ATENE
(Αθήνα)
a cura di Giorgio Manusakis
Tra mito e realtà
Rileggendo l'introduzione che l'amico Rodolfo, lo Zeus Tonante padre di questo sito, ha scritto alla sezione I luoghi del mito, non posso che concordare pienamente con lui. Per questo motivo ho pensato di scrivere questa premessa, che non va vista come premessa al mito di Atene, bensì a tutti i miti che avvolgono la Grecia e che può essere tranquillamente saltata da chi non sia interessato al pathos che il mito porta con sé, almeno a nostro modo di vedere.
Tornando alla bella introduzione del nostro Zeus Tonante, non crediate però che lui, che riesce così bene a trasformare il suo pathos in pagine web, in quanto tale possa essere l'unico a vedere satiri e ninfe nell'Ellade; a tutti è concesso questo divino privilegio, purché si abbia un minimo di sensibilità e il pathos del nostro Zeus Tonante. In realtà gli occhi di chi guardano i luoghi del mito ellenico, dovrebbero essere ben diversi da quelli che guardano un qualsiasi altro luogo del mondo.
Vediamo il perché: chiunque vada a visitare una città o un sito qualsiasi, solitamente si affida a delle guide turistiche che ne narrano la storia e ne elencano i luoghi più significativi da visitare e ciò è importante al fine di comprendere meglio e più affondo i luoghi che si stanno visitando e il significato degli stessi, ancor più se si tratta di un sito di particolare rilievo storico.
Ma questa regola fondamentale cade, almeno in buona parte, quando si va in Grecia.
Facciamo un esempio, paragoniamo due delle città storiche più importanti del mondo: Roma e Atene.
Roma è una città incantevole, ogni piccola pietra sembra trasudare la storia della sua epoca, con un passo si possono attraversare millenni passando dal Colosseo, simbolo romano per eccellenza, a piazza Venezia; visitare Roma senza conoscerne, almeno per grosse linee, la storia, sarebbe un errore imperdonabile.
Ma la stessa cosa non si può dire di Atene.
Certo, come sempre conoscerne la storia è importante, ma più importante ancora è conoscerne il mito.
Sapere quando e come è stato eretto il Partenone e non conoscere le origini mitologiche della città, del suo nome, il legame indissolubile che la lega alla più saggia delle dee, il significato religioso del suo tempio più famoso, il perché l'azzurro mare che si ammira dall'Acropoli è stato chiamato Egeo, prescindere, insomma, dal mito, sarebbe un errore altrettanto imperdonabile e questo discorso va ampliato a tutta l'Ellade; il mito è in ogni suo tempio e in ogni sua pietra, perché nell'Ellade il mito nasce prima della storia ed è questo che ogni visitatore di questa terra dovrebbe tenere ben presente, perché solo essendo coscienti di ciò e quindi visitando questi luoghi conoscendone i miti, si potrà apprezzare e capire l'essenza più profonda della terra del mito.
Andare a Naxos senza conoscere il mito che la lega a doppio filo con Creta e Atene, o andare a Delfi ignorando i numerosi miti legati al famoso oracolo, girare tra le rovine di Corinto o di Micene senza sapere chi fossero Medea o gli Atridi, sarebbe come visitare la cappella Sistina, alzare lo sguardo in alto e commentare, come in un celebre film: bello quel soffitto!.
A conclusione di questa premessa, che ritengo importante per il prosieguo del discorso, la differenza sostanziale tra Roma e Atene e, più ad ampio raggio, tra l'Ellade e qualsiasi altro Paese, è che così come per visitare Roma non si può prescindere dal conoscerne la storia, perché Roma è la storia, allo stesso modo per visitare Atene non si può prescindere dal conoscerne il mito, perché Atene è il mito e ovunque si vada in Grecia, non bisogna dimenticare mai che l'Ellade è la terra del mito!
In questo senso cercherò di descrivere l'Acropoli di Atene, ma non, come molti potrebbero pensare, perché è il più famoso sito mitico del mondo, né per l'elevato valore simbolico, unico a nostro parere, che racchiude in se, ma per le sensazioni che può trasmettere ad una persona non priva di sensibilità e che abbia un minimo di conoscenza del mito. Non crediate di poter vedere dei o ninfe in casa vostra una volta ultimata la lettura, non è quello lo scopo di questo scritto, ma speriamo che almeno vi possa servire a capire come anche voi, recandovi in Grecia e visitandola dalla prospettiva del mito e con un po' di pathos, potreste incontrare eroi, dee, ninfe e satiri, come è accaduto al nostro Zeus Tonante, ed anche a me.
Personalmente sono stato sull'Acropoli di Atene decine, forse centinaia di volte, eppure, ogni volta che vado ad Atene, non posso fare a meno di salire sull'Acropoli e dal Partenone guardare la città dall'alto, è come se Atena stessa mi attirasse verso il suo sacro tempio per poi accompagnarmi dolcemente per mano, facendomi entrare gradualmente, impercettibilmente, in un'isola dove il tempo sembra essersi fermato.
Molti descrivono Atene come una metropoli soffocata dal cemento e dallo smog, il che è vero come per tutte le grandi metropoli (benché l'ultimo lifting, fatto alla città in occasione delle olimpiadi del 2004, l'abbia notevolmente migliorata), ma credo che a queste persone sfugga il mito di Atene e che l'abbiano visitata, come gran parte dei turisti, arrivando con i loro pullman turistici e passando dall'asfalto alle pietre dell'Acropoli con un passo.
Ma già salire sull'Acropoli dalle strette stradine della Plaka, anziché dall'asfaltata strada sul lato opposto dove si fermano tutti i pullman turistici, permette alla persona di entrare piano piano nel mito; camminando tra queste stradine ci si scopre circondati dall'agorà romana, dall'antica agorà greca, dal tempio di Zeus e, salendo sempre di più, ci si ritrova a camminare su pietre rese levigate e scivolose dai millenni e, chiedendosi come facessero Pericle ed i suoi concittadini a non scivolare su quelle arcaiche pietre, ci si accorge di essere avvolti da alberi di ulivi dall'odore antico, forse rimasti lì per volere di Atena che, per proteggere il suo tempio più famoso, lo ha circondato di ulivi, quell'ulivo a lei sacro con cui convinse gli ateniesi a preferire lei, anziché lo zio Poseidone, come protettrice della città appena fondata.
È così che Atena può guidare il visitatore più sensibile al mito fino alla parte più alta dell'Acropoli facendolo entrare, in punta di piedi, per portarlo davanti alla maestosità delle antiche colonne quasi senza che se ne accorga, perché già immerso in una dimensione temporale che lo riporta indietro di millenni, come se quegli ulivi e il canto delle cicale, avessero la capacità di convincere Crono a far scorrere il tempo all'indietro.
Una volta dentro l'Acropoli tutto sa di mito, di antico, se non fosse per gli innumerevoli turisti con videocamere e macchine fotografiche, si potrebbe anche pensare di essere un abitante della poleis e, comunque, la storia e il mito si incontrano su quel magico colle, là dove finisce il Partenone e si va verso una sventolante bandiera greca alla cui destra, prima di salire verso di essa, si può leggere una targa posta in memoria dei patrioti greci morti dopo essere saliti sull'Acropoli e aver rimesso la bandiera greca al posto di quella nazista, indegnamente innalzata sulla più sacra collina di chi aveva creato il più alto ideale politico e di libertà: la democrazia; a testimonianza di un orgoglio e un senso di libertà nazionale antico di millenni.
Raramente trovandomi sulla sacra collina ho pensato alla storia del Partenone, quando fu eretto, i suoi dati artistici, tecnici etc; sempre, invece, vengo rapito dalle sensazioni che provo quando sono lì; penso al mito che rappresenta e non posso fare a meno di ascoltare il suo richiamo quando sono ad Atene e già da quando passeggio nelle stradine della Plaka, avverto un aria dal sapore di mito, poi, salendo sulla stradina dalle scivolose pietre, avvolto dagli ulivi mi sento completamente immerso nel mito e lascio che la calda e leggera brezza mi porti dove la dea saggia desidera; in fondo penso che sia lei a mandare Zefiro affinché mi indichi la strada che lei vuole io percorra e quelle rare volte che Zefiro non c'è, penso sia perché la dea vuole vedere quale delle tante strade che portano al suo sacro tempio prenderò.
È passeggiando così per l'Acropoli, che si possono immaginare satiri che inseguono ninfe tra gli ulivi, vedere Zeus litigare con Era vicino al suo tempio, Apollo suonare la lira e scorgere lontano Poseidone troneggiare sull'Egeo col suo tridente; è immergendosi nell'aria mitica di questi luoghi, che una persona con un minimo di sensibilità e un po' di pathos, può percepire la presenza, altrimenti invisibile, di tutti gli esseri che popolano il favoloso mondo del mito; è lasciandosi prendere per mano da dei, eroi, satiri e ninfe che ci si ritrova proiettati nel loro fantastico mondo e si riesce finalmente a vederli ovunque, sull'Acropoli come, e più facilmente ancora, tra le rovine di Micene o Delfi; ma anche facendo un bagno nella baia di Assini sarà facile, volgendo lo sguardo verso le antiche mura, scorgere Agamennone, Ulisse, Achille e gli altri eroi greci, pronti a partire con le loro navi alla conquista di Troia.
È solo lasciandosi catturare dal mito, che il mito spalancherà le porte del suo mondo che, da quel momento in poi, potrà essere percepito in ogni piccola pietra della sua mitica terra: la Grecia!
Ma adesso mettiamo da parte quelle che possono essere solo le sensazioni personali di ognuno e vediamo cosa ci racconta il mito a proposito di Atene.
Il mito
Come abbiamo detto, Atene è l'incarnazione stessa del mito, è ciò si capisce già dall'origine del suo nome.
Difatti, com'era usanza a quei tempi, gli dei si dividevano le città mettendole sotto il loro protettorato. Quando sorse, Atene fu disputata da due tra i più potenti dei dell'Olimpo: Poseidone, dio del terzo dell'universo che era il mare (nonché potentissimo fratello di Zeus), e Atena, la più saggia delle dee, figlia dello stesso Zeus.
Entrambi i contendenti cercarono di conquistarsi i favori degli Ateniesi con dei doni; su Poseidone ci sono diverse versioni: Virgilio nelle Georgiche sostiene che il dio donò loro il primo cavallo, facendolo emergere dalla terra con un colpo del suo tridente; Apollodoro (Biblioteca - III, 14), invece, narra che Poseidone fece apparire un vero e proprio mare sulla collina che sarebbe poi divenuta l'Acropoli; Pausania riduce le dimensioni del mare ad una pozza d'acqua salata su cui venne poi costruito un pozzo, ma dice anche che, quando soffiava il vento del sud, era possibile sentire dal pozzo le onde del mare e che sulla pietra vi era inciso un tridente.
Ma, nonostante l'importanza dei doni di Poseidone, Atena riuscì a prevalere e grazie ad un unico, semplice dono, su cui non ci sono dubbi: una pianta di ulivo. La dea, nella sua divina saggezza, comprese bene che quello sarebbe stato il dono più utile, difatti quale altra pianta sarebbe potuta essere più adatta a crescere nell'arido terreno ateniese? Ancora oggi si può visitare il luogo della disputa, lì infatti fu costruito l'Eretteo (o il Pandrosio) e al suo interno c'erano sia il pozzo descritto da Pausania che l'ulivo donato da Atena. Il giudizio su chi tra i due dei dovesse vincere la contesa, fu emesso dagli ateniesi stessi.
Si racconta che il primo re di Atene, Cecrope, invitò tutta la cittadinanza a votare e questa si espresse con un voto che non si può proprio definire imparziale, infatti pare che le donne si siano espresse a favore di Atena e gli uomini a favore di Poseidone, ma essendoci tra la popolazione una donna in più, prevalse la dea. Esistono, ovviamente, anche altre versioni in merito, una dice che sia stato il solo Cecrope a decidere, un'altra che invece sia stato Zeus stesso a scegliere chi tra il fratello e la figlia dovesse aggiudicarsi la nuova città sorta, mentre un'altra ancora racconta che il padre di tutti gli dei convocò addirittura il collegio degli dèi dell'Olimpo invitandoli a votare, votazione, avvenuta con lo stesso schema di parzialità degli umani, e cioè: le dee con Atena, gli dèi con Poseidone.
Sarebbe finita in parità, ma essendosi lui stesso astenuto, forse per non rischiare di essere accusato di parzialità, le dee prevalsero per un voto in più. A questa contesa divina, dobbiamo una serie di altri miti che ad essa vanno collegati. Secondo qualcuno infatti, Poseidone, irritato dalla sconfitta, meditò vendetta e istigò Efesto, che a suo tempo aveva molto contribuito alla nascita di Atena, a chiederla in sposa o, secondo altri, a possederla comunque in qualche modo come ricompensa per il suo aiuto. Com'è ovvio, anche il continuo di questo mito prende strade diverse, infatti una versione dice che Efesto cercò di possedere Atena senza riuscirci, ma essendosi comunque eccitato, fece finire il suo seme sulla coscia della dea chiamata da sempre Parthenos, cioè Vergine, e notoriamente estremamente pudica, e questa, ovviamente disgustata, si ripulì con della lana o con della polvere che poi buttò a terra dove Gea, la madre terra, accolse il seme di Efesto, un seme comunque divino, e da questo nacque Erittonio.
Un'altra versione racconta che Efesto ottenne di poter sposare Atena e, dopo che le nozze ebbero luogo, la portò sul letto nuziale, ma lì la dea, che teneva alla sua verginità più di ogni altra cosa, svanì e il seme di Efesto finì a terra sempre raccolto dalla madre terra Gea che generò Erittonio.
Un'altra storia, meno conosciuta, racconta che Atena generò ad Efesto un figlio chiamato Apollo e che Atene fosse sotto la sua protezione; i particolari di questa storia scarseggiano, ma sia ad Atene che a Delo si raccontava che Leto, madre di Apollo, fu aiutata da Atena durante la sua fuga a Delo dove partorì Apollo.
Tra le tante cose belle, la mitologia ha anche la molteplicità delle versioni tra cui il lettore può scegliere quella più di suo piacere e spesso la conclusione è unica, come nel caso che stiamo esaminando; infatti, quale che sia la versione che più vi piace, la conclusione è che dal seme di Efesto nacque Erittonio, mentre Atena, per senso materno o per pietà, dato che Gea aveva rifiutato il nascituro, lo prese con se, ma volendolo tenere segreto agli occhi degli altri dèi (in particolare di Poseidone) per difendere la sua reputazione, lo nascose in un cesto rotondo o in una cassa che affidò alle tre figlie di Cecrope: Erse, Pandroso e Aglauro, vietando loro tassativamente di guardare all'interno del cesto.
Vi sembra possibile dire una cosa del genere a ben tre donne e sperare che lo facciano? Ovviamente no, altrimenti non si direbbe che la curiosità è donna ma, per quanto strano, Atena aveva evidentemente avuto un vuoto di saggezza e le tre ragazze, Aglauro in testa, altrettanto ovviamente guardarono nel cesto, e cosa videro? Naturalmente ci sono diverse versioni, ma che conducono ad un unico elemento: un serpente.
Sembra, infatti, che il cesto contenesse proprio un serpente, almeno secondo alcuni; secondo altri c'era Erittonio protetto da uno o addirittura una coppia di serpenti e il bimbo, all'apertura del cesto, si trasformò anch'egli in un serpente; altri ancora raccontano di un bambino con una coda di serpente al posto delle gambe o che Atena avesse successivamente partorito un serpente.
Qualunque cosa ci fosse nel cesto, le ragazze vedendolo impazzirono di paura e si gettarono dal punto più alto della roccia che poi divenne l'Acropoli, almeno secondo la versione più famosa, ma un'altra diceva che furono perseguitate dai serpenti; Apollodoro, a sua volta, ci racconta che fu Erse a convincere la sorella Pandroso ad aprire il cesto e che Aglauro che era con loro al momento dell'atto sciagurato, era la loro madre e non la sorella.
Erittonio comunque, umano o rettile che fosse, si rifugiò nello scudo di Atena, dove lo troviamo raffigurato nelle ricostruzioni della statua in oro e avorio di Fidia che era nel Partenone. Ad informare dell'accaduto Atena, mentre la dea stava trasportando una roccia che intendeva porre sull'Acropoli al fine di renderla inaccessibile ai nemici, fu una cornacchia e, poiché a quel tempo non esisteva ancora il detto ambasciator non porta pene, Atena maledisse il volatile del malaugurio che fino ad allora era il suo uccello prediletto e trasformò le sue penne da bianche in nere.
Distratta da questo evento, la dea non portò la roccia sull'Acropoli, ma la lasciò cadere in quel punto che divenne il colle Licabetto (sulla cornacchia una storia simile ce la racconta Ovidio nelle Metamorfosi, II, solo che in questo caso è Apollo a maledire il povero uccello. In ogni caso, altre regioni della Grecia resero giustizia al povero uccello continuando a preferirlo). Circa l'episodio della cornacchia, chi di voi è stato ad Atene si sarà chiesto il perché i negozi di souvenir sono pieni di statuine raffiguranti una civetta, che poi è il simbolo di Atene e di Atena. Il motivo è presto detto: Atena, oltre a maledirle e ad avergli cambiato colore, impose alle cornacchie di non tornare mai più a volare sull'Acropoli e da allora la dea affidò la custodia dei suoi segreti alla cittadella sacra, dove veniva anche venerata, e la civetta che tanto facilmente trovate ad Atene, divenne il suo uccello preferito, tanto che spesso nelle antiche raffigurazioni indicava Atena stessa.
Va inoltre ricordata la trasformazione di Ascalafo in gufo ad opera di Demetra (vedi i luoghi del mito Eleusi) e che, anche se non sembra avere nulla a che fare con Atena, la dea saggia veniva tuttavia chiamata dagli ateniesi la loro Kore, ossia la loro Persefone, tant'è che l'antica statua di Fidia in oro e avorio di Atena Nike, che era all'interno del Partenone, aveva in una mano un elmo e nell'altra un melograno (attributo di Persefone).
Ma torniamo un attimo indietro, precisamente a Cecrope e le sue figlie.
Il mito dà per certo che lui fu il primo re di Atene e lo descrive come un essere primordiale, metà serpente e metà uomo, nato dalla terra stessa e quindi autoctono, cosa di cui si vantavano anche gli ateniesi i quali si appellavano Cecropidi o autoctoni ritenendo loro stessi discendenti di Cecrope e quindi originari dell'Attica. Cecrope sarebbe stato anche il primo re a introdurre la monogamia, il culto degli dèi, l'usanza di seppellire i morti e a dividere l'Attica in dodici comunità.
Le tre figlie di Cecrope, la cui moglie si chiamava Aglauro o Agraulo, cioè colei che abita sul campo, venivano chiamate anche le Aglauridi o drakaulos, coloro che dimorano con il serpente e, come abbiamo detto, si chiamavano Erse - goccia di rugiada, Pandroso - completamente irrorata di rugiada e Aglauro - splendida.
Sulla morte di quest'ultima si narrano diverse storie: la più conosciuta, come già detto in precedenza, vuole che fosse stata lei a istigare le sorelle ad aprire il cesto contenente Erittonio e che morì lanciandosi nel vuoto con loro; un'altra la riabilita narrando di un assedio che Atene subiva e che, secondo un oracolo, sarebbe terminato con la sua caduta a meno che un cittadino non si fosse sacrificato lanciandosi nel vuoto dal punto più alto dell'Acropoli; come avrete intuito, la nostra Aglauro si offrì volontaria al sacrificio e salvò Atene; in merito a questa versione, va ricordato che sull'Acropoli esisteva un tempio di Aglauro ove gli ateniesi chiamati per la prima volta alle armi giuravano fedeltà alla città, inoltre ad Atene veniva celebrata una festa chiamata Agraulie.
L'ultima storia è legata alla sorella Erse e al dio Hermes. Si racconta che il dio si fosse innamorato di lei dopo averla vista insieme alle sorelle in una processione. Dovete sapere che le tre sorelle vivevano in una casa sull'Acropoli, dove in seguito avrebbero dimorato le Arrefore, le vergini ateniesi al servizio di Atena; la casa era di tre stanze, ma Erse, essendo la più bella delle sorelle, doveva essere meglio protetta, per cui si vide assegnata la stanza di centro, alla sua sinistra dimorava Aglauro e alla sua destra Pandroso. Hermes, volendo raggiungere Erse, chiese ad Aglauro di passare attraverso la sua stanza e lei acconsentì previo adeguato compenso in oro; successivamente, però, Aglauro divenne talmente invidiosa della sorella (qualcuno sostiene per volere di Atena) che si mise davanti alla sua porta impedendo ad Hermes l'accesso alla stanza. Vi sembra possibile fermare in qualche modo un innamorato, per di più un dio? Ovviamente no, ed essendo gli dèi dell'Olimpo notoriamente permalosi e facilmente irascibili, Hermes non si limitò a scavalcarla, ma con un tocco della sua verga d'oro la trasformò, cosi com'era seduta, in una statua di pietra, per poi raggiungere la sua amata; dall'unione di Hermes con Erse nacque Cefalo, che fu il prediletto della dea Eos.
Ma Aglauro forse non aveva motivo di essere invidiosa; il mito, infatti, ci narra anche di un suo flirt con un dio del calibro di Ares, con cui anche lei ebbe la sua discendenza divina, una figlia chiamata Alcippe, la cavalla coraggiosa, che fu la causa del primo delitto d'onore di cui si abbia conoscenza.
Allirozio, figlio di Poseidone, osò violentare Alcippe; potreste mai credere che Ares, il temutissimo dio della guerra, sarebbe mai passato sopra ad un affronto del genere? Naturalmente non lo fece e si vendicò nel modo per lui più naturale: uccidendo Allirozio. Poseidone, a quel punto, convocò il tribunale degli dei chiedendo di punire Ares per l'omicidio del figlio; questo processo divino non ebbe luogo, come si potrebbe credere, sull'Olimpo, bensì su un'altura a ovest dell'Acropoli che, da allora, si chiama Areopago, colle di Ares.
A Micene si raccontava, inoltre, che sull'Areopago Atena riunì il primo tribunale composto da uomini, esso fu chiamato a giudicare Oreste per matricidio, e in seguito gli ateniesi insediarono lì il tribunale che giudicava i casi di omicidio; ancora oggi il tribunale greco chiamato ad emettere il più alto grado di giudizio, si chiama Areopago. Per la cronaca, il tribunale degli dei assolse Ares giustificando, di fatto, il delitto d'onore e il tribunale degli uomini assolse Oreste, ma bisogna anche dire che quest'ultimo si avvaleva di un avvocato difensore del calibro di Apollo e dell'appoggio determinante di Atena.
Chiudiamo i racconti sulle tre figlie di Cecrope, dicendo che alcuni raccontavano che per gli ateniesi esse rappresentavano le Moire, ovvero le tre dee del fato che presiedevano alla vita dell'uomo dalla nascita alla morte. Erittonio, che alcuni vogliono figlio di Cecrope, divenne re di Atene. Di lui il mito racconta che inventò la quadriga e che per questo motivo, dopo la sua morte, fu collocato nella volta celeste trasformato nella costellazione dell'Auriga; si narra anche che Atena gli avesse donato due gocce di sangue della Gorgone Medusa (una serviva ad uccidere, l'altra aveva il potere di far resuscitare i morti) legandogliele al suo corpo, dalle forme serpentine, con delle bende auree. Erittonio, com'è ovvio, teneva molto alla saggia dea e si racconta che sia stato lui a far erigere il primo tempio di Atena sull'Acropoli e ad istituire le Panatenee, le più importanti celebrazioni sacre ateniesi.
Alla morte di Erittonio, re di Atene divenne il figlio Pandione, ma questi non godette a lungo di tale privilegio a causa del dolore mortale infertogli dalle due figlie Procne e Filomela, almeno stando a questo racconto: durante il suo regno Atene venne a conflitto con Tebe e Pandione, per volgere a suo favore le sorti della guerra, si rivolse al re dei Traci, Tereo; questi vantava un padre che, in fatto di guerra, era indubbiamente superiore a chiunque, dio o mortale: un certo Ares; gli fu facile, a quel punto, sgominare i tebani e, al fine di ringraziarlo, gli diede in sposa sua figlia Procne.
La dolce sposa però, trasportata in un paese barbaro, lontana dalla sua famiglia e dalla civiltà di Atene, chiese allo sposo di poter rivedere la sorella. Tereo, da marito comprensivo e disponibile, non solo le rispose di si, ma si recò personalmente ad Atene a prendere Filomela; purtroppo durante il percorso non si comportò da marito altrettanto perfetto, infatti si invaghì della bella cognata e appena giunto in Tracia le usò violenza in una stalla ove poi la tenne rinchiusa e non si fermò qui, infatti, le recise la lingua per evitare che potesse raccontare quanto accaduto, quindi disse alla moglie che la sorella era morta. Filomela, però, riuscì a raccontare la verità alla sorella che la credeva morta, ricamando la storia su un pezzo di stoffa e facendoglielo pervenire in qualche modo. Procne, appresa la verità, con un sangue freddo degno di un androide, fece finta di niente con il marito, quindi approfittò di una festa dionisiaca per liberare la sorella travestendola da Baccante, si recò con lei alla reggia e uccise il proprio figlio Itis (erede al trono), poi, precorrendo i tempi come spesso accade nel mito, in pieno stile Hannibal the Cannibal, lo fece a pezzi e, dopo averlo cucinato in vari modi, lo servì a tavola al marito (magari anche con un sorriso) il quale, ignaro del tutto, lo trovò pure gustoso; purtroppo per lui, però, non lo trovò più nel palazzo e fu proprio a quel punto che Procne gli rivelò la verità, seguita da Filomela che irrompendo nella sala, getta in faccia al padre la testa sanguinante del povero Itis (vedi Metamorfosi di Ovidio).
Cosa non avrebbe fatto Tereo per ridare la vita al figlio? Ma resosi conto che anche strapparsi il petto non sarebbe servito a nulla, sfoderò la spada e iniziò a inseguire le due sorelle, verosimilmente per dare loro la stessa sorte toccata al figlio. Ma gli dèi, che forse preferivano non assistere ad un altro macabro spettacolo, trasformarono i tre in volatili e, per essere più precisi, Filomela divenne una rondine che non ha lingua, Procne un usignolo che tristemente chiama Itis, Itis e Tereo un'upupa che continua a chiedersi pou, pou (in greco dove? dove?) alla ricerca del figlio.
Di questo mito vi è un'altra versione in cui la storia rimane sostanzialmente la stessa, ma con piccole variazioni; chi la racconta scrive che Tereo, innamoratosi di Filomela, rinchiuse Procne in una capanna nei pressi della reggia e disse al padre, Pandione, che era morta. Il re di Atene, sebbene rattristato dalla presunta morte della figlia maggiore, si riteneva sempre in debito con Tereo, quindi gli offrì in moglie la seconda figlia Filomela e la fece accompagnare da lui dai soldati ateniesi, ma prima che la ragazza giungesse a destinazione per le nozze, Tereo uccise le guardie di scorta e abusò di lei. Procne, dalla sua prigione, venne comunque a sapere quanto era accaduto e Tereo pensò bene di impedirle di raccontarlo tagliandole la lingua e segregandola nel quartiere degli schiavi. Tuttavia Procne riuscì a ricamare, sul manto nuziale destinato alla sorella, il seguente messaggio: Procne si trova tra gli schiavi e quando Filomela lo lesse, si recò immediatamente a liberare la sorella, quindi espresse la volontà di vendicarsi. A questo punto Procne, come nella versione precedente, trovò Itis, lo uccise e lo cucinò in un pentolone di rame per poi imbandirlo sul tavolo di Tereo. Ora dovete sapere che in realtà Tereo, oltre a Itis, aveva anche un altro figlio, Driante. A Tereo prima di essere scoperto dalle due sorelle, un oracolo gli aveva predetto che Itis sarebbe morto per mano di un congiunto e lui, convinto che l'oracolo si riferisse a Driante che, a quel punto, sarebbe divenuto l'erede al trono, lo uccise con un colpo d'ascia; sapendo ciò potete facilmente immaginare quanto dovette impazzire apprendendo di essersi mangiato l'unico figlio rimastogli. E pazzo d'ira iniziò a inseguire le due sorelle impugnando la stessa ascia con cui aveva ucciso Driante, ma nell'istante stesso in cui stava per ucciderle, non volendo assistere ad altri crimini, intervennero gli dèi trasformandoli in uccelli; in questa storia però, Filomela diventò un usignolo e si rifugiò in Atene piangendo per sempre Iti col suo canto iti, iti, immersa nei suoi sensi di colpa per aver involontariamente causato la morte del giovane; Procne divenne una rondine che non riesce a cantare senza lingua e strilla volando sempre in tondo, mentre Tereo fu trasformato nell'upupa che insegue gridando pou, pou.
In Focide si raccontava che gli usignoli non cantavano in Daulide e le rondini non vi nidificavano, per timore di Tereo. Igino racconta che Tereo fu trasformato in sparviero, altri invece dicono che gli dèi lo tramutarono in un falco. Come abbiamo detto all'inizio di questo racconto, il re Pandione morì di dolore dopo aver appreso l'intera storia; a lui successe, sul trono di Atene, il figlio Eretteo.
Eretteo ebbe quattro figli e sette figlie, una di queste, Orizia, ebbe una figlia da Borea, Chione, che, a sua volta, ebbe un figlio da Poseidone, Eumolpo, ma per evitare le ire del padre, lo gettò in mare; Poseidone vegliò su di lui e Eumolpo, dopo una serie di avventure che lo portarono in Etiopia e a Eleusi (si dice anche che fosse sacerdote dei Misteri) diventò re di Tracia e appoggiò Eleusi nella guerra contro Atene, ma, nonostante il sacrificio delle sue tre figlie, fu sconfitto da Eretteo che lo uccise mentre era in fuga. Poseidone chiese vendetta a Zeus e questi uccise Eretteo con la sua folgore, ma altri sostengono che fu lo stesso Poseidone ad ucciderlo colpendolo con il suo tridente a Macrae e narrano che lì la terra si aprì e ne accolse il corpo. Alla morte di Eretteo, si scatenò la guerra al trono di Atene tra i figli Cecrope, Pandoro, Metione e Orneo. Nella confusione degli intrecci anche genealogici che ne seguono, apriamo una parentesi di chiarezza narrando di Ione, di cui ci racconta splendidamente Euripide in una delle sue tragedie.
Ione era, ufficialmente, figlio di Xuto (o Suto) e Creusa; Xuto era un principe della Tessaglia che sposò ad Atene Creusa, una delle figlie di Eretteo. Fin qui tutto semplice, ma sappiamo bene come il mito intrecci le sue trame; infatti Euripide racconta che prima di Xuto, Apollo, in una grotta posta al di sotto dei Propilei ateniesi, giacque segretamente con Creusa e che Ione fu il frutto di questo amore. Creusa, volendo tenere il fatto segreto, depose il piccolo in un canestro, esso, per volere di Apollo, fu raccolto da Hermes e portato a Delfi dove la Pizia si curò di lui.
Nel frattempo Xuto e Creusa non erano riusciti ad avere eredi e, dopo non poche perplessità, decisero di rivolgersi all'oracolo delfico; il responso fu che Xuto avrebbe incontrato suo figlio appena fosse uscito dal santuario e la prima persona che Xuto incontrò fu Ione.
Entrambi furono molto felici di ritrovarsi e Xuto lo invitò ad andare ad Atene con lui, invito che Ione accettò dopo molte riflessioni. Xuto si convinse che quel figlio fosse frutto di un peccato di giovinezza, quando aveva preso parte alle orge dionisiache di Delfi e, per non offenderla, aveva omesso di dire a Creusa il responso dell'oracolo, ma la moglie lo venne ugualmente a sapere e decise di uccidere Ione mettendo del veleno nella sua coppa del vino durante il banchetto di festeggiamento, ma una colomba, inviata dagli dei, assaggiò il vino prima di lui e morì; Ione, com'è ovvio, si infuriò e Creusa scappò trovando rifugio presso l'altare di Apollo, ma proprio mentre Ione stava per arrivare a lei, intervennero le sacerdotesse narrandogli la verità e, per convincere anche Creusa del tutto, diedero a Ione il canestro in cui era stato esposto e degli oggetti che la madre immediatamente riconobbe. Tuttavia le sacerdotesse dissero al ragazzo anche che Xuto doveva continuare a credere che Ione fosse il frutto di un suo amore fugace con una Menade.
Euripide, dopo aver dato a Ione una madre e un padre umani e una paternità divina, chiude il quadro facendo apparire Atena; la dea rivela a Xuto che egli avrà da Creusa altri due figli: Doro e Acheo i quali, insieme a Ione, saranno i capostipiti delle tre razze che da loro prenderanno il nome. Ione sposò Elice, figlia di Selino re di Egialo, dai figli nati dalla loro unione presero il nome le quattro classi sociali principali di Atene: agricoltori, artigiani, sacerdoti e guerrieri.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo alla guerra di successione al trono di Eretteo.
Xuto si schierò con Cecrope, il quale era il maggiore dei figli di Eretteo, e per questo fu costretto a fuggire dall'Attica. Cecrope, a sua volta, scappò a Megara e poi in Eubea, lì si alleò con Pandoro fondando una colonia e il trono di Atene toccò al figlio di Cecrope, Pandione, almeno finché i figli di Metione non lo costrinsero a scappare a Megara; lì Pandione sposa Pilia, figlia di Pilo o Pilone, con cui genera quattro figli: Egeo, Pallade, Niso e Lico; questi, alla morte del padre, tornarono ad Atene e scacciarono i figli di Metione, quindi si divisero l'Attica, di questa ad Egeo spettò Atene; a lui si deve il nome dell'azzurro mare di Grecia in cui si suicidò credendo che il suo amato figlio Teseo, partito per Creta con la missione di uccidere il Minotauro, fosse morto.
Ma questa è un'altra storia, noi, invece, adesso racconteremo brevemente le gesta ateniesi del suo celebre figlio Teseo, il più grande tra gli eroi di Atene, la cui vita è narrata splendidamente da Plutarco. Egeo ebbe due mogli, Melite e Calciope, ma con nessuna delle due riuscì ad avere figli, quindi, convintosi che ne fosse causa la collera di Afrodite, introdusse ad Atene il culto della dea, poi si recò a Delfi per consultare l'oracolo. Il responso della Pizia, piuttosto maliziosamente, consigliò ad Egeo di non aprire la bocca del suo rigonfio otre di vino fino a che non fosse giunto ad Atene, altrimenti ne sarebbe morto di dolore. Ma, come spesso accadeva con gli oracoli, non fu di facile interpretazione, almeno per Egeo il quale, perplesso, si avviò sconsolato verso Atene. Forse sarebbe dovuto essere più saggio e tornarci nel più breve tempo possibile, ma Egeo si fermò una prima volta a Corinto, dove Medea, che già meditava la sua terribile vendetta contro Giasone, in cambio della promessa di usare la sua magia per dargli un'erede, si fece promettere di essere protetta dai suoi nemici nel caso fosse stata costretta a trovare rifugio ad Atene. Successivamente Egeo pensò di fermarsi a Trezene, dove vi era il suo amico Pitteo. Dovete sapere che Pitteo era considerato un uomo saggio e sapiente; fondatore del santuario di Apollo Oracolare a Trezene, di lui si narrava che insegnasse l'arte oratoria nel santuario delle Muse a Trezene e che consacrò un altare a Temi.
Date queste credenziali, Egeo credette bene che valesse la pena fare una deviazione al fine di consultare il suo amico circa il responso della Pizia; in fondo chi, meglio di lui, avrebbe potuto interpretare quelle parole! Qualcuno ha più di un sospetto sul fatto che Pitteo abbia saputo o meno interpretare quell'oracolo, si insinua che fece anche ubriacare Egeo per essere più sicuro della riuscita del suo piano: far giacere Egeo con la figlia Etra; in tal modo, infatti, avrebbe in un sol colpo dato marito alla figlia e il trono di Atene al nipote che sarebbe nato e che avrebbe causato, secondo l'oracolo, la morte di Egeo. La ragazza aveva già avuto una travagliata storia d'amore con Bellerofonte di Corinto a cui era promessa ma, per fatti che non racconteremo qui ma che troverete nelle altre pagine di miti3000, questi fuggì in Caria prima delle nozze e Etra non credeva possibile un suo ritorno; si aggiunga che, secondo alcuni, Pitteo era sotto l'influsso magico di Medea e si capirà meglio come Egeo, ubriaco, finì nel letto di Etra.
Quella stessa notte Atena venne in sogno a Etra e le ordinò di recarsi immediatamente alla vicinissima isola di Sferia a versare libagioni sulla tomba di Sfero, l'auriga di Pelope; lì comparve Poseidone il quale, con la connivenza di Atena, giacque con Etra che, successivamente, cambiò il nome dell'isola da Sferia in Iera, Sacra, e vi eresse il tempio di Atena Apaturia. Poseidone, generosamente, cedette la paternità del figlio a Egeo, il quale diede precise disposizioni a Etra nel caso in cui avesse partorito un figlio frutto di quella notte d'amore. Tali disposizioni erano che il bambino fosse allevato segretamente a Trezene e che, una volta raggiunta l'età matura, gli fosse detto di recuperare la spada e i sandali che Egeo ebbe cura di nascondere sotto un masso enorme, chiamato Altare di Zeus il Forte, che si trovava tra Trezene ed Ermione e, a quel punto, si fosse recato da lui ad Atene senza rivelare a nessuno la propria identità.
Il figlio, come sappiamo, nacque e il parto avvenne in una località tra Trezene e il suo porto, chiamata Genetlio. C'è chi dice che Etra chiamò subito Teseo il figlio, in riferimento ai pegni depositati per lui da Egeo, altri sostengono che questo nome gli fu dato ad Atene. Teseo crebbe a Trezene secondo le disposizioni di Egeo, tutelato da Pitteo e educato da Confida; si racconta anche che Pitteo dicesse in giro che Teseo era figlio di Poseidone per tutelarlo maggiormente. Ma c'è anche chi dice che Teseo crebbe a Maratona. In ogni caso il ragazzo ebbe modo di distinguersi per coraggio fin da bambino. Si narra che durante una visita di Eracle a Trezene, egli si tolse la sua celebre pelle di leone mentre pranzava con Pitteo e la gettò su uno sgabello facendo spaventare tutti i bambini, i quali scapparono strillando; ma il piccolo Teseo, di appena sette anni, non solo non scappò ma impugnò un'ascia e si preparò a lottare. A sedici anni Teseo si recò a Delfi, dove consacrò ad Apollo la sua prima ciocca virile, quindi, ormai in età matura, Etra lo accompagnò nel luogo dove Egeo aveva deposto i suoi pegni per il figlio. Teseo alzò facilmente il masso, da allora chiamato Roccia di Teseo, quindi, raccolti i sandali e la spada, si diresse ad Atene, ma spinto dalla voglia di emulare Eracle, che ammirava moltissimo, non andò via mare come gli consigliarono sia Pitteo che Etra, ma si incamminò via terra, sicuro di andare incontro ad imprese eroiche.
Infatti il viaggio si dimostrò subito avventuroso e Teseo fece il suo primo incontro pericoloso a Epidauro; lì Perifete lo zoppo, detto anche Corunete, che era solito uccidere i passanti con una mazza di bronzo, gli bloccò la strada, ma Teseo gli strappò la mazza e lo uccise come finora aveva fatto lui con i viandanti, poi si tenne l'arma che usò senza mai fallire un colpo. C'è da dire che Teseo, nella sua emulazione di Eracle, decise di dare, a ognuno che lo meritasse, una punizione identica al supplizio che solitamente essi infliggevano, come era solito fare anche il suo eroe.
Lo scontro successivo si ebbe sul punto più stretto dell' istmo di Corinto, dove viveva Sinis, detto anche Piziocante ossia colui che piega i pini; era questo infatti il suo insolito hobby: piegava i pini fino a farli toccare terra, quindi fingeva di chiedere aiuto al malcapitato di turno per poi mollare la presa improvvisamente e lanciarlo lontano uccidendolo; altre volte, quando era più crudele, legava le due braccia dello sfortunato di turno alle cime di due pini, quindi li sganciava dilaniando il corpo della vittima. Teseo, dopo averlo sconfitto, gli riservò lo stesso trattamento, quindi si mise all'inseguimento di una fanciulla che pregava gli asparagi e le giunchiglie di nasconderla da Teseo, promettendo loro che mai le avrebbe bruciate o distrutte, ma successivamente si fidò di Teseo che le promise di non farle alcun male e se ne innamorò; la ragazza si chiamava Perigine o Perigune ed era la figlia di Sinis e, perdonatogli l'omicidio del bruto padre, giacque con Teseo dandogli un figlio chiamato Melanippo; i suoi discendenti venerarono i giunchi e gli asparagi.
Un'altra versione ci dice che Teseo uccise Sinis dopo molti anni e che a lui riconsacrò i Giochi Istmici. Teseo, nel prosieguo del suo viaggio, giunse a Crommione o Crommio, dove uccise una scrofa chiamata Fea che si narrava fosse figlia dei mostri Tifone ed Echidna, mentre, secondo altri, era una brigantessa chiamata scrofa per le sue lascive abitudini; Fea non provocò Teseo, ma l'eroe la uccise egualmente perché non voleva si dicesse che ciò che faceva era dettato solo dalla necessità.
Continuando il suo cammino verso Atene, Teseo giunse su una strada costiera con rocce a picco sul mare, lì viveva il bandito Scirone che costringeva i passanti a lavargli i piedi e poi, con un calcio, li faceva volare giù dalla scogliera dove, in mare, vi era una gigantesca testuggine che li divorava; il nostro eroe si rifiutò di lavargli i piedi, quindi lo sollevò e lo lanciò in mare.
Proseguendo alla volta di Atene, ormai vicina, Teseo giunse ad Eleusi dove l'arcade Cercione era solito sfidare chiunque passasse a lottare con lui e, fino ad allora, li aveva uccisi tutti; ma aveva fatto i conti senza il nostro eroe, infatti Teseo facendosi forte più della sua abilità che non della sua forza, lo afferrò per le ginocchia e lo buttò a terra con tale violenza da ucciderlo sul colpo, il tutto alla presenza di Demetra, spettatrice d'eccezione, che a Eleusi era di casa.
Questo suo nuovo modo di lottare lo addita come inventore della lotta libera, disciplina sconosciuta fino a quel momento. Giunto a Coridallo, Teseo si imbatté nel padre di Sinis, Polipemone, soprannominato Procruste colui che adatta a forza di colpi; questi aveva un hobby crudele quanto quello del figlio Sinis, infatti era solito accogliere i viandanti in casa poi, a secondo della loro altezza, li faceva sdraiare su un letto corto se erano alti, o lungo se bassi, quindi adattava gli sventurati al letto tagliando loro le gambe, se fuoriuscivano, o martellandole fino ad appiattirle al punto di eguagliare la lunghezza del giaciglio, nel caso inverso. Inutile dire che Teseo gli riservò la stessa sorte.
In Attica Teseo venne accolto dai figli di Fitalo, questi inoltre lo purificarono dal non poco sangue che aveva versato fino a quel momento. E, finalmente, l'ottavo giorno del mese Cronio, da allora chiamato Ecatombeone, il nostro Teseo giunse ad Atene e il suo ingresso non poteva che essere spettacolare; infatti, per zittire alcuni muratori che stavano lavorando al tempio di Apollo e che lo canzonavano a causa della sua acconciatura molto femminile, staccò un bue dal loro carro e lo lanciò oltre il tempio. Teseo, molto diligentemente, seguì quanto gli era stato prescritto dal padre e non rivelò a nessuno la sua identità, ma nel frattempo Medea era diventata la moglie di Egeo e, come promesso, gli aveva dato un figlio che fu chiamato Medo. Medea, come narra il mito, era furba, intelligente, spietata e, oltretutto, maga, per cui non le fu difficile scoprire chi fosse Teseo e neanche convincere Egeo che il nuovo arrivato fosse una persona pericolosa che doveva essere uccisa; i due, quindi, decisero di invitarlo alla festa che si teneva nel Tempio del Delfino e offrirgli una coppa di vino precedentemente avvelenata da Medea con dell'aconito, che la maga si era portata dalla sua terra di origine. A questo punto alcuni dicono che Teseo ritenne il banchetto il momento giusto per far vedere al padre i sandali e la spada e farsi riconoscere, altri narrano che quando servirono il bue Teseo sguainò la spada per tagliarlo attirando l'attenzione del padre, altri ancora raccontano che Teseo avesse già la coppa alle labbra quando Egeo notò incisi sulla spada i serpenti Eretteidi; ciò che è certo è che il piano di Medea fallì e questa, per sfuggire alla vendetta di Teseo, si nascose in una nuvola magica e fuggì col figlio Medo in oriente, mentre Egeo accolse il figlio ordinando feste e celebrazioni.
Ma la strada al trono di Atene per Teseo non era finita. Pallante, fratello di Egeo, e i sui cinquanta figli chiamati Pallantidi, non riconobbero la sovranità di Teseo e decisero di muovere guerra nei suoi confronti. I Pallantidi scelsero di attaccare su due fronti diversi: Pallade con la metà dei suoi figli partì da Sfetto, gli altri venticinque organizzarono un'imboscata a Garretto. Ma qualcuno lì tradì, per la precisione un certo Leo della tribù degli Agni, il quale avvisò Teseo che, a sua volta, sorprese i Pallantidi appostati per l'imboscata e li sterminò, mentre Pallade e gli altri suoi figli si diedero alla fuga. Ma di questa storia, com'è ovvio, vi è anche una versione meno eroica. Questa narra che Teseo, succeduto al padre Egeo sul trono di Atene, eliminò tutti i suoi nemici e, per ultimi, anche Pallade e i suoi Pallantidi, quindi fece passare queste uccisioni come omicidi giustificabili e fu anche assolto dal tribunale di Apollo. Comunque sia andata, Teseo, sconfitti gli altri pretendenti al trono di Atene e conquistata l'ammirazione degli ateniesi con le sue gesta eroiche (oltre a quelle compiute lungo la strada per Atene, le più celebri sono le uccisioni del toro bianco di Maratona e del Minotauro a Creta), rinunciò al titolo di re preferendo quello di comandante dell'esercito; così facendo istituì la democrazia garantendo l'uguaglianza dei cittadini, almeno secondo il mito, quindi diede inizio ad una serie di riforme, non sempre prive di ostacoli, che portarono Atene ad uno dei periodi di maggiore splendore.
Tra le riforme apportate da Teseo, ci fu l'introduzione della moneta, su cui fece coniare l'immagine di un toro. Teseo era però noto, anche per le sue avventure con le donne, non sempre dignitose e a lieto fine, come dice anche Plutarco. La più nota di queste (a parte quella con Arianna che, però, non giunse mai ad Atene) ci narra di Teseo e le Amazzoni. La vicenda è tra le più complicate da seguire, a causa delle numerosi versioni esistenti. Vediamo di seguirne le principali. Il primo dubbio nasce già dal nome dell'amazzone con cui Teseo consumò il suo amore. Secondo la versione più accreditata si tratterebbe di Antiope, mentre un'altra versione vuole che si chiami Ippolita, ma è molto probabile che si tratti di un caso di omonimia con l'Ippolita a cui Eracle portò via la famosa cintura, sebbene, secoli dopo, Shakespeare narrò dell'amore tra Teseo e la regina delle amazzoni, Ippolita. Il loro incontro, secondo una prima versione, avvenne in seguito alla spedizione di Eracle contro le Amazzoni; a questa spedizione avrebbe partecipato anche Teseo il quale ricevette, come ricompensa, la regina Antiope, peraltro già segretamente innamorata dell'eroe al punto da tradire la città di Temiscira e consegnarla a Teseo. Un'altra versione del loro incontro, sostiene che Teseo si recò nel paese delle Amazzoni molti anni dopo; lì fu accolto molto bene dalle donne, ma non fu altrettanto cortese e le ricambiò rapendo la loro regina e fuggendo via mare. Continuando con le diverse versioni del loro incontro, un'altra di esse racconta che Teseo soggiornò nel paese delle Amazzoni e lì accolse Antiope, di cui si innamorò uno dei suoi compagni, tale Soloòne, il quale, non ricambiato nell'amore, si annegò nel fiume Termodonte.
A questo punto entra in gioco il solito oracolo, il quale aveva predetto a Teseo che se si fosse trovato particolarmente rattristato in terra straniera, avrebbe dovuto fondare una città e affidarla al governo dei suoi compagni; e fu così che Teseo fondò Pitopoli e la affidò al governo dei fratelli di Soloòne, Euneo e Toante, quindi ripartì per Atene portando con se Antiope. Quale che sia la versione che più vi aggrada, Antiope, una volta ad Atene, sposò Teseo e gli diede un figlio chiamato Ippolito. Successivamente, però, Teseo ripudiò Antiope e sposò Fedra e questo, secondo alcuni, provocò la reazione di Antiope e delle sue Amazzoni, le quali tornarono in forze e assediarono Atene, ma furono respinte da Teseo. Secondo altre fonti, invece, le Amazzoni, capeggiate dalla sorella di Antiope, Orizia, cavalcarono (erano bravissime cavallerizze, ma pessime marinaie) attraversando il Bosforo, la Tracia, la Tessaglia e la Beozia, fino a giungere ad Atene dove si accamparono sull'Aeropago, che deve il suo nome, secondo questa versione, ai sacrifici lì fatti al dio Ares.
Teseo avrebbe poi dato inizio alla battaglia contro le Amazzoni, con Antiope al suo fianco che proprio non ci teneva a tornare con le sue ex compagne. A questo punto non ci resta che svelarvi il finale, o meglio, i finali. Uno di essi dice che Antiope morì mentre combatteva valorosamente al fianco dell'amato Teseo, colpita dalla freccia di un'Amazzone, tale Molpadia; un altro ancora racconta che fu lo stesso Teseo ad ucciderla, così come predetto da un oracolo, in questo modo: quando Antiope fece irruzione al suo banchetto nuziale con Fedra, i suoi compagni chiusero le porte e diedero inizio alla strage e non invidiamo certo la sposa; nel conflitto che ne seguì, proprio Teseo diede il colpo mortale ad Antiope avverando, com'era inevitabile, la profezia dell'oracolo. Una terza versione dice che la strage ci fu, ma la gelosa Antiope fu uccisa non da Teseo stesso, ma dai suoi compagni. Per scegliere il finale di questa storia, non avete bisogno di decoder digitali con TV interattiva, al massimo vi basterà rileggerli e scegliere quello che preferite; il mito, come spesso accade, ha precorso anche la tecnologia.
Continuando a parlare di Teseo, eroe principale di Atene e uno dei maggiori dell'intera mitologia greca, non si può dimenticare il suo amico fraterno Piritoo. Questi era il re dei Lapiti e vantava, come padre divino, addirittura il grande Zeus. Saputo delle eroiche gesta di Teseo, un giorno, volendolo sfidare, gli rubò una mandria sperando che questi lo inseguisse; e così accadde, ma una volta confrontatisi, i due eroi decisero di non combattere e di stringere un patto di fratellanza che, come dice anche Sofocle, fu siglato nel sobborgo di Atene chiamato Colono. Quando Piritoo si sposò, al banchetto, oltre a tutti gli dei (fatta eccezione per Ares e Eris, notoriamente rissosi), Piritoo invitò anche i Centauri, figli del suo padre umano, Issione. I Centauri, esseri per metà uomini e per metà cavalli, vivevano sui monti e tra le foreste e si cibavano di carne cruda e di latte acido, il famoso yogurt greco. Purtroppo, però, non avevano mai bevuto vino, per cui, quando lo videro per la prima volta al banchetto nuziale di Piritoo, ne bevvero fino ad ubriacarsi e scatenarono una gigantesca rissa iniziata col Centauro Eurito (o Euritione) che tentò di usare violenza alla sposa, seguito dagli altri Centauri che cercarono di fare altrettanto con le altre donne (e non solo loro, a quanto si narra). Questa lotta, oltre a causare la morte del lapita Ceneo, segnò anche l'inizio delle ostilità tra i Lapiti ed i Centauri e, secondo alcuni, il tutto non fu altro che la vendetta di Ares e Eris (non a caso dio della rissa il primo, dea della discordia la seconda), esclusi dal banchetto nuziale di Piritoo.
Teseo e Piritoo vanno inoltre ricordati, sempre in tema di gentil sesso, come i primi ad aver rapito Elena, la più bella delle donne, quando era ancora bambina ed essere andati nel mondo dei morti per conquistare la regina Persefone; ma in merito a ciò ci limiteremo a dire che i due amici furono forzamente trattenuti nel regno dei morti dal suo re, Ade e che, durante questa permanenza, i Dioscuri, fratelli di Elena, si recarono ad Atene a capo dell'esercito spartano, la liberarono e rapirono Etra, madre di Teseo, per vendetta. Quando Atene si vide minacciata dai Dioscuri e dal loro esercito, Menesteo, un ateniese passato alla storia come il primo demagogo di sempre, collaborò con loro descrivendoli al popolo come dei benefattori e liberatori, quindi screditò Teseo approfittando della sua assenza e, quando questi rientrò ad Atene, non riuscì più a ripristinare l'antico ordine, quindi fece partire segretamente i suoi figli e salpò per Creta non prima di aver maledetto Atene. Ma una burrasca portò fuori rotta la sua nave e la fece approdare a Sciro, un'isola nei pressi dell'Eubea dove regnava Licomede. Avendo ereditato dal padre delle terre in quei luoghi, Teseo chiese a Licomede di stabilirsi lì, ma questi, secondo Plutarco, un po' perché considerava sue quelle terre, un po' per ingraziarsi Menesteo, portò Teseo sulla cima di un promontorio con la scusa di fargli vedere i possedimenti e poi lo spinse facendolo precipitare in mare, quindi raccontò che era caduto da solo a causa del troppo vino che aveva bevuto a cena; altri invece sostengono che Teseo sia veramente caduto accidentalmente. Dopo la sua morte Atene ed i suoi abitanti sembrarono dimenticarsi dell'eroe che tanto aveva dato loro. Ma Teseo, nonostante la maledizione lanciata prima di partire per Sciro, non riuscì a serbare rancore alla sua amata Atene. Infatti, sempre a dire di Plutarco, durante la battaglia di Maratona il suo spirito risorse e guidò i greci alla vittoria contro i Persiani, facendo comprendere agli ateniesi che lui era l'eroe protettore della città. In seguito a questo evento, l'oracolo di Delfi ordinò che le ossa di Teseo fossero recuperate e portate ad Atene con tutti gli onori.
Ma anche quando Sciro fu conquistata dagli ateniesi, il recupero delle sue ossa non fu affatto semplice; infatti gli abitanti di Sciro rifiutavano di collaborare e solo un'intuizione del generale ateniese Cimone consentì di individuare il luogo dove esse si trovavano. Questi, mentre procedeva alla ricerca dei resti di Teseo, notò un'aquila sulla cima di una collina che con gli artigli scavava la terra e, vedendo in ciò un segno divino, iniziò a scavare in quel punto finché non trovò una bara con dentro uno scheletro armato di lancia e spada. Capì subito di aver trovato i resti di Teseo e li riportò ad Atene dove furono accolti con i dovuti onori e seppelliti, dopo una solenne cerimonia, nel santuario di Teseo presso il Ginnasio o l'agorà che, poiché Teseo in vita fu sempre un difensore dei più deboli, divenne, da quel momento in poi, l'asilo degli oppressi.
Sul mito del grande Teseo ci sarebbe moltissimo da aggiungere ma, sebbene Teseo rappresenti l'eroe principale di Atene, molte delle sue gesta eroiche non le compì nella sua amata città, pertanto, se siete interessati ad approfondire il suo mito, vi consigliamo di consultare le altre pagine del nostro sito, oppure di leggere la sua biografia, Vita di Teseo, scritta da Plutarco, mentre la nostra descrizione sui miti di Atene si conclude qui, con la speranza di aver indicato a chi ha intenzione di visitare Atene, ma anche a chi l'ha già visitata, una nuova e più stimolante prospettiva da cui vedere la città del mito con gli occhi del pathos e avere, in tal modo, la fortuna di incontrare gli dèi, le ninfe e tutti gli altri esseri fantastici che popolano il mondo del mito.
Giorgio Manusakis
Αθήνα