vede) e dove la pratica della magia o sciamanesimo è tutt’altro che estinta, pone l’interrogativo se la mitologia non debba essere studiata con una nuova apertura mentale.

I Celti, da noi ritenuti Istevoni, recano nel loro nome traccia della loro instabilità o doppiezza politica,  addebitabile all’irrequietezza interiore. Infatti il nome è composto da inste, che significa solleciti, fervidi, irrequieti, turbolenti, e forse dalla preposizione von, che in tedesco indica provenienza. La nostra intuizione prende corpo se riflettiamo circa il giudizio di Polibio sul carattere dei Celti, definiti posseduti da una irrequietezza attribuibile ad un moto irrefrenabile dello spirito.

Queste tre stirpi germaniche vivevano a stretto contatto, spesso si fondevano7 per esigenze belliche, qualche volta si scontravano a causa dell’insorgenza di conflitti dinastici. Anche in questo caso la lingua o, meglio, la pronunzia tradisce i complessi meccanismi di successione. La città di Gebus, governata da Saul, per esempio, cambia il nome in Ger-hus-alle-mann (casa degli uomini con la lancia), l’attuale Gerusalemme, quando cade nelle mani del biondo Davide, genero di Saul. La componente celtica del futuro re, definito dal fratello Eliab superbo e dal cuore malizioso (I Samuele 17,29),  è attestata da una serie di usi e costumi riscontrabili tra i celtici: per esempio l’abitudine dei Celti di tagliare la testa del nemico più valoroso e ostentarla come il più ambito tra i trofei si riscontra pure nel comportamento di Davide, che porta a Gerusalemme, per esporla, la testa del più temuto nemico, Golia.

Il caso di Saul e Davide ripropone l’identico meccanismo che si svolge nel conflitto per la successione e l’alternanza etnica tra Ciro e il suo nonno materno Astiage. La guerra civile e\o familiare tra Saul e Davide, innescatosi per l’avidità di singoli individui, nasconde un mai sopito orgoglio d’appartenenza a differenti etnie. In Palestina, del resto, spesso riemergevano sopiti riflussi etnici, come nel caso in cui ai fuggiaschi Efraemiti, indistinguibili dai Galaditi per caratteristiche somatiche e consuetudini, questi ultimi ordinavano di pronunciare la parola scibbolet, al fine di avere la prova della loro appartenenza etnica: la pronuncia sibbolet costituiva la prova dell’appartenenza al gruppo degli Efraemeiti, che vennero in tal modo identificati e passati a fil di spada (Giudici 12,6). Utilizzando una strategia similare, comparando lingua e sistema simbolico, abbiamo tentato di individuare le etnie originarie delle popolazioni del territorio S(i)kano e delle popolazioni comunemente indicate con il nome di Galli, Liguri, Micenei, Hittiti, Sumeri, Akkadi, Babilonesi, Assiri.

Tornando alle tre stirpi germaniche, originariamente distinte, ben presto si resero indistinguibili le une dalle altre, salvo la persistenza di talune caratteristiche linguistiche, formando infine una nuova etnia, estesa dalla Scandinavia alla Sicilia e dalla Spagna al Caucaso. Sul suolo italiano rimane traccia della cultura degli Ingevoni, citati Strabone (Geografia, lib, IV, 6,2), con la variante Ingavni, a proposito dei Liguri. Polibio aggiunge la tribù dei Decietes. Non abbiamo dubbi, anche grazie a queste attestazioni, che in Liguria, nel Lazio e in Sicilia sedimentarono le medesime tradizioni, portate da un unico popolo che, nel corso del proprio percorso migratorio, veniva denominato con appellativi differenti ma comunque attinenti rispetto alle loro caratteristiche. Nel Lazio è notevole osservare la presenza di un gran numero di toponimi riconducibili ai Liguri.  Strabone cita due tribù liguri con un nome che diventerà ricorrente nel Lazio, quella degli Albi e quella degli Albioci. Ricorderemo l’antichissima città laziale di Alba ed ancora il lago Albano, il monte Albano e l’antico nome del Tevere, che era Albula. Le stesse Alpi derivano il loro nome da Albi. Come non associare poi, il nome di Genua a Giano, il dio laziale della porta che i latini chiamavano gianua?  Perfino quando Giano mutò nome in Giove, non vennero dimenticate le antiche origini liguri dal momento che, come sostiene Polibio (Storie  III, 25,7), per tenere fede al I trattato con i Cartaginesi, avvenuto nel 508 a. C, i Romani, invocando i propri dei patri, giurano su Giove Pietra, appellativo che riconduce all’abitudine dei Liguri di scolpire le loro divinità in steli di pietra.

Virgilio cita la presenza Sicana nel Lazio. La medesima presenza si ha in Sicilia, che prende addirittura il nome dai Sicani. Si consideri inoltre che il nome del dio nazionale sicano in Sicilia era Odhr-Ano e di quello sicano nel Lazio era Jah-Ano; che in Liguria è attestata da Polibio la presenza della tribù dei Decietes e che in Sicilia Ducezio rappresentò uno dei più illuminati condottieri8. Le incisioni rupestri del monte Bego, al confine tra la Liguria e la Francia, dove erano stanziati gli Ingavni liguri, richiamano le incisioni delle rupi svedesi, dove vivevano gli Ingevoni. Così pure non può attribuirsi ad una coincidenza il nome Vara dato al maggior fiume ligure e il nome di Vareghi (vara-gehen, coloro che vanno sull’acqua o sui fiumi) che contraddistingue i Vichinghi svedesi. In Sicilia, alla presenza del teonimo Odhr-ano, affine allo scandinavo Odhr-in, si aggiunge la frequente presenza del simbolismo della svastica con senso antiorario, della ruota del sole o croce inscritta nel cerchio, della spirale, di toponimi di derivazione linguistica nord europea quali In-essa, Ass-or, Eithne, Cened-ur-iperia (Centuripe), Bala-gonne-nau(Palagonia) o di nomi di principi quali Ku-kalla (Kokalo), Teuto.

Ai lettori le conclusioni.

Prof. Francesco Branchina

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