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(© Aldo C. Marturano - Vita di Smierd, Cibo e Magia nel Medioevo Russo, Poggiardo 2007)

Come abbiamo sempre ripetuto lungo le righe del nostro lavoro, il contadino russo è molto sensibile alle vicissitudini del sole nel firmamento. Ogni sua strana variazione come un'eclissi o la comparsa di macchie o una cometa etc. è vista come una minaccia per la propria esistenza e questi fenomeni eccezionali, talvolta unici, sono considerati una punizione a lui inflitta per aver forse sbagliato o peccato e quindi come una meritata punizione. Al contrario il Solstizio d'Estate, che attualmente cade nella notte fra il 24 e il 25 giugno, rappresenta un fenomeno astronomico abbastanza caratteristico, periodico e molto favorevole alle attività umane perché il sole rallenta la sua corsa attraverso la volta celeste e addirittura "si ferma"! E' vero! Anche la notte si accorcia e, come a Novgorod o a Pskov, il sole rimane nel cielo quasi senza interruzione lasciando che la natura goda della sua luce vivificatrice. Dunque il Solstizio è un miracolo! Potrebbe però mai accadere che una cosa talmente straordinaria non si ripeta più? La spiegazione contemporanea che conosciamo, perché l'abbiamo imparato a scuola, ci assicura di no! Il Solstizio si ripete. Tale sicurezza scientifica tuttavia non esisteva assolutamente nel Medioevo e tanto meno qui nei villaggi russi. Se ci sono gli dèi del sole e del cielo, ecco che questa è una loro decisione se concedere più luce e più a lungo all'umanità oppure non concederla affatto. E' una conferma del loro potere sul destino degli uomini…

Anche nello Stoglav abbiamo una menzione speciale per il Solstizio d'Estate, come Festa di Kupala. Qui si dice che essa è celebrata in onore del fuoco che purifica e che libera dai mali del corpo oltre a portare la fecondità alle donne benché lo scrivente ecclesiastico poi sia turbato dalla paganità della festa stessa in cui si procede nudi.

Malgrado tutto la Festa del Solstizio estivo era (ed è) comunissima in tutta l'Europa e i suoi riti dall'Atlantico agli Urali hanno un fondo mitologico comune forse risalente ai primi popoli che invasero l'Europa o che nacquero proprio qui e che oggi parlano ancora, fra le altre, una lingua della famiglia indoeuropea. Non è dunque una peculiarità esclusiva dei riti pagani "russi"! Tuttavia non esiste folclore conservatosi più ricco di quello delle genti "russe" dove il sole domina qualsiasi espressione artistica, dalla pittura all'intaglio, dal ricamo alle forme dei cibi solidi. E questo, dobbiamo ammetterlo, è la testimonianza di una cultura veramente unica…

Finalmente giunge il giorno di Kupala e il Sole si ferma nel cielo!
Fra tutte le leggende e le spiegazioni religioso-magiche che circolavano sul Solstizio, ne abbiamo preferita una di provenienza bielorussa che narra come Dazh'bog, il dio dominante l'estate, avendo visto la figlia del Re del Mare, una bellissima ragazza a nome Lada, se ne fosse innamorato. Costei però aveva rifiutato tutte le sue profferte per cui Dazh'bog pensò bene di ricorrere all'inganno. Per riuscire a tenerla lontana dall'acqua del mare dove suo padre l'avrebbe sempre difesa, ricorse ai metodi in voga nel Mar Baltico, il commercio muto. Si procurò così delle scarpe dal tacco altissimo e le pose ad una certa distanza dalla riva e si ritirò nel cielo. Lada, attirata dalle lucenti calzature, venne a riva per provarle e, mentre era impacciata a causa dei tacchi, Dazh'bog rapidamente scese dal suo carro di fuoco, lasciò il suo scudo rotondo abbagliante, la ghermì e la portò via con sé nel suo palazzo del cielo. Il carro del sole lasciato a sé, si fermò senza guida in attesa che i due amanti consumassero i loro amplessi. Ecco perché c'è il Solstizio ed ecco perché ogni anno Dazh'bog, a ricordo di questo suo grande amore, rinnova il fenomeno… se lo vuole! Ammettiamo che questa leggenda in realtà non ha grande attinenza con la nostra ricerca sul cibo e la magia, ma l'abbiamo riportata perché Lada a volte era identificata con la Luna di cui vedremo meglio il ruolo estivo più avanti e perché comunque anche Kupala è una festa delle messi.

L'analisi etimologica della parola Kupala (dissentiamo da Max Vasmer e concordiamo invece pienamente con J. D. Petuhov) ci riporta ad una radice indoeuropea *kup- che originariamente significa ardo, bollo dal desiderio ed è quindi in relazione col verbo latino cupio di uguale significato (da cui l'italiano, concupiscenza o il russo antico kipiti, bollire) e col nome del dio Cupido. Dunque è chiarissimo il collegamento semantico del sole che arde per un'intera notte fino al mattino seguente col desiderio "ardente" di celebrare il rito dell'amore evitando il buio negativo della notte! Si può pertanto vedere in Kupala una delle funzioni del dio Apollo… E così anche Kupala muore alla fine dell'estate per rinascere l'anno successivo.

Per Kupala c'era tutta una serie di riti speciali e periodici che andavano eseguiti con scrupolo e con devozione. Il più importante, in un mondo dove accendere il fuoco era sempre un'operazione faticosa e lunga, era quello di spegnere la pec'ka, di svuotarla dalle ceneri raccoltesi per tutto l'anno e di riaccenderla. Il fuoco come in qualsiasi altra cultura pagana del passato rappresentava non solo la distruzione degli oggetti, ma anche la loro purificazione e quindi la loro rinascita. Gli Slavi conoscevano certamente il rito di passaggio fra le fiamme come metodo di purificazione corporale e lo sappiamo per certo dall'episodio quando Michele, principe di Cernìgov, fu costretto a passare fra due file di fuochi presso i Tatari di Sarai il 20 settembre 1246. Questo principe lo sentì come un atto di ritorno al Paganesimo e si rifiutò di compierlo e fu ucciso dai Tatari! Per questo suo stoico sacrificio fu fatto santo martire della fede dalla Chiesa Ortodossa!
Si narrava che il fuoco del cielo fosse caduto una prima volta in tempi remotissimi sotto forma di fulmine che si era abbattuto su qualche albero della foresta e lo aveva dato alle fiamme. Come fare allora a riprodurlo non potendo disporre del fulmine che appartiene solo a Perun? Sfregando fra loro due oggetti magici, sempre donati agli uomini dagli dèi (rammentate il mito di Prometeo?), a questo scopo e solo così si poteva riottenere come fiamma viva. D'altronde il fuoco è di tre specie: quello di Dazhd'bog che dà vita, quello di Perun che colpisce chi ha sbagliato e quello della Madre Umida Terra.
Evidentemente il fuoco caduto dal cielo era più sacro di qualsiasi altro e se una casa andava in fiamme per questo, nessuno avrebbe mai osato intervenire, perché era contrario al volere del padrone del fulmine: il dio Perun! Addirittura quella casa o costruzione andata a fuoco a causa del fulmine veniva abbandonata per sempre perché considerata sacra!
Del fuoco però c'è grande bisogno in un clima che così caldo non è. Accenderlo con la pietra focaia (pietra di natura sicuramente magica) è anche possibile, ma questo è il più complicato dei metodi perché non era facile procurarsi questi oggetti costosissimi nei tempi ai quali ci riferiamo. Infine, un fuoco così generato non poteva entrare in una celebrazione religiosa come Kupala. Per queste ragioni l'unico modo "canonico" era lo strofinamento fra legni secchi "benedetti".
Nella Russia Occidentale, in particolare, si sceglieva dunque uno spiazzo lungo il fiume e qui si innalzava una specie di palo della cuccagna intorno al quale si raccoglievano tutti quegli oggetti di legno ormai inservibili per farne legna per il falò che sarebbe stato di lì a poco accesso dal fuoco "sacro". Più in là, infatti, si montava l'armamentario per la sacra accensione. Questo consisteva in un grosso tronco ben secco, tagliato e appuntito sui due estremi opposti. Una punta doveva poggiare su un altro tronco posto adagiato sul suolo. Quest'altro tronco orizzontale aveva una buca scavata apposta per accogliere il tronco verticale che vi avrebbe dovuto ruotare ed in essa si era avuta la cura di mettere paglia ben macinata e un fungo particolare il Fomes fomentarius (trutnik/трутник o trut/трут) che seccato aveva una particolare e immediata "infiammabilità". Il tronco a terra era fissato fra quattro pali che sostenevano, a loro volta, degli altri pali trasversi dove si imperniava il tronco rotante, una volta posto in posizione verticale. A questo punto il tronco in piedi era avvolto con un paio di giri di fune di canapa. Si erano poi scelti dei baldi giovani in piena forza i quali con in mano un capo della fune, in egual numero dall'uno e dall'altro lato, tiravano alternativamente facendo ruotare il tronco che un arbitro raddrizzava appena era necessario, incitati dagli astanti e dalle ragazze che facevano il tifo per i loro idoli maschili. Finalmente un filo di fumo si levava e subito si accorreva con un tubo fatto da un osso cavo di uccello a soffiare per far la fiamma…

La fiamma una volta ottenuta (e non era una cosa facile e rapida!) si portava al palo del falò e si dava fuoco al mucchio di legna. Ognuno aveva diritto di prendere un po' di questa brace per riaccendere la propria pec'ka! Che cosa avveniva intorno a questo falò? Ecco quanto ci racconta Innocenzo Ghizel', archimandrita del Monastero delle Grotte, nella sua Synopsis ancora nel 1674 (edizione di Kiev): "Alla vigilia della festa per la nascita di San Giovanni Battista si raccolgono i giovani, maschi e femmine, e si intrecciano ghirlande di rami e di fiori e se le pongono sulla testa e intorno alla vita. Ed ancora in questo rito demoniaco mettono su un falò e attraverso il fuoco tenendosi per mano disonoratamente saltano e cantano canzoni oscene su questo Kupala e ripetono spesso questi salti." Questa Synopsis è notevole poiché, composta dall'igumeno del Monastero di san Michele Arcangelo, Teodosio Safonovic', è il primo lavoro che si occupa del "popolo contadino" e risultò così interessante che, allegata alla Cronaca di Demetrio di Rostov-la-grande, ebbe molte riedizioni.
Raffrontata con le altre feste simili in tutta l'Europa è fuor di dubbio che Kupala era perciò la festa dell'amore. Ed i riti indirizzati a far incontrare ragazzi e ragazze e persino a permettere incontri omosessuali sono moltissimi, sebbene noi ne segnaleremo solo qualcuno più caratteristico o curioso che sembra essere più vicino a quelli dell'epoca che stiamo studiando (secc. X-XIII d.C.).
Oltre al rito del saltare sul fuoco (comune in molti riti europei ed extraeuropei) c'era anche quello di costruire delle ruote di paglia per lasciarle andare in fiamme giù per la china dall'alto del sacrario fino al fiume e trarre dal loro rotolare più o meno regolare degli auspici.
Probabilmente (secondo l'interpretazione di I. Pankeev che non condividiamo appieno) Kupala è da far risalire ad una festa analoga bulgara in cui la coppia divina, chiamata Kupalo e Kupalniza, sono personificazioni di Perun e della dea dell'Alba, Zarjà. In questa mitologia si racconta come Perun col suo carro del Sole si fermi e perciò gli venga in aiuto Zarjà affinché il ciclo della natura non si sconvolga. Più evidente è invece la mescolanza dei riti e delle leggende di Kupala con le vicine e simili tradizioni lettoni su questa notte magica.

La leggenda lettone di Janis e Zana
(adattata da ACM dall'originale di Anna Sachs, Racconti di Fiori,1988)

C'era una volta in un villaggio da qualche parte vicino a Riga un bel ragazzo di nome Janis il quale si era innamorato della figlia del vicino di nome Zana. Questa amava moltissimo inoltrarsi nella foresta per raccogliere fiori per farne ghirlande e abbellire le finestre dell'izbà dei suoi. Non solo! Lei e sua madre erano anche conosciute per la conoscenza profonda che avevano di molte piante della foresta perché sapevano fare decotti e pozioni per guarire la gente da vari malanni. Le due donne aspettavano però sempre la Festa di Kupala perché in quella notte c'erano piante speciali da raccogliere. In una di queste notti Zana e Janis si incontrarono e si addentrarono nella foresta cantando e saltando finché giunsero ad una radura in mezzo agli abeti. Senza saperlo erano capitati nelle vicinanze della Pineta Nera dove abitava il geloso e terribile Lescii il quale proprio quella notte era lì di guardia in attesa che fiorisse uno dei fiori più belli e più profumati di tutta la foresta. Si sapeva infatti che chi l'avesse avuto nelle mani sarebbe stato fortunato per il resto della vita, ma si diceva che tutte le ragazze che avevano tentato di rubarlo erano state trasformate dal Lescii in fiori diversi e non erano tornate più a casa. Quando Zana cercò di convincere Janis a lasciarle tentare di rubare il fiore al Lescii, ottenne un netto rifiuto. Zana però aveva coraggio e caparbia e convinse Janis a lasciarla andare nel buio del bosco. Quella volta però c'era anche la Luna Piena e così i raggi della luna le illuminarono il cammino. Ed ecco, Zana vide il fiore e cercò di ghermirlo. Una risata terribile riecheggiò nel bosco. Era il Lescii! Trasformò la ragazza e Janis disperato quando la cercò, riuscì solo a trovare un fiore e a riconoscerla solo dal suo profumo. Ancora oggi se andate nella foresta nelle notti di Luna Piena in estate quando non c'è molto vento nelle radure vicino agli abeti sentite il profumo inebriante del fiore di Zana. Il fiore lo potete ritrovare anche voi nei boschi del sud perché è la cosiddetta Orchidea europea o Concordia (Orchis maculata sp. in russo jatrysc'nik pjatnistyi)

Con l'introduzione del Cristianesimo, come già era avvenuto in altre parti d'Europa, Kupala fu assimilata alla festa della nascita di san Giovanni Battista e il nome cambiò in quello di Festa di Jan (Giovanni!) Kupala. A questa sovrapposizione contribuirono moltissimo i cosiddetti Kalekì Perehòzhie, cantastorie itineranti i quali con la pretesa di conoscere la Sacre Scritture Cristiane si arrogavano il diritto di adattarle alle tradizioni dello smierd. E cantavano in ogni occasione da un villaggio all'altro canzoni che esaltassero la religione cristiana e i suoi personaggi inventando le situazioni più strane pur di inserire Cristo, la Vergine e i suoi santi nel folclore pagano. Kupala però rimase una festa speciale e nessuno fino ad oggi è riuscito a sopprimerla da quando è rinata, specialmente in Lituania. Non si salvò al contrario dalla "stupidità" burocratica dell'URSS. Infatti oggi risulta spostata di 13 giorni e cioè ai giorni della prima decade di luglio in ottemperanza alla riforma del Calendario del 1918 e, in questo modo, non ci si accorse che per decreto si spostò l'effettiva data astronomica del Solstizio d'Estate soltanto allo scopo di non farlo coincidere con una festa "cristiana" veramente popolare!
Il mondo dello smierd però non ha temuto neppure questo atto burocratico e malgrado tutto ha conservato le tradizioni di sapore antico. Ha richiamato alla vita le ninfe silvicole, le Rusalke. Queste creature bellissime e nude erano legate a Kupala poiché la mitologia popolare racconta che quando, dopo il Solstizio, Jan Kupala non trovando più spazio sulla terra era stato costretto a ritornare nel suo regno sotterraneo, le Rusalke lo avevano accompagnato fino al foro che collegava i due mondi, superiore e inferiore, ed erano discese con lui. E' evidente il parallelismo col mito di Proserpina-Persefone e con quello di Adone.
Abbiamo chiamato Kupala la Festa dell'Amore, sebbene poi (com'è naturale) il coito fosse praticato in tutte le stagioni. Un gioco erotico molto diffuso fra gli adolescenti "ardenti" (krasnye in russo) era quello con l'altalena (kacèli/качели). In pratica, ricordando che le donne non indossavano alcuno indumento intimo nei tempi passati sotto le gonne, le ragazze si facevano dondolare e attiravano l'eccitazione del ragazzo che a loro piaceva mostrando le proprie intimità (d'altronde le vergini prima di andare in sposa mostravano tranquillamente il seno in pubblico). Poi, facendo finta di cadere, ci si accoppiava sull'erba. Questo gioco "pomeridiano", assolutamente permesso e praticato anche dagli adulti, ancora nel XVI sec. sollevava le obiezioni della Chiesa e dei visitatori stranieri, come un costume licenzioso e abominevole. Logicamente con la bella stagione si potevano vedere più frequentemente durante il tihii cas le coppie che si masturbavano a vicenda o che indulgevano in altri giochi erotici, senza vergogna.
La Mezza-Estate era però il momento di raccogliere tantissimi doni "commestibili" della foresta (compreso il pesce pieno di uova che si faceva prendere con le mani!) che variavano e abbellivano la tavola degli smierdy. E non solo commestibili, ma soprattutto quelle erbe speciali ed efficacissime come il Verbasco (Verbascum sp. o Tasso Barabasso e in russo Orecchio d'orso) ottimo per curare l'ulcera dello stomaco e del duodeno (secondo il ricercatore bulgaro, prof. V. Petkov) o l'Erba di Kupala (Kupalenka/Купаленка o Trollius europaeus) con altrettante proprietà curative e magiche.
Si assicurava ad esempio che la Felce (in russo paparotnik/папаротник e in bielorusso paparac' kvetka/папарач кветка, Dryopteris filix mas) fiorisse proprio in questa notte di Mezza-estate e chi trovasse questo fiore e riuscisse a portarselo a casa, avrebbe avuto la fortuna per il resto della vita. Addirittura si diceva che proprio mentre fiorisce la felce spande una luce accecante intorno per cui bisognerebbe cogliere il fiore senza esserne abbagliati e, una volta strappatolo, correre via immediatamente senza mai voltarsi anche se si udisse una voce che chiama. In realtà la felce non fiorisce, ma sappiamo che c'è un fungo (Mycena sp.) che a volte vive sulla felce il cui micelio è fosforescente (fenomeno della bioluminescenza) e che si usava addirittura per segnare i sentieri nella foresta di notte e forse la leggenda è nata di qui.

A parte la Felce, addirittura nella regione di Novgorod-la-grande si coglieva l'Erigeron acer, un'altra pianta magica, e la si appendeva sulla porta di ogni usad'ba e si diceva che il primo fiore che fosse appassito anzitempo indicava che di là sarebbe passata la morte! Tutte queste credenze in verità a volte curiose racchiudono il modo di vedere della gente contadina che nelle piante vede un'espressione tangibile degli esseri divini che abitano in esse. E' logico immaginare che le vecchie, le znaharki, non più interessate alle celebrazioni orgiastiche, vagassero in quella notte alla raccolta di queste erbe che gli spiriti mettevano a disposizione soltanto ora e che solo una come loro sapeva utilizzare nel modo corretto. Naturalmente queste znaharki, mezzo donne e mezzo streghe, non avrebbero mai svelato a chicchessia dove e come queste piante si trovavano né alcuno dei loro segreti poteri, se non a chi avrebbe poi preso il loro posto. Di qui nacque la leggenda di un'erba misteriosa che soltanto le "persone giuste" sapevano trovare e che si faceva toccare soltanto da loro nel fitto degli alberi: la pianta della fortuna detta arhilin/архилин (o il fiore di fuoco di Perun)! Forse questa è la famosa Erba Piangente (in russo Plakun-Travà/ПлакунТрава) che, si dice, era fiorita dalle lacrime della Vergine sotto suo figlio Cristo morente sulla croce. Non siamo riusciti ad individuare il corrispondente vegetale né di quest'erba portentosa né dell'arhilin perché le nostre fonti attribuiscono questi nomi a più di una pianta e, sebbene le indichino come panacea per tutti i mali - dai vermi intestinali alla scabbia - l'unica cosa in comune è che queste erbe bisognava coglierle proprio all'alba del 24 giugno!
Insomma Kupala potrebbe benissimo essere chiamata la Festa degli Erboristi e i vari Erbari russi editi intorno al XVI sec. (travniki/травники) raccomandavano ai raccoglitori di fare la raccolta proprio in questo periodo poiché è adesso che le parti utili di certe piante sono pronte per essere colte dalla mano dell'uomo. E poi, diciamolo pure, la foresta è anche più illuminata e chi si accinge a questo lavoro notturno trova un ambiente più favorevole ai propri occhi attenti, ma indeboliti dall'età…

Alcuni curiosi consigli degli Erbari Russi del XVI sec.

  1. Artemisia (in russo cernobyl' o cernobyl'nik). Sotto la radice di questa pianta si trova spesso un carbone (tartufo?). Tirarlo via con delicatezza e tenerlo per sé e si avrà fortuna per il resto dell'esistenza. Anzi, può servire contro il marito traditore…
  2. Elleboro (in russo ceremiza). Buona per qualsiasi problema. Bisogna coglierla all'alba del 24 giugno. La radice è ottima da portare con sé dopo averla ravvolta nella cera (!!). Quando ti presenti davanti a qualsiasi giudice, se avrai la pianta con te, essa farà in modo che il giudizio finale sia a tuo favore!
  3. Ninfea (in russo odolen'-travà). E quest'erba è buona proprio quando l'uomo deve nutrirsi poiché dopo averla ingerita tutto va su e poi giù (effetto lassativo!).

I prodotti più importanti erano naturalmente quelli che si potevano conservare e consumare durante il resto dell'anno, come i funghi! V. Belov ci informa che l'Agarico Delizioso o Ovolaccio (in russo ryzhik/pыжик) era il fungo più raccolto e più popolare… per la delizia della tavola! Con questo fungo si preparava la gubniza, una specie di densa polenta fatta con gli Ovolacci già passati in salamoia. Se l'annata era poco favorevole agli Ovolacci allora si raccoglievano i Lattari o altri funghi che spuntavano al loro posto. Di solito si prestavano meglio ad essere seccate le diverse specie di Porcini che avevano il vantaggio di essere abbastanza grandi da poterli tagliare a fette e porli a seccare sulla rete di vimini al calore della pec'ka per serbarli come riserva.

Ricetta di provenienza polacca, usata in Bielorussia per gli assaggini (zakuski) afrodisiaci di funghi destinati ai giovani innamorati (da Sabina Witkowska, 1982)

Tergere in un canovaccio di lino pulito dopo averli ben lavati e puliti un certo numero di Ovolacci. I più grandi sono da tagliare in pezzi e da mettere in una protiven' in un angolo tiepido della pec'ka, la mattina d'estate quando la pec'ka non è ancora troppo calda, per 15 minuti. Attenzione! Non devono cuocere! Si servono in un piccolo protiven' con accanto burro e sale che il commensale usa a suo gusto e piacere. Questi zakuski sono destinati ai ragazzi innamorati che sono tornati dal bosco con i funghi appena colti.
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È probabile che agli Ovolacci venisse mescolato un po' dell'Amanita muscaria dall'effetto psicotropo e quindi per eccitare i sensi (nota di ACM)

L'Amanita muscaria o Tignosa dorata invece, era usata tritata come esca per attirare e uccidere le mosche e per questo chiamata in russo Ammazzamosche ossia Muhomor/Мухомор. Ma non solo! Quest'ultimo fungo veniva consumato in certe dosi durante le feste proprio per mettere allegria e per spingere alle azioni più strane come una qualsiasi droga eccitante. E, secondo le credenze sicuramente mutuate dai vicini Finni, era il cibo dei maghi i quali, mangiandone, riuscivano a prevedere il futuro o a volare! A causa di ciò molti funghi psicotropi di questo tipo furono definiti dai preti cristiani: Piante Pagane ossia in russo Poganki/Поганки e la parola è rimasta attaccata in bielorusso a qualsiasi fungo pericoloso per la salute.

Una ricetta contro le mosche moleste

Una mosca molesta per il contadino al lavoro nei campi era il cosiddetto ghnus (гнус) o tafano succhiasangue che non si riesce a scacciare, quando le mani sono occupate. Si raccolgono allora tre o quattro Tignose. Si seccano per bene nel sole e poi si macinano finemente. Si prepara miele con acqua a parte nel quale liquido si stempererà il fungo in polvere. Si mescola per bene e si addensa con farina, se necessario. Questo sciroppo in gocce qua e là sparso sui davanzali o portato con sé nel campo attirerà l'insetto che ne succhierà e ne morirà.

Un altro fungo ben conosciuto e molto usato come farmaco era l'Agarico del Larice (Polysporus officinalis) poiché serviva da purgante o contro il latte troppo abbondante della puerpera e persino contro i disturbi della menopausa!
Attenti però! I funghi sono proprietà degli spiriti della foresta o addirittura sono gli spiriti stessi sotto forma di bimbi con un largo cappello e allora, se non si vogliono trovare funghi invasi dai vermi per farci dispetto, è bene, prima di mettersi a far la raccolta di propiziarsi il Borovik/Бороник ossia il Padrone dei Funghi con qualche rito particolare! Così si raccomandava che il primo fungo colto, buono da mangiare, fosse gettato nel folto in omaggio a lui!
Nella foresta però ci sono anche bacche e insalate che si possono trovare e raccogliere in abbondanza a partire dal principio dell'estate fino al tardo autunno.
Abbiamo però dimenticato il fiore-re della bella stagione: il Mughetto
Questa pianta (Convallaria sp., in russo Landysc'/Ландыш) dal delicato profumo appariva verso aprile-maggio e confermava che ormai la stagione bella era in pieno rigoglio. Nell'animo russo il Mughetto rappresentava tantissime cose che popolavano sia il mondo magico dei bimbi che quello degli adulti. Ai bimbi veniva raccontato che nel Mughetto abitavano gli gnomi della foresta: Bastava dunque cercarli nei fiori e questi avrebbero giocato con loro! Attenzione alle foglie verdi però! Sono velenosissime! Agli adulti innamorati suscitava sospiri la più bella bylina legata al Mughetto: Una variante di quella di Sadkò Sytinic', il mercante-suonatore di gusli di Novgorod, in viaggio per il mondo!

L'altra bylina di Sadkò Sytinic'
ridotta da ACM
(da N.I. Grinkievic & A.A. Sorokina, 1988)

Si racconta dunque che i Mughetti erano nati proprio dalle lacrime della bellissima Ljubava, la regina del fiume Volhov, la quale innamorata di Sadkò Sytinic', il famoso gusljar (suonatore di gusli, la chitarra orizzontale tipica russa) e mercante novgorodese, si era rinchiusa nel suo dolore quando aveva saputo che costui l'aveva lasciata per partire per un lungo viaggio. Ljubava l'aveva cercato per laghi e per fiumi, per monti e per foreste e non era riuscito a trovarlo. E poi, improvvisamente una notte di luna piena, lo aveva visto in piedi vicino ad una lunga betulla, insieme con la rivale che Sadkò aveva amato al posto di Ljubava. Lancia un grido la bellissima regina del Volhov e disperata e delusa si getta nelle onde del fiume per non riapparire mai più. Solo la Luna si accorge che le lacrime di dolore scivolate fuori dagli azzurrissimi occhi di Ljubava erano cadute sull'erba e si erano trasformate nei candidi e profumati Mughetti, segni di un cuore spezzato per sempre.

La buona stagione poi è il tempo delle visite e dei viandanti che si muovono da un villaggio all'altro lungo le rive dei fiumi per visitare amici e parenti, per scambiare e portare messaggi o solo per offrire braccia per aiutare nei campi. E in tutte queste occasioni l'anima slava si mostrava in tutta la sua munificenza ospitale che risaliva fino a ben prima dei tempi dell'Imperatore Maurizio, di cui abbiamo già detto. Ancora oggi l'ospite è sacro e deve essere accolto come persona sacra. Le ragioni? Le abbiamo già dette e ridette: l'ospite, conosciuto o sconosciuto, può essere l'incarnazione di un parente defunto o di una forza pura o impura e quindi va "coccolato" e accolto con tutta la riverenza possibile affinché non rovini tutta la famiglia, la casa o i campi e le derrate d'inverno! Questo però è il lato negativo dell'ospite e per la difesa da questa cattiva eventualità ci si affida al Domovòi e all'Ovinnik se costui dovesse recarsi nell'ovin o nell'ambar. Né era gradito un ospite che arrivasse verso l'imbrunire poiché era il più sospetto di tutti visto che le forze impure cominciavano le loro attività perverse proprio di notte…
Per quanto riguarda l'approvazione del Domovòi sappiamo che, se l'ospite non gli era gradito, lo segnalava prima che costui occupasse il posto d'onore nell'angolo bello (belyi kut o anche krasnyi kut) della "sua" casa! Se, secondo i segni dati, l'ospite non andava, voleva dire che il Domovòi si era accorto che era uno spirito impuro o ne era posseduto. Come fare a liberarsene, in questo caso? Anche qui c'era una pianta che aiutava. Cresce lungo le paludi con bellissimi fiori bianchi e si chiama Ninfea o Kuvscinka (Nymphaea sp.) che però fiorisce soltanto in autunno! Negli scongiuri contro gli spiriti impuri la Ninfea era chiamata la Vincente (ricordate?) e si poteva prepararla in infuso da offrire come bevanda all'ospite di natura sospetta. Accade che, se l'ospite è solo "posseduto dallo spirito impuro", rifiuterà di berla e se ne andrà, se invece è uno spirito impuro, bevendola ci si libererà dell'incresciosa presenza perché immediatamente scomparirà.
In realtà però in questa società, dove impera lo scambio verbale e il raccontare e l'ascoltare con attenzione e deferenza tutto quello che dice colui che viene da lontano, la conversazione e il pettegolezzo con il forestiero diventava l'occupazione più piacevole... delle donne! L'ospite quindi era tradizionalmente obbligato a dire ciò che aveva visto e vissuto in tutti i particolari e, se possibile, tutto il villaggio veniva invitato alla riunione, fuori della casa (beseda/беседа) visto che c'è bel tempo, per ascoltarlo e subissarlo di domande... mentre si beve a tutto spiano! L'ospite infatti esternava le esperienze incontrate durante il suo peregrinare e questa era l'occasione buona per una bella bevuta specialmente delle donne le quali di certo dopo la mangiata indulgevano mezzo ubriache al tihii cias. Si diceva che il forestiero è un uomo di dio e dunque non c'era nulla di male in qualsiasi suo atto! Ancora oggi si possono rivivere queste cose (più o meno), se si viaggia per le campagne russe…
La cosiddetta Gost'bà/Гостьба (il ricevere ospiti) era perciò una questione di buona educazione molto importante per una padrona di casa e per le sue figlie. Per prima cosa, occorre riverire l'ospite con ripetuti e profondi inchini prima di offrirgli di entrare. Ma come si fa riconoscere la provenienza dell'ospite? E' una cosa abbastanza semplice: Dalla foggia e dai colori del vestito e… dalle scarpe! A quest'ultimo proposito le Cronache riferiscono un curioso episodio dei tempi di Andrea Bogoljubskii. Questo principe russo dette istruzioni ai suoi, onde evitare inutili stragi di consanguinei slavi in una campagna punitiva contro i Bulgari del Volga che vivevano fianco a fianco dei Vjatici,di distinguere questi ultimi dai lapti, le scarpe di scorza di tiglio di cui abbiamo parlato in altro luogo!
Riconosciuto così il Rod del nuovo arrivato, che lasci le sue scarpe fuori della porta di casa per non inquinare con presenze indesiderate l'ambiente, ma, appena entrato e dopo aver venerato le reliquie dei defunti appesi alle pareti, che si accomodi pure nel belyi kut con le spalle all'angolo stesso. Gli si pone subito da bere una bevanda rinfrescante fra le mani e subito dopo, lo sappiamo dalle Cronache quando Olga di Kiev accoglie gli ambasciatori dei Drevljani a Kiev nel 945 d.C., lo si manda nella banja per una visita di pulizia personale. Solo dopo questo rito purificatorio, lo si accetterà definitivamente nella casa.
E che cosa offrire all'ospite gradito?
Naturalmente dopo il benvenuto con pane e sale (hlebosolje) gli si mettevano a disposizione non solo i cibi soliti, ma in sostanza qualsiasi cosa da mangiare presente in casa e l'ospite era pure obbligato… a rimpinzarsene! Si racconta che fino al secolo scorso era ancora in vigore l'usanza delle donne di inginocchiarsi a pregare l'ospite affinché mangiasse e bevesse sempre di più, sebbene fosse già sazio! Su uno scanno speciale fatto apposta per gli ospiti (ha solo due piedi su un lato e perciò è poggiato sulla lavka dall'altro) sono poi messi in buon ordine i zakuski (stuzzichini di pesce o di carne), lardo fritto, prodotti caseari freschi (come il tvorog) e mjod o braga da bere a volontà. Cominciava a questo punto una specie di gioco in cui la padrona di casa offre e l'ospite respinge lusingato finché non accetta, quasi vi fosse costretto. Dai documenti risulta che nei tempi passati fosse in auge persino l'offerta di dormire con la moglie o con la figlia del padrone di casa! Ad ogni buon conto fino ai tempi di Olearius, visitatore del XVII sec., rimase in vigore che per ringraziamento all'ospitalità della padrona di casa toccasse poi all'ospite baciarla sulla bocca…
E altri cibi caldi? Di solito venivano serviti dopo il tramonto e quindi l'ospite si doveva accontentare degli zakuski freddi o della kut'jà d'orzo, pure fredda a pezzetti, ed attendere il grande incontro conviviale col resto della famiglia ospitante alla sera.

Ricetta per fare la kut'jà d'orzo
(raccomandata dall'Associazione Vasilii Velikii di Mosca, 2005)

Disporre di una certa quantità d'orzo integrale. Lavarlo bene e poi aggiungervi acqua sufficiente in una pentola di coccio. Cuocere fino a quando l'orzo non diventa dolcemente morbido. Tirar via dalla pec'ka e passare da un colo per eliminare l'acqua non assorbita. A parte sciogliere una parte di miele con due d'acqua e mettere l'orzo in questo liquido. Rimettere tutto nella pec'ka nell'angolo più freddo e aspettare che la kut'jà abbia ben assorbito il miele e sia diventata dura. Se avete dell'uva sultanina, essa va aggiunta e mescolata prima o pigiata sulla kut'jà al momento di servire.

A maggio c'era una specie di festa dello straniero. Infatti, in questo periodo di caldo non ancora stabilizzato (a maggio ogni tanto si aveva qualche gelata inattesa) c'erano i viandanti che cercavano lavoro o che facevano visita e per loro si preparavano delle focacce di frumento (quindi per persone da onorare!) che le donne portavano ai crocicchi delle strade di campagna per offrirle al viaggiatore che passava di lì. Tornarsene a casa con qualche focaccia rimasta era considerato scandaloso e se poi si finiva per mangiarla, era una colpa da punire duramente. Toccava solo agli uccelli mangiarla, in tal caso!
In estate in attesa delle messi dunque si andava più spesso nel folto degli alberi. Qui c'era un'ampia scelta di frutti di bosco da gustare appena colti! Quello che oggi è comunissimo fare coi frutti più velocemente deperibili, la cosiddetta marmellata o varenie ossia la cottura in acqua e zucchero, nei secoli da noi in esame non si usava a causa dell'assenza dello zucchero (arrivò a san Gallo, in Svizzera, nell'XI sec. come medicinale) e dell'alto valore del suo sostituto dolcificante, il miele! Le bacche si servivano o fresche o, nel caso dei mirtilli (brusniki), persino "stufati" leggermente con la farina d'avena (toloknò).
Fresca e buonissima era la fragola selvatica o zemljanìka, piccola e dolcissima, il lampone o malina, il rosso ribes o smorodina, la ciliegia selvatica o cerjòmuha.
Una bacca, la sorba selvatica o rjabìna, oltre ad essere mangiata, aveva anche un uso particolare: Avvisava di un incendio prima che diventasse devastante!!

Le bacche e le erbe selvatiche
(comunicazioni personali di Ljuda Korotkova, Saròv 2006)

sc'c'àvel' - щавель. E' un'erba verde con larghe foglie ed ha un sapore acidulo. Cresce lungo i corsi d'acqua, ma anche nell'orto di casa. E' ricchissima di Vitamina C e per questo la si coglie alla prima estate per farne zuppe e dolci. I dolci sono molto gustosi.
kljùkva - клюква. E' una piccola bacca color rosso che cresce nei posti paludosi del bosco. Si raccoglie nella tarda estate e nel primo autunno e di solito la si congela. E' un po' acida e contiene molte vitamine. Se ne fanno marmellate, la si aggiunge come spezia al cavolo in salamoia, si fanno infusi e decotti oppure si mangia semplicemente così con zucchero o miele per mascherarne il sapore acidulo.
brùsnik - брусник. Anche questa cresce nel bosco e nelle radure. Gustosa, con succo color rossastro che ha dato il nome al colore detto rosso mirtillo. Si mangia così semplicemente oppure se ne fanno marmellate e frutta cotta.
zemljanìka - земляника. E' una bacca estiva e si trova praticamente dappertutto nel bosco di solito verso giugno. Rossa e dolcissima. E' la progenitrice della fragola comune, ma più piccola di quella coltivata e con un gusto tendente all'acidulo-dolce. Si diceva ai ragazzi che chi mangia la fragola piccola rimarrà più piccolo di statura di chi mangia quella più grande!
rjabìna - рябина. Questa è la bacca di un albero (sorbo). D'autunno diventa di color rosso. Si mangia così come si coglie.
smoròdina - смородина. Il ribes, oltre che una bacca commestibile, è un motivo decorativo comunissimo e lo si inserisce in tutte le decorazioni, lo si nomina nelle poesie e lo si dipinge volentieri. Specialmente nell'artigianato contadino è riprodotto su tutti gli utensili e oggetti casalinghi.

Nel bosco si trovavano poi tante insalate: dall'erica (goludika), all'acetosella (sc'ciavel' e kisliza), all'angelica (djaghil') e tutte venivano portate sulla tavola lavate e "pestate" insieme con qualche spezia. L'insalata infatti non era preparata come la serviamo noi oggi perché così sembrava preparata per gli animali che mangiano appunto erba cruda e semplice!
Tante erbe, coltivate nell'orto di casa, erano usate soltanto come "spezie". L'orto di casa però andava protetto dagli spiriti malefici e invidiosi e si procedeva così. Si aspettava che l'ortica, pianta amata e venerata e allo stesso tempo temuta, fosse ben cresciuta con grandi foglie. La si raccoglieva con radici e tutto e la si poneva in una pentola. Questa pentola ora capovolta la si poggiava sul gradino di casa, rigorosamente quello di mezzo, e si lasciava lì per qualche giorno, sicuri che le forze malefiche ne avrebbero approfittato, ma se ne sarebbero pentite a mangiar l'ortica non cotta che brucia dentro la pancia! E comunque l'ortica si piantava proprio tutt'intorno all'orto a questo scopo e anche perché… purificava l'aria! Dell'uso tessile di quest'erba invece sappiamo poco, salvo una menzione nelle Cronache Russe di un uso per far vele peraltro non sicura.
La regina fra le insalate dell'orto però era la mortella (Myrtus communis in russo kljukva). Di questa pianta si usavano sia le foglie normalmente seccate (triturate danno un odore aromatico penetrante) oppure le sue bacche (moròsc'ki) che potevano serbare il loro aroma per anni! Peraltro questo arbusto era stato probabilmente importato dalla Grecia insieme al melo solo nell'XI sec. d.C.
E che dire dell'Erba matta o Piscialetto o Dente-di-leone i cui fiori gialli apparivano dappertutto già in primavera? Le foglie giovani di questo Taraxacum officinale (in russo oduvàncik) si raccoglievano in estate e, dopo averle tenute in acqua e sale per qualche ora per togliere loro il gusto amaro, erano considerate una panacea in zuppa. Il rizoma invece si raccoglieva in autunno, per farne un medicamento per il mal di fegato (contro i travasi di bile).
Anche le foglie tenere delle cime della pianta di Canapa femmina (Cannabis sativa) si preparavano cotte col miele e mescolate con spezie aromatiche ed avevano quegli effetti dolcemente soporiferi di cui tutti sappiamo… E' bene sottolineare che non c'è molta differenza fra l'essenza di Cannabis sativa e quella di Cannabis indica, più nota oggi per estrarre l'hascisc.

La canapa nell'uso degli Sciti secondo Erodoto
(Storie, Libro IV, 73-75, traduz. di L. Annibaletto, Mondadori 1956)

Gli Sciti si purificano così (dopo un funerale). Dopo essersi unti e detersi il capo, al corpo fanno questo: rizzate tre pertiche, inclinate l'una verso l'altra, vi stendono tutto intorno coperte di feltro di lana congiungendole fra di loro il più strettamente possibile e poi, in un catino che è collocato in mezzo alle pertiche e alle coperte, gettano delle pietre rese incandescenti al fuoco…. Ordunque di questa canapa gli Sciti prendono i semi e… li gettano sopra le pietre arroventate…. Il seme si mette a fumare e sprigiona esalazioni odorose… gli Sciti deliziati di questo bagno di vapore, uggiolano di piacere….

Finalmente arrivava il giorno in cui l'ospite partiva. Di solito costui era obbligato a salutare il Domovòi, fermandosi prima di oltrepassare la soglia di casa per uscire, e così seduto sul suo bagaglio aspettava il segnale di "via libera" dello spirito di casa che poteva essere un rumore improvviso, una luce inaspettata o un grosso insetto entrato in casa…
Il saluto russo di commiato dall'ospite suonava quasi come una scusa: Prosc'ciai! ossia Perdonaci… di non aver fatto abbastanza per te!
La Gost'bà comunque richiedeva un trattamento analogo e reciproco nel caso che la padrona di casa o un altro membro della sua famiglia in seguito fosse stato a sua volta ospite a casa della persona appena partita. Salvo casi imprevisti, era costume annunciare sempre la propria venuta e non fermarsi più a lungo dei fatidici tre giorni, anche perché il Domovòi non avrebbe sopportato una sosta troppo lunga.
Naturalmente, quando si assentava, la padrona di casa aveva cura di lasciar da mangiare a questo spirito nelle piccole stoviglie fatte apposta per lui per non lasciargli soffrir la fame!

Questo testo è stato Inviato a miti3000.it: mercoledì 19 settembre 2007 19.18; da: Aldo C. Marturano Studioso di Medioevo Russo.