Valutazione attuale: 4 / 5

Stella attivaStella attivaStella attivaStella attivaStella inattiva
 
Busto di Esiodo
Busto di Esiodo

Introduzione:

I miti esistono nella letteratura greca solo in forma di brevi allusioni, perché gli scrittori greci, ad eccezione di Esiodo, Stesicoro, Simonide, Bacchilide e dei poeti tragici, si riferiscono di solito ad un aspetto del mito, senza esporlo integralmente, supponendo che tutti lo conoscano.

Nel mondo ellenistico Callimaco e Apollonio narrano per esteso certi miti, e Apollodoro del II secolo d. C. è considerato il migliore dei mitografi antichi.

Per i Greci i mythoi erano le storie tradizionali degli dei e degli eroi, alcuni si riferivano alla creazione, altri a diversi aspetti della natura, altri ancora erano usati per spiegare o giustificare certi riti.

In genere i miti sono multiformi, fantasiosi e poco rigorosi nei particolari, perché appartengono ad una cultura orale che si riferisce ad epoche preistoriche delle quali non esistono documenti scritti e anche le conoscenze derivate dall'archeologia sono piuttosto lacunose.

Non bisogna dunque meravigliarsi se lo stesso materiale è stato interpretato in maniera diversa o se nei libri si trovano teorie contrastanti sui fatti della Grecia arcaica.

A maggior ragione, non esiste una teoria unica e valida per tutti i miti, che possono avere diverse intenzioni o diversi livelli di significato.

Per questo, nei tentativi di interpretazione, è d'obbligo usare termini come "forse", "probabilmente", "si ritiene".

Triplice dea
Triplice dea

La triplice dea

Nell'Europa neolitica le credenze religiose erano basate sul culto di una dea Madre dai molti appellativi, venerata anche in Siria e in Libia.

La grande dea era considerata immortale, immutabile, onnipotente, sceglieva i suoi amanti come strumenti di piacere, senza alcun rapporto con l'idea di maternità, poiché la fecondazione era attribuita al vento, alle acque dei fiumi o al mare.

La grande dea era la Luna, nelle sue tre manifestazioni: Vergine, Ninfa, Vegliarda, che corrispondono alle tre fasi lunari e alle tre stagioni dell'anno (primavera, estate, inverno).

In quest'ultimo caso la dea fu identificata con la Madre Terra, che all'inizio dell'anno produce foglie e boccioli, poi fiori e frutta, infine isterilisce.

In seguito la dea fu identificata con un'altra triade: la vergine dell'aria, la ninfa della terra e la vegliarda del mondo sotterraneo: Selene, Afrodite, Ecate.

Queste analogie contribuirono a dare un carattere sacro al numero tre e la dea Luna fu simboleggiata dal numero nove quando ciascuna delle sue tre persone (vergine, ninfa, vegliarda) si manifestò in triade per dimostrare la sua divinità.

Analizzando i miti greci, troviamo diversi elementi che si riferiscono ai culti primitivi della Triplice Dea, propri delle epoche precedenti la colonizzazione ellenica.

Nel mito di Demetra, la Triplice Dea è rappresentata da Kore, Persefone, Ecate (vergine, ninfa, vegliarda) che corrispondono alle tre fasi della maturazione del grano: grano verde, grano maturo, grano raccolto.

Kore, avendo mangiato alcuni chicchi di melograno, il frutto dei morti, avrebbe dovuto trascorrere tre mesi insieme al marito Ade col nome di Persefone, gli altri nove mesi con la madre Demetra, mentre Ecate si assumeva il compito di far rispettare i patti.

Nel mito di Eretteo (figlio di Pandione e padre di Cecrope), si parla di una guerra tra Atene ed Eleusi, centro dei Misteri di Demetra.

Eretteo era re di Atene, per ottenere la vittoria l'oracolo gli consigliò di sacrificare la figlia più giovane, Ozionia, ma le altre sue figlie, Protogamia e Pandora, si uccisero anch'esse, poiché avevano fatto voto di morire se una di loro fosse stata uccisa.

Le tre figlie di Eretteo si identificano con la Triplice Dea pelasgica, così come le tre Danaidi morte a Rodi mentre fuggivano le nozze con i cugini figli di Egitto, rappresentavano la Triplice dea Luna Danae, o le tre dee del Fato (le Moire: Cloto, Lachesi, Atropo).

Nel mito di Anfione e Zeto, che a Tebe espulsero il re Laio e costruirono la città bassa, la lira a tre corde di Anfione era stata costruita in onore della Triplice Dea che regnava sulla Terra, nell'Aria e nell'Oltretomba, e forse venne suonata mentre si procedeva ai lavori di fortificazione della città.

Zeto rimproverava ad Anfione la sua passione per la lira, che "gli impediva di dedicarsi a cose utili", ma quando essi si impegnarono nei lavori di muratura le pietre si mossero da sole e si ammucchiarono l'una sull'altra al suono della lira, mentre Zeto era costretto ad affaticarsi usando le proprie mani e lavorava più lentamente del fratello.

In un altro mito famoso, quello di Ifigenia, pare che tale nome sia stato un appellativo della primitiva Artemide, che si identificava con la triplice Ecate, infatti essa era non soltanto vergine, ma anche ninfa (Ifigenia significa "che genera una forte stirpe") e vegliarda.

Nel mito di Eracle c'è un episodio in cui Laomedonte, re di Troia, uccide il nobile troiano Fenodamante e ne vende le tre figlie a mercanti siciliani, che cercavano vittime da esibire nella lotta con le fiere. In Sicilia le fanciulle furono salvate da Afrodite, poi la maggiore, Egesta, si unì al fiume Crimisso che prese la forma di cane ed ebbe Egeste (che, insieme ad Elimo, sarà il fondatore delle città di Egesta, Erice, Entella).

Ebbene, le tre figlie di Fenodamante rappresenterebbero la triade lunare che imperava sulla triangolare isola di Sicilia; il cane era sacro a tale triade, personificata da Artemide, Afrodite, Ecate.

Nel mito di Giasone, la Triplice Dea è rappresentata dalle tre figlie di Pelia, Alcesti, Evadne, Anfinome, che accolgono (tranne Alcesti) il suggerimento di Medea, di tagliare a pezzi e mettere a bollire il corpo del padre per farlo ringiovanire. Medea aveva fatto credere loro che fosse possibile, mettendo a bollire un vecchio ariete e sostituendolo di nascosto con un agnellino.

Quando i Greci sono pronti a salpare da Aulide per andare verso Troia, Agamennone chiede ad Anio, re di Creta, di far partire con loro le sue tre figlie, Elaide, Spermo ed Eno, dette le Vignaiole, le quali avevano avuto in dono da Dioniso di trasformare tutto ciò che toccavano, in olio ciò che toccava Elaide, in grano ciò che toccava Spermo, in vino ciò che toccava Eno. In questo caso la Triplice Dea è chiaramente una dea della fertilità.

La dea luna

Numerose sono le personificazioni della dea Luna. Aglauro, che appare nelle storie collegate alla dea Atena, è uno degli appellativi della dea Luna, si riferisce alla Luna come fonte di rugiada che rinfresca i pascoli. Ad Atene le fanciulle uscivano nei campi durante la luna piena della mezza estate per raccogliere rugiada con degli scopi magici.

La dea Luna aveva molti appellativi: Eurinome (onnipotente nel cielo e sulla terra), Euribia (signora del mare), Euridice (signora dell'Oltretomba, che stringeva nelle sue spire di serpente), Teti (colei che dispone).

La supremazia della Luna sul Sole è una caratteristica degli antichi miti greci, fino a quando Apollo usurpò il trono di Elio; i bovini erano animali sacri più alla Luna che al Sole, la madre di Elio, Eurifessa dagli occhi bovini, è la Luna stessa; il numero dei capi di bestiame delle mandrie di Elio è 350, corrisponde a dodici lunazioni.

Nel mito di Alcione, Alcione era una figlia di Eolo che aveva sposato Ceice, figlio della Stella del Mattino; erano così felici che Alcione osò chiamare se stessa Era e Zeus il marito. Immancabile la punizione, infatti una folgore colpì la nave su cui viaggiava Ceice, che morì annegato; Alcione si gettò in mare e alcuni dei impietositi, trasformarono entrambi in tordi; ogni inverno la femmina del tordo marino costruisce un nido con gli aculei del riccio, lo getta in mare, vi depone le uova e le cova durante i giorni di Alcione, i 7 prima e i 7 dopo il solstizio d'inverno: l'alcione era in origine una epifania della dea Luna, rappresentata come dea della Vita al solstizio d'inverno e dea della Morte al solstizio d'estate.

Le Telchine erano 9, avevano testa di cane e mani a forma di pinne, erano figlie del Mare, erano nate a Rodi, da cui in seguito emigrarono a Creta; Rea  affidò loro Poseidone bambino e per lui esse forgiarono il tridente, come per Crono avevano forgiato il falcetto.

Zeus decise di distruggerle con un diluvio perché avevano fatto alzare nebbie e disseccato le messi con zolfo ed acqua dello Stige, esse allora fuggirono in Beozia, a Sicione, in Licia, a Orcomeno, ma furono raggiunte quasi tutte dalla punizione.

Le Telchine erano venerate dai popoli matriarcali di Grecia, Creta, Lidia e isole egee,  la leggenda narra anche che esse fondarono delle città chiamate con il nome delle tre Danaidi, Camira, Ialisa, Linda, forse allora erano emanazioni della dea Luna Danae e rappresentavano ciascuna delle sue tre persone in triade.

Gli Argivi veneravano la Luna come vacca, perché dal cornuto primo quarto di luna dipendevano le piogge e dunque l'abbondanza dell'erba; i suoi tre colori (bianco per il primo quarto, rosso per la luna piena, nero per la luna calante) rappresentavano le tre età della Luna (Fanciulla, Ninfa, Vegliarda).

La leggenda dei figli di Inaco inviati alla ricerca di Io, la vacca lunare, influenzò la leggenda dei figli di Agenore, mandati alla ricerca della sorella Europa, rapita da Zeus sotto forma di toro.

Europa significa "dalla larga faccia" ed è sinonimo di "luna piena"; la leggenda del ratto di Europa, che si riferisce ad una antica invasione ellenica di Creta, fu tratta dalla iconografia pre-ellenica in cui la sacerdotessa della Luna appariva in groppa al toro solare, sua vittima.

La cerimonia doveva essere compresa nei riti per la fertilità, quando la ghirlanda primaverile di Europa veniva portata in processione.

Nel mito di Leda, Zeus si innamorò di Nemesi, che per sfuggirlo si trasformava in diversi animali, sempre però inseguita dal dio che assumeva l'aspetto di animali più forti ed agili, alla fine divenne oca selvatica e Zeus come cigno la fecondò.

Nemesi depose un uovo che Ermes mise tra le cosce di Leda, moglie di re Tindareo a Sparta, e da questo uovo nacque Elena.

Nemesi era la dea Luna nel suo aspetto di Ninfa, nella versione più antica del mito era lei che rincorreva il divino paredro (compagno) che subiva le metamorfosi stagionali e infine lo divorava, con la vittoria del sistema patriarcale fu lei a fuggire dinanzi a Zeus.

La leggenda dell'uovo tra le cosce di Leda è forse nata da una raffigurazione della dea su uno sgabello da partoriente con la testa di Apollo che usciva dal suo grembo (Leda era Latona o Leto che generò Apollo e Artemide a Delo); Elena, Elle, Selene sono varianti della dea Luna.

Endimione era figlio di Zeus e della ninfa Calica, strappò a Climeno il trono di Elide; un giorno, mentre giaceva addormentato in una grotta lo vide Selene e si innamorò di lui, dalla loro unione nacquero 50 figlie, in seguito Endimione tornò nella stessa grotta e cadde in un sonno da cui non si ridestò più.

Il mito ricorda un invasore dell'Elide che sposava la sacerdotessa della pelasgica dea Luna a capo di un collegio di 50 sacerdotesse.

Il mito di Pasifae e del toro si riferisce probabilmente ad un matrimonio rituale tra la sacerdotessa della dea Luna con corna di vacca e il re Minosse con una maschera di toro (nozze tra Sole e Luna).

A Pasifae come divinità lunare furono attribuiti parecchi figli, Arianna e Fedra sono doppioni di Pasifae stessa, Arianna (da Ariagne, la santissima) fu probabilmente un appellativo della dea Luna.

Un giorno uno dei figli di Pasifae, Glauco, sparì mentre giocava nel palazzo di Cnosso, l'oracolo di Delfi disse che chi fosse riuscito a stabilire la migliore similitudine con una nascita portentosa avrebbe trovato ciò che era stato perduto.

Minosse seppe che nella sua mandria era da poco nata una vitella che cambiava colore ogni giorno, dal bianco al rosso al nero. Poliido disse che somigliava ad una mora di rovo o di gelso, e Minosse gli ordinò di cercare Glauco, il quale poi effettivamente fu trovato nella cantina affogato a testa in giù nella giara del miele.

Ebbene, il bianco, il rosso e il nero sono anche i colori di Io, la vacca lunare, dei sacri tori di Augia e, come appare da un vaso cretese, anche del toro che rapì Europa.

Avevano gli stessi colori i tripodi sacri alla dea cretese e il corno dell'unicorno, simbolo calendariale che rappresentava il dominio della dea Luna sulle stagioni dell'anno.

Catreo, un altro figlio di Minosse, ebbe tre figlie, Erope, Climene e Apemosine, ed un figlio, Altemene; un oracolo disse che Catreo sarebbe stato ucciso da un figlio, allora Altemene lasciò Creta insieme alla sorella Apemosine, sperando di sfuggire alla maledizione.

Andarono a Rodi, dove Altemene innalzò un altare a Zeus e vi pose intorno dei tori di bronzo che muggivano quando un pericolo minacciava Rodi, un giorno Apemosine fu violentata da Ermes e il fratello la uccise; intanto Catreo, non fidandosi delle altre due figlie, le cacciò da Creta, Erope fu sedotta da Tieste e poi sposò Plistene da cui ebbe Agamennone e Menelao, Climene sposò Nauplio.

A tarda età, essendo rimasto senza eredi, Catreo andò in cerca di Altemene ma a Rodi fu scambiato per un pirata e ucciso dal figlio con una lancia.

Questo mito ricorda l'invasione miceneo - minoica di Rodi nel XIV secolo a. C.; Rodi appartenne dapprima alla dea lunare sumerica Dam-Kina o Danae, poi al culto di Tesup, dio solare, poi fu colonizzata da Cretesi fedeli al culto del toro; le tre figlie di Catreo sono la solita triade lunare.

In diversi miti si incontrano le Amazzoni donne guerriere con le quali combattono molti eroi; di solito si fa derivare tale nome da a e mazon (senza mammella) perché si credeva che si amputassero una mammella per tirar meglio l'arco, ciò è frutto di fantasia, pare invece che fosse una parola armena che significava "Donna Luna".

Poiché le sacerdotesse della Luna sulle rive sud-orientali del mar Nero portavano armi, può darsi che i racconti dei viaggiatori abbiano fornito una interpretazione errata di certe antiche raffigurazioni di donne guerriere; queste probabilmente rappresentavano la resistenza armata delle sacerdotesse della Luna di fronte a un'invasione.

Nel mito di Edipo, l'aneddoto della Sfinge è stato molto probabilmente tratto da una immagine della dea Luna di Tebe il cui corpo simboleggiava le due parti dell'anno tebano, il leone la parte crescente, il serpente la parte decrescente.

La Sfinge, vinta da Edipo, si uccise; da ciò si può dedurre forse che Edipo fu un conquistatore di Tebe che nel XIII secolo a. C. soppresse l'antico culto minoico della dea e riformò il calendario.

Appellativi della dea Luna furono probabilmente Ipsipile (alta porta) dovuto al fatto che il suo corso descrive un alto arco nel cielo e Ippodamia (domatrice di cavalli) perché il cavallo, animale sacro nella Grecia pelasgica prima del culto del Carro del Sole, era dedicato alla dea Luna; anche i cinghiali erano sacri alla dea per le loro zanne ricurve.

Dal matriarcato al patriarcato

In origine fu il matriarcato: in tutta l'Europa neolitica le credenze religiose erano basate sul culto di una dea Madre, il concetto di paternità non era stato introdotto nel pensiero religioso; la dea sceglieva i suoi amanti solo per il suo piacere, non per dare un padre ai figli.

Gli uomini temevano la matriarca, la riverivano e le obbedivano, si riunivano intorno al focolare che essa alimentava nella grotta o nella capanna e che fu il primo centro sociale, consideravano la maternità un mistero.

Le tre fasi della Luna si riflettevano nelle tre fasi della vita della matriarca: vergine, ninfa, vegliarda; in seguito fu compreso il rapporto tra coito e gravidanza, con conseguente miglioramento della posizione dell'uomo.

Le donne rimasero sovrane a lungo in materia di religione, gli uomini potevano cacciare, pescare, custodire greggi e difendere la tribù dagli invasori, purché continuassero a rispettare le leggi matriarcali, ad esempio accogliendo come capo lo sposo anche straniero della regina oppure un membro maschile della sua famiglia, uno zio, un fratello o un cugino.

In origine in Grecia tutti gli oracoli erano pronunciati dalla Madre Terra, poi gli invasori ellenici patriarcali, questi si impadronirono dei suoi santuari, sostituendo sacerdoti alle sacerdotesse e costringendo queste a servire divinità maschili.

A Delfi un sacerdote fungeva da intermediario tra il supplice e la profetessa, traducendo in esametri il balbettio di quest'ultima; il santuario della Madre Terra a Delfi era stato fondato dai Cretesi che poi lasciarono in eredità agli Elleni i loro riti.

Il collegio sacerdotale dei Labridi, sempre a Delfi, prese il nome dallo scettro cretese della Madre Terra, la labrys (che poi diventò la folgore di Zeus e il tridente di Poseidone).

La leggenda di Alcesti mostra sia il punto di vista matriarcale che quello patriarcale, tramite il comportamento delle divinità coinvolte: Alcesti era figlia di Pelia, il quale aveva promesso di darla in sposa a chi fosse stato capace di aggiogare un leone e un cinghiale selvatico al suo cocchio.

Admeto, re di Fere in Tessaglia, aiutato da Apollo e da Eracle, superò la prova e ottenne la mano di Alcesti, ma dimenticò di offrire il sacrificio d'uso ad Artemide, che lo punì subito la prima notte di nozze, facendogli trovare sul letto un groviglio di serpenti al posto della sposa.

Admeto fuggì invocando Apollo , che intercedette per lui e ottenne anche da Artemide la promessa di salvarlo dalla morte se un latro della famiglia si fosse offerto di morire al suo posto.

Quando Ermes si presentò per guidarlo al Tartaro, Apollo fece ubriacare le Parche per impedire che tagliassero il filo della sua vita e Admeto chiese ai genitori di morire al suo posto. Ma i genitori, pur essendo vecchi, rifiutarono.

Allora Alcesti bevve un veleno e andò lei nel Tartaro, ma Persefone non accettò che morisse lei al posto del marito e la fece tornare sulla terra; altri dicono che fu tratta fuori da Eracle armato di una mazza di oleastro.

Il comportamento di Artemide dimostra chiaramente la contrarietà della dea nei confronti del matrimonio monogamico, infatti essa apparteneva al culto pre-ellenico nel quale le donne si accoppiavano liberamente, per questo gli Elleni se la propiziavano con sacrifici e offerte.

Nella prima versione del mito Persefone non permette il sacrificio di Alcesti, perché rappresenta il punto di vista matriarcale, nella seconda versione invece Alcesti viene salvata da Eracle che rappresenta l'etica patriarcale, essendo esecutore della volontà di Zeus.

Anticamente si svolgevano delle feste erotiche in onore della triade lunare, che poi furono soppresse dagli invasori ellenici, ad un tentativo di contrastare tali feste fa pensare il mito di Glauco.

Glauco era figlio di Sisifo e padre di Bellerofonte, egli non faceva accoppiare le sue cavalle, perché fossero più veloci nelle corse, ma in questo modo suscitò l'irritazione di Afrodite, che disse a Zeus che lui nutriva le sue cavalle con carne umana e ottenne da Zeus il permesso di punirlo.

Una notte la dea guidò le cavalle a pascolare nell'erba chiamata ippomane, quando Glauco le aggiogò al suo cocchio queste imbizzarrite lo trascinarono per tutto lo stadio e lo divorarono vivo.

Il disprezzo di Glauco per Afrodite fa pensare all'ostilità delle tribù elleniche, patriarcali, nei confronti delle feste in cui le donne si accoppiavano liberamente.

Nel mito di Teseo, la cacciata di Medea da Corinto e da Atene si riferisce al fatto che gli Elleni soppressero il culto della dea Terra, così come la vittoria di Teseo sui 50 figli di Pallade si riferisce alla soppressione dell'antico culo di Atena con il suo collegio di 50 sacerdotesse, infatti pallas significa sia "ragazzo" che "fanculla".

La religione olimpica fu un compromesso tra il culto matriarcale pre-ellenico e il culto patriarcale ellenico; la famiglia divina comprendeva all'inizio 6 dei e 6 dee, poi Atena nacque dalla testa di Zeus e Dioniso, nato dalla sua coscia, prese il posto di Estia; con questa sostituzione fu assicurata la preponderanza maschile nel concilio degli dei.

Nella religione pre-ellenica il re era uno straniero che regnava solo in virtù del suo matrimonio con la sacerdotessa, i principi consideravano la madre come unica vera sovrana e il matricidio era un delitto orrendo.

Il re sacro era sempre tradito dalla moglie sacerdotessa, ucciso dal successore e vendicato dal figlio, la madre adultera non veniva mai punita perché aveva agito col consenso della dea.

Nel mito di Oreste, l'assoluzione di Oreste che ha ucciso la madre Clitennestra, conferma il trionfo del sistema patriarcale.

Nello stesso mito Atena per placare l'ira delle Erinni usò l'adulazione; ammise che esse erano più sagge di lei, propose loro di stabilirsi in una grotta presso Atene, promise altari di zolle, sacrifici, libagioni, primizie; esse in cambio dovevano invocare venti favorevoli per la flotta, messi abbondanti, matrimoni fecondi.

Le Erinni accettarono, da quel giorno furono invocate con il nome di Venerande, furono accompagnate in processione fino ad una grotta divenuta quindi sia oracolo che luogo di asilo per i supplici.

Nella grotta delle Venerande c'erano, oltre ai loro, i simulacri di Ade, di Ermes e della dea Terra; alle Venerande si sacrificavano pecore gravide, miele, fiori, allo scopo di risparmiare dalla morte il resto del gregge, favorire il raccolto del miele e arricchire i pascoli.

La proposta di Atena fu molto probabilmente un ultimatum dei sacerdoti della figlia di Zeus alla sacerdotessa delle Venerande (l'antica triplice dea di Atene): se non avessero accettato il principio della superiorità del padre sulla madre, sarebbe stata negata loro ogni forma di culto, comprese le tradizionali offerte di primizie.

Lungo le rive del Mar Nero vivevano tribù matriarcali, che ammettevano soltanto la discendenza matrilineare, presso le quali gli uomini dovevano sbrigare le faccende domestiche e le donne combattevano e governavano; queste donne erano guerriere abilissime e per prime usarono la cavalleria: erano le Amazzoni.

Molti eroi greci si scontrarono con esse, per esempio Eracle, che nella sua nona fatica fu incaricato da Euristeo di portare a sua figlia Admeta la cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni.

Admeta è uno dei tanti nomi di Atena, che le raffigurazioni mostravano ritta e armata, nell'atto di osservare Eracle mentre compiva le sue fatiche e pronta ad aiutarlo nelle difficoltà.

Le vittorie sulle Amazzoni da parte di Eracle, Teseo, Dioniso, indicano il regresso del sistema matriarcale.

La storia di Onfale e di Eracle si riferisce ad uno dei più antichi stadi di trapasso dal matriarcato al patriarcato, quando il re, come consorte della regina, ottenne il privilegio di sostituirla nelle cerimonie e nei sacrifici, ma soltanto se ne indossava le vesti.

Nel mito Eracle, per espiare la colpa di aver ucciso il fratello di Iole, Ifito, deve servire per un anno come schiavo la regina di Lidia Onfale, offrendo il prezzo della sua schiavitù ai figli di Ifito.

Eracle liberò la Lidia da un gigantesco serpente che faceva strage di uomini e distruggeva le messi, da un contadino che costringeva i viandanti a misurarsi con lui in una gara di mietitura e dopo aver vinto li decapitava, da un altro che costringeva gli stranieri di passaggio a zappare la sua vigna.

La regina, grata, ridiede ad Eracle la libertà e, innamoratasi di lui, lo accolse come amante e gli generò tre figli un giorno, mentre visitavano i vigneti, giunsero ad una grotta appartata dove si scambiarono le vesti.

C'è un altro episodio nel quale Eracle indossa abiti femminili: nell'isola di Coo  fu sfidato a una gara di lotta da un pastore, ma appena cominciarono a lottare gli amici del pastore accorsero in suo aiuto e così fecero i Greci per Eracle, egli allora per sfuggire alla lotta si rifugiò nella casa di una matrona tracia, ne indossò le vesti e così riuscì a salvarsi; poi, sempre in vesti femminili, sposò Calciope, la figlia del re di Coo Euripilo.

In tal caso, il fatto che Eracle debba indossare vesti femminili per accogliere la sposa si riferisce ad un compromesso tra usanze patriarcali e matriarcali.

Anche il massacro degli uomini di Lemno fa supporre che in quest'isola si rispettasse una organizzazione ginecratica della società, retta da sacerdotesse armate.

Prima che vi arrivassero gli Argonauti, gli uomini di Lemno avevano litigato con le loro mogli, lagnandosi perché puzzavano e si erano scelti per concubine delle fanciulle tracie; le mogli allora li assassinarono, tranne Ipsipile, che salvò il padre, il re Toante.

Quando arrivò la nave Argo, le donne credettero che fosse una nave nemica, indossarono le armi dei mariti defunti e si precipitarono sulla spiaggia, l'araldo di Giasone le calmò e Ipsipile propose di offrire cibo e vino agli Argonauti, la sua vecchia nutrice suggerì inoltre che si accoppiassero con loro per dar vita ad una nuova stirpe.

Ipsipile disse a Giasone che si erano armate per difendersi dai maltrattamenti dei mariti e li avevano costretti ad emigrare, poi riuscì a convincere facilmente gli Argonauti a ritardare la partenza, così molti bambini furono generati, finché Eracle, spazientito, richiamò al dovere i compagni, tornarono dunque a navigare verso la Colchide.

L'incoronazione del re sacro

In molti miti si fa riferimento alle cerimonie dell'incoronazione del re sacro, che spesso comprendevano anche combattimenti rituali con animali; questi animali erano simboli calendariali e rappresentavano le diverse stagioni dell'anno.

Teseo era figlio di Etra e Poseidone, il quale però concesse ad Egeo che nella stessa notte si era unito ad Etra, la paternità del figlio che sarebbe nato.

Egeo poi tornò ad Atene dopo aver nascosto spada e sandali sotto un masso vicino a Trezene, se il ragazzo da grande fosse riuscito a spostare il masso e a prendere spada e sandali doveva essere mandato ad Atene da lui.

A 16 anni Teseo, accompagnato dalla madre al luogo dove Egeo aveva nascosto spada e sandali, spostò il masso e recuperò facilmente i pegni, in seguito si recò dal padre ad Atene.

In questo mito i sandali e la spada sono antichi simboli di regalità, essi fanno parte dei riti dell'incoronazione nell'età del bronzo (analogia con la leggenda di Artù), in una raffigurazione delle nozze sacre scolpita ad Hattusas si vede una spada dall'elsa a forma di leone conficcata in una roccia.

I Lapiti e i Centauri, di cui si parla a proposito delle nozze di Piritoo con Ippodamia, erano tribù primitive che abitavano sulle montagne della Grecia settentrionale, ma forse la leggenda della lotta tra di loro (riprodotta sul frontone del tempio di Zeus ad Olimpia, nel tempio di Teseo ad Atene e sull'egida di Atena) non rispecchiava soltanto uno scontro fra tribù diverse.

Poiché tale lotta nacque durante una festa nuziale cui partecipavano gli dei ed anche Teseo con la sua pelle di leone, essa si ricollega a qualche rito che riguardava gli Elleni; anche Eracle dalla pelle di leone combatté contro i Centauri in circostanze simili.

I Centauri nella pittura vascolare arcaica non erano differenti dai Satiri, forse l'immagine primitiva raffigurava un re appena incoronato che lottava con danzatori travestiti da animali, molto probabilmente questa lotta era simbolica e faceva parte della cerimonia dell'incoronazione.

Nel mito di Anfitrione, Zeus assume le sembianze di Anfitrione, marito di Alcmena, per sostituirlo nel suo letto, e da tale unione nascerà Eracle; Eracle rappresenta il tipico re sacro della Grecia ellenica e la leggenda che Zeus prendesse il posto di Anfitrione è spiegata dal fatto che quando il re sacro si sottoponeva alla cerimonia della rinascita prima dell'incoronazione diventava teoricamente figlio di Zeus e rinnegava la sua paternità mortale.

Sempre nel mito di Eracle c'è un episodio in cui Era, ingannata da Atena, allatta Eracle appena nato e abbandonato da Alcmena per paura di ritorsioni da parte della dea gelosa: è probabile che il mito voglia alludere alla rinascita rituale del re sacro per merito della regina madre.

A 18 anni Eracle si preparò ad affrontare il leone del Citerone, che faceva strage nel bestiame di Anfitrione e del suo vicino re Tespio; Tespio aveva 50 figlie, temendo che si unissero a uomini indegni di loro decise che ognuna avesse un figlio da Eracle, così gli diede la figlia maggiore come compagna ma poi fece in modo che a lei si sostituissero le sorelle, una notte per ciascuna (Alcuni dicono che Eracle le deflorò tutte in una sola notte).

Dalle figlie di Tespio ebbe 51 figli, perché la maggiore ebbe 2 gemelli, quando poi affrontò il leone, lo uccise e ne indossò la pelle.

Le 50 figlie di Tespio sono probabilmente un collegio di sacerdotesse della dea Luna, il re sacro poteva godere di loro durante le orge che si svolgevano attorno alla pietra fallica, l'uccisione del leone era una delle prove imposte a chi desiderava diventare re sacro.

Il combattimento rituale del re sacro con gli animali faceva parte della cerimonia dell'incoronazione in Grecia, Asia minore, Babilonia, Siria; ogni animale rappresentava una stagione dell'anno.

Nell'anno di tre stagioni le bestie, riunite poi nella Chimera, erano il leone, la capra, il serpente, oppure un toro, un leone, un serpente, come le metamorfosi stagionali di Dioniso, oppure il leone, il cavallo, il cane, come le tre teste di Ecate.

Nell'anno di quattro stagioni furono probabilmente il toro, l'ariete, il leone e il serpente, oppure il toro, il leone, lo scorpione e il serpente marino, come i quattro segni dello Zodiaco che coincidevano con gli equinozi e i solstizi; in teoria, domando tali animali il re acquistava potere sulle stagioni.

Il combattimento con un toro o con un uomo travestito da toro era una delle prove rituali imposte ad un candidato al trono; un corno di toro, considerato fin dai tempi più antichi come sede della fertilità, consacrava al trono il candidato che se ne era impossessato sia lottando con un toro sia contro un avversario mascherato da toro.

Il contatto con le corna del toro permetteva al re sacro di fertilizzare la terra in nome della dea Luna facendo scendere le piogge, il muggito del toro avrebbe provocato i temporali.

La settima fatica di Eracle fu la cattura del toro cretese, non si sa però se si trattava del toro che trasportò Europa a Creta o quello che Minosse rifiutò di sacrificare a Poseidone e che generò il Minotauro.

Minosse offrì ad Eracle il suo aiuto, ma l'eroe preferì catturare il toro da solo, poi lo portò a Micene ad Euristeo, che lo rimise in libertà.

Nell'ottava fatica Eracle doveva domare le cavalle di Diomede, che erano nutrite con la carne di ospiti ignari; Eracle stese al suolo Diomede e lo diede in pasto alle sue stesse cavalle, così, placata la loro fame, riuscì a domarle senza fatica.

La cattura di cavalli selvaggi destinati al sacrificio in una festa religiosa faceva parte in certe regioni della Grecia del rito dell'incoronazione.

In un primo tempo il periodo di regno concesso al re sacro fu di 13 mesi, al termine dei quali egli doveva morire, poi esso fu prolungato nel Grande Anno di cento lunazioni, ma ogni anno, per fertilizzare i campi, il re acconsentì a subire una morte apparente e a cedere il trono per un giorno ad un sostituto che moriva al termine del giorno stesso e il cui sangue veniva spruzzato sui campi.

Il re sacro regnava dunque per l'intero Grande Anno, coadiuvato dal successore, oppure regnavano tutt'e due ad anni alterni, oppure la regina divideva tra loro il regno ed essi regnavano contemporaneamente.

Nel mito di Teseo, Piritoo convinse Teseo a rapire Elena a Sparta, essi giurarono di estrarre a sorte chi doveva tenersi Elena e di rapire un'altra figlia di Zeus per il perdente; vinse Teseo e Piritoo ricordò all'amico il patto.

Consultarono l'oracolo di Zeus che propose loro ironicamente di chiedere Persefone come sposa per Piritoo, Teseo non poté sottrarsi al giuramento fatto e così scesero nel Tartaro.

Ade li ascoltò e, fingendo una cordialità ospitale, li invitò a sedersi sulla Sedia dell'Oblio, ma appena lo fecero, questa subito diventò carne della loro carne e non potevano più alzarsi senza subire una mutilazione.

Dopo 4 anni Eracle scese nel Tartaro per catturare Cerbero e li vide, chiese a Persefone il permesso di liberarli e, ottenutolo, riuscì a liberare soltanto Teseo strappandolo dalla sedia, ma un pezzo di carne rimase attaccata.

Il mito pare ispirato alla morte temporanea cui il re sacro si sottoponeva mentre un fanciullo interrex prendeva il suo posto per un solo giorno; i 4 anni del soggiorno di Teseo nel Tartaro corrispondono al periodo concesso al re sacro prima che cedesse il trono al suo successore.

Nel vaso di Tragliatella si vede il re sacro che fugge da un labirinto insieme al successore, l'altro lato del vaso mostra una processione di sette uomini a piedi guidata dal re sacro disarmato, ognuno di loro ha tre giavellotti in una mano e nell'altra uno scudo con un orso per insegna.

I sette rappresentano i sette mesi del regno del successore, dal raccolto delle mele fino a Pasqua e l'orso è l'insegna del casato, la scena si svolge nel giorno della morte rituale del re e la regina Luna gli viene incontro, gli offre una mela come passaporto per l'aldilà e le tre frecce in mano sono un presagio di morte.

Ad Argo regnava il re Adrasto, il quale aveva due figlie, molti principi aspiravano alla loro mano e il re, per non inimicarsene nessuno, pensò di chiedere consiglio all'oracolo di Delfi; questi gli disse: "Aggioga a un carro a due ruote il cinghiale e il leone che combattono nel tuo palazzo".

Tra i pretendenti c'erano Polinice di Tebe e Tideo di Calidone; poiché l'emblema di Tebe era un leone e quello di Calidone un cinghiale, essi portavano tali insegne sui loro scudi.

Una notte, nel palazzo di Adrasto, cominciarono a discutere sulle ricchezze e sulle glorie delle rispettive città, allora Adrasto ricordando le parole dell'oracolo, diede loro le due figlie e promise di aiutarli a ritornare in possesso dei troni di cui erano stati privati.

Infatti Polinice era stato cacciato dal fratello Eteocle il quale non aveva voluto mantenere il patto di regnare ad anni alterni e, scaduto il suo anno di regno, non aveva voluto cedere il trono; Tideo invece era stato esiliato dalla propria città perché aveva ucciso il fratello Melanippo.

Probabilmente il consiglio dell'oracolo di mettere d'accordo il leone e il cinghiale aveva lo scopo di suddividere il regno per evitare lotte politiche fra il re consacrato e il suo successore.

Il mito prosegue poi con il racconto della spedizione dei Sette contro Tebe, uno degli eroi che parteciparono insieme a Polinice, Tideo, Adrasto, Capaneo, Ippomedonte, Partenopeo, fu Anfiarao, il quale nel corso di un'aspra battaglia in cui stava per avere la peggio fuggì sul suo cocchio, ma Zeus spaccò la terra con una folgore e Anfiarao sparì con tutto il carro.

La fine di Anfiarao è un esempio della morte del re solare sul suo carro, come Glauco, Ippolito, Laio, Enomao.

Nel Peloponneso il re era destinato a morire travolto dai cavalli al termine del Grande Anno di cento mesi, alla fine del quale calendario solare e calendario lunare coincidevano.

Enomao era famoso per la sua passione per i cavalli, egli aveva una figlia, Ippodamia, per impedire che si sposasse, (forse perché avvertito da un oracolo che il genero lo avrebbe ucciso) escogitò uno stratagemma: sfidava ciascun pretendente a misurarsi con lui in una corsa di cocchi, voleva che Ippodamia salisse sul cocchio del pretendente per distrarre la sua attenzione, ma gli concedeva mezz'ora di vantaggio mentre lui sacrificava un ariete sull'altare di Zeus.

Le sue cavalle comunque erano invincibili, più veloci del Vento del Nord, ed erano un dono di suo padre Ares, pertanto Enomao riuscì a eliminare dodici o tredici principi e ne fece inchiodare teste e membra alle porte del palazzo.

Giunse poi Pelope, figlio di Tantalo, il quale aveva chiesto a Poseidone suo amante di donargli il più rapido cocchio del mondo per poter chiedere la mano di Ippodamia, dapprima si sgomentò vedendo la fila di teste inchiodate alle porte del palazzo e, temendo per la riuscita della gara, promise all'auriga di Enomao, Mirtilo, metà del regno e il diritto di trascorrere la prima notte di nozze con Ippodamia se acconsentiva a tradire il suo padrone.

Mirtilo tolse i chiodi dai mozzi delle ruote di Enomao e li sostituì con altri fatti di cera, durante la corsa i chiodi si sciolsero, le ruote si staccarono ed Enomao morì travolto dai suoi stessi cavalli.

Nel Peloponneso, in cui è collocato tale mito, era rispettata la successione matrilineare, il regno del re durava un Grande Anno di cento mesi, alla fine del quale egli era destinato a morire travolto dai cavalli, mentre ogni anno a mezz'estate moriva un suo sostituto.

Infatti Enomao moriva di una finta morte nel corso di sette estati successive, nominando ogni volta un sostituto che per 24 ore avrebbe preso il suo posto salendo sul cocchio accanto alla regina, al termine di quel giorno il sostituto veniva ucciso e il suo cocchio infranto, mentre il re usciva dalla tomba dove era rimasto nascosto, per riprendere il potere.

Il numero di 12 o 13 pretendenti si riferisce alle lunazioni dell'anno solare (durante le gare ad Olimpia i cocchi percorrevano dodici volte lo stadio in onore della dea della Luna), Pelope è il più fortunato dei pretendenti, colui che riesce ad eliminare il vecchio re.

Un altro mito, quello di Atreo e Tieste, è basato sulla rivalità fra i re argivi che dovevano salire al trono ad anni alterni, essa va vista nei termini dell'arcaico conflitto fra il re sacro e il suo successore.

Il re regnava fino al solstizio d'estate, quando il sole raggiungeva la sua posizione più settentrionale il successore lo uccideva e si sostituiva a lui mentre il sole retrocedeva verso il solstizio d'inverno.

L'odio reciproco era inasprito dalla gelosia, dato che il successore del re sacro sposava la sua vedova, esso si estese ai co-re argivi che regnavano alternativamente per un Grande Anno.

L'episodio di cannibalismo, quando Atreo uccide i figli del fratello, li fa cucinare e ne offre le carni al padre ignaro, fa riferimento al sacrificio annuale dei sostituti bambini e alla leggenda di Crono che vomita i figli.

Una delle Fatiche di Eracle fu la cattura del cinghiale Erimanzio, sul monte Erimanto; prima di giungere sul monte, l'eroe fu ospitato dal Centauro Folo, figlio di Sileno, che gli offrì carne e vino.

L'odore del vino fece perdere la testa ai Centauri che si precipitarono verso la grotta di Folo, Eracle ne uccise parecchi, alcuni fuggirono e si rifugiarono presso Chirone, inseguiti da Eracle, che senza volere colpì al ginocchio con una freccia avvelenata Chirone.

I cinghiali erano sacri alla Luna per le loro zanne ricurve e pare che il successore del re sacro si travestisse da cinghiale prima di uccidere il suo gemello; è probabile che il combattimento di Eracle con i Centauri rappresentasse il conflitto rituale tra il re appena consacrato e i suoi oppositori travestiti da animali.

Un altro mito che fa riferimento alla successione al trono è quello di Protesilao e Laodamia; Protesilao fu il primo dei Greci a sbarcare a Troia e, come i Greci ben sapevano perché avvertiti da Teti, il primo a sbarcare sarebbe stato anche il primo a morire, infatti Protesilao fu colpito a morte da Ettore o da Euforbo.

La sua sposa Laodamia, non sopportando una lunga separazione, aveva fatto scolpire una statua a grandezza naturale di Protesilao; dopo la morte del marito, il padre di lei, Acasto, voleva costringerla a risposarsi, ma lei trascorreva tutte le notti accanto alla statua di Protesilao.

Un giorno un servo, che portava mele per il sacrificio del mattino, passando accanto alla porta socchiusa della sua stanza la vide abbracciare qualcuno e pensò che fosse il suo amante; ne avvertì il padre, il quale si precipitò nella camera della figlia e così scoprì la verità.

Per evitarle tanta sofferenza ordinò che la statua fosse bruciata, ma Laodamia si gettò tra le fiamme e morì.

La leggenda della passione di Laodamia per la statua fu forse tratta dalla raffigurazione di una scena nuziale: in alcuni suggelli nuziali ittiti il re sdraiato sul giaciglio è inciso in modo così rigido che pare una statua.

Invece il servo con le mele e il brusco ingresso di Acasto fanno supporre che la scena rappresentasse la regina nell'atto di tradire il re con il suo successore, che taglia la mela fatale che contiene la sua anima.

Il rifiuto di morire opposto dal re sacro al termine del suo regno è chiaramente dimostrato dall'eccidio dei pretendenti compiuto da Ulisse dopo il suo ritorno ad Itaca.

Egli dunque interviene nella gara di tiro all'arco che dovrebbe stabilire chi è il più degno alla successione e uccide tutti i candidati; una delle prove cui si sottoponevano in origine i candidati al trono consisteva nello scoccare una freccia in un anello posto sulla testa di un bambino, ma nell'Odissea l'anello è quello delle asce messe in fila che Odisseo trapassò con una sola freccia.

Sacrificio del divino paredro

Ogni anno la ninfa tribale sceglieva un amante che diventava il re sacro e che sarebbe stato sacrificato alla fine dell'anno; il suo sangue sparso attorno avrebbe reso fecondi i campi, gli alberi, gli animali e le sue carni, fatte a pezzi, erano divorate crude dalle ninfe compagne della regina, sacerdotesse che portavano maschere di cagne, giumente o scrofe.

In seguito il re fu identificato con il Sole e allora doveva morire quando la forza del sole cominciava a diminuire, a mezz'estate; un suo gemello, vero o supposto, diventava l'amante della regina e veniva poi anch'egli sacrificato a metà inverno, reincarnandosi in un serpente oracolare.

Il Sole divenne simbolo della fecondità maschile, ma i regni rimasero a lungo sotto la tutela della Luna, il tempo fu diviso in lunazioni e le cerimonie più importanti erano celebrate in corrispondenza di determinate fasi della luna, il re moriva durante la settima luna piena che seguiva il giorno più corto.

Nel mito di Demetra, il nome Persefone (derivato da phero e phonos) significa "colei che porta la distruzione", ed era un appellativo della Ninfa che sacrificava il divino paredro, il suo aspetto di Vegliarda era Ecate, che significa centinaio; questo nome si riferisce ai cento mesi lunari del suo regno e ai cento raccolti.

Quando Demetra peregrinava in cerca della figlia scomparsa, giunse ad Eleusi dove fu ospitata dal re Celeo, uno dei figli di Celeo era Trittolemo, che per primo diede a Demetra notizie sul rapimento di Persefone da parte di Ade.

La dea riconoscente gli diede semi di grano, un aratro di legno e un cocchio trainato da serpenti, e lo mandò per il mondo a insegnare agli uomini l'agricoltura.

Trittolemo significa "colui che osa tre volte", fu forse un appellativo che il re sacro si meritò per aver osato tre volte accoppiarsi con la sacerdotessa del grano, egli era anche Pluto, cioè "ricchezza", perché la sua morte portava ricchezza.

Una dea Ninfa della Morte e della Vita fu Nemesi, il suo compito era di umiliare l'uomo che si vantava delle sue ricchezze o non ne sacrificava una parte agli dei o non faceva nulla per i suoi concittadini.

Nemesi era rappresentata con un ramo di melo in una mano e una ruota nell'altra, la ruota rappresentava l'anno solare, come indica il nome latino della dea, cioè Vortumna (colei che fa volgere l'anno), quando la ruota aveva compiuto mezzo giro il re sacro, giunto all'apice della sua buona sorte, doveva morire, ma quando la ruota aveva compiuto l'intero giro il re si vendicava del rivale che lo aveva soppiantato.

Nemesi fu inseguita e violentata da Zeus sotto forma di cigno, in realtà nel mito pre-ellenico è la dea che insegue il divino paredro, il quale si sottopone alle trasformazioni stagionali, ma anch'essa si trasforma e lo divora al solstizio d'estate, nel mito ellenico le parti sono rovesciate.

Le stagioni fra la nascita e la morte del re sono simboleggiate da Nereo, o Proteo, il quale in una pittura vascolare primitiva era raffigurato con la coda di pesce e un leone, un cervo, una vipera che gli uscivano dal corpo.

La mela che appare in molti miti, sia nella forma di frutto che come ramo di melo, era il dono di cui si servivano le sacerdotesse di Afrodite per allettare il re sacro, che uccidevano cantandogli canzoni d'amore.

La storia di Fetonte che convince il padre Elio a fargli guidare il carro del sole, ma non avendo la forza necessaria viene trascinato troppo alto nel cielo o troppo vicino alla terra, finché Zeus con la folgore lo uccide, è una favola a sfondo morale, ma si riferisce anche al sacrificio annuale del principe reale.

Il re sacro fingeva di morire al tramonto del giorno che seguiva quello più corto, un sostituto fanciullo ne assumeva la carica e sposava la regina per poi venire ucciso dopo 24 ore, il vecchio re allora emergeva dalla tomba e saliva al trono.

Sisifo, figlio di Eolo, viveva sull'istmo di Corinto; un giorno, avendo assistito ad una delle tante avventure di Zeus, rivelò al padre della fanciulla dove si questa si incontrava col dio e Zeus, per punirlo, ordinò ad Ade di trascinarlo nel Tartaro.

Sisifo riuscì ad ingannare Ade e lo imprigionò nei ceppi a lui destinati, pregandolo di mostrargli come funzionavano, così, essendo Ade prigioniero, non moriva più nessuno, finché Ares non giunse a liberarlo.

Quando Sisifo fu condotto nel Tartaro, prima di allontanarsi disse alla moglie di non seppellirlo e poi convinse Persefone a farlo andar via per tre  giorni per poter provvedere al funerale; naturalmente, una volta fuori, non mantenne la promessa di tornare e Ade lo riportò nel Tartaro con la forza.

Sisifo fu poi punito col famoso supplizio del masso che rotola giù ogni volta che riesce a farlo giungere in cima all'altura.

L'immane masso di Sisifo doveva essere in origine il disco del sole e la collina da cui rotolava la volta del cielo, le astuzie per ingannare Ade ricordano probabilmente il rifiuto della morte opposto dal re sacro al termine del suo regno.

Un mito complesso, di cui esistono diverse versioni, è quello di Atamante, fratello di Sisifo, il quale regnò in Beozia, sposò Nefele (fantasma creato da Zeus a somiglianza di Era) e ne ebbe i figli Frisso ed Elle.

Atamante, innamoratosi di Ino figlia di Cadmo, la condusse in un suo palazzo ma Nefele, venuta a conoscenza del tradimento, chiese vendetta ad Era che gliela promise.

Una zia di Frisso, innamorata del bel giovane, essendo stata da lui respinta, lo accusò di averla violentata e gli uomini di Beozia chiesero ad Atamante la morte di Frisso.

Atamante, piangendo, condusse Frisso sulla cima del monte e stava per ucciderlo quando intervenne Eracle, lo fermò dicendo che suo padre Zeus odiava i sacrifici umani, a quel punto arrivò anche un ariete d'oro con le ali che disse a Frisso di salirgli in groppa.

Anche Elle volle salire con il fratello e l'ariete volò verso la Colchide, Elle cadde nello stretto tra Europa ed Asia (Ellesponto), Frisso giunse in Colchide dove sacrificò l'ariete a Zeus.

Questo mito ricorda il sacrificio annuale del re o del sostituto (prima un fanciullo con pelle di ariete, poi un ariete) durante l'equinozio di primavera, nella festa del Nuovo Anno, propiziatrice di piogge.

In un'altra versione del mito, Atamante era sposato con Ino che un giorno uscì per andare a caccia e non tornò; un lembo di tunica insanguinato lo convinse che Ino era stata divorata dalle belve, in realtà, presa dalla frenesia bacchica, aveva ucciso una lince e, indossatane la pelle era andata ad un'orgia di Baccanti.

Atamante sposò Temisto che gli diede due gemelli, poi, saputo che Ino era viva, andò a prenderla e la condusse a palazzo come nutrice dei suoi figli; Temisto, avvertita dalle ancelle, fingendo di non sapere chi fosse, le ordinò di vestire con abiti di lana bianca i suoi figli e di lana nera i figli della povera Ino.

L'indomani Temisto ordinò alle guardie di entrare nella stanza dove dormivano tutti i bambini e di uccidere i due bimbi vestiti di nero, ma Ino, sospettando un tranello, aveva fatto il contrario e così furono uccisi i figli di Temisto.

Le vesti nere per i bambini condannati a morte fanno supporre che la vittima indossasse un vello nero, mentre sacerdoti e spettatori indossavano velli bianchi.

Il re pre-ellenico era fatto a pezzi da donne travestite da cavalle (come Licurgo e Diomede), in periodo ellenico era trascinato a morte da una quadriga, come Ippolito, Laio, Enomao, Abdero, Ettore.

Nel mito di Atalanta, quando il padre le disse che doveva prepararsi a prendere marito, lei annunciò che avrebbe sposato solo chi fosse riuscito a batterla in una gara di corsa, chi perdeva sarebbe stato ucciso.

Molti morirono, Melanione però invocò l'aiuto di Afrodite, che gli diede tre mele d'oro da far cadere lungo il percorso per rallentare Atalanta, la quale infatti si fermò per raccoglierle.

La leggenda della gara di corsa fu probabilmente dedotta da una raffigurazione che mostrava il re al termine del suo regno con le mele d'oro in mano, inseguito dalla dea che doveva dargli la morte.

Nel mito di Aristeo si parla di api che sciamano dalle carcasse di tori e giovenche, in realtà esse sarebbero dedotte dalla primitiva raffigurazione di una donna che gioca con un leone mentre le api sciamano dalla carcassa di un altro leone.

In effetti il re sacro doveva morire a mezza estate sotto il segno del Leone ed era animato dallo spirito del suo predecessore, rappresentato dal leone morto, sotto forma di ape.

L'assassinio di Laio da parte di Edipo ricorda la morte rituale del re solare per mano del successore: gettato giù dal carro e trascinato dai cavalli, anche Crisippo, figlio di Pelope, travolto dal carro, doveva rappresentare uno dei tanti sostituti regali che morivano in questo modo.

Prima di sacrificare e rendere così immortale il divino paredro, la regina lo spogliava delle sue vesti e insegne regali, a questo fa riferimento la parte conclusiva del mito di Eracle.

Quando Eracle condusse Iole nella sua casa, Deianira, pur essendo rassegnata all'idea che Eracle avesse delle amanti, trovò intollerabile che il marito volesse farle vivere sotto lo stesso tetto, perciò decise di servirsi del talismano datole dal Centauro Nesso.

Prese dunque il panno imbevuto del sangue del centauro e ne strofinò la camicia che inviò ad Eracle per un sacrificio di ringraziamento che egli voleva fare a Zeus.

Vide poi che il panno da lei gettato via ardeva come paglia, si rese conto di essere stata ingannata e mandò un messaggero da Eracle per avvertirlo del pericolo, giurando che se Eracle fosse morto non gli sarebbe sopravvissuta.

Il messaggero giunse tardi, il calore aveva fatto sciogliere il veleno contenuto nel sangue di Nesso che si diffuse corrodendogli la carne, il bruciore divenne insopportabile ed Eracle si tuffò nel fiume più vicino, ma il veleno bruciò più violento.

Alla fine Eracle chiese a Illo di portarlo via per morire in solitudine e Illo lo condusse ai piedi del monte Eta nella Trachinia, là Eracle rivelò ad Illo la profezia di Zeus: "Nessun uomo vivente ucciderà mai Eracle, ma un nemico morto segnerà la sua fine", poi gli fece giurare che l'avrebbe bruciato su una pira di legno di quercia e di tronchi di oleastro.

Quando Eracle salì sul rogo, nessuno aveva il coraggio di appiccare il fuoco, alla fine lo fece Filottete ed Eracle gli lasciò la faretra, l'arco e le frecce; Zeus si rallegrò per il nobile comportamento di suo figlio e, avvolto in una nube, lo trasportò in cielo sul suo cocchio.

Filottete fu punito da Era, per l'aiuto prestato ad Eracle: durante una sosta nell'isola di Lemno fu morso da un serpente e la ferita, infetta, emanava un odore insopportabile, tanto che i compagni diretti a Troia lo abbandonarono.

Le raffigurazioni da cui fu tratta questa leggenda probabilmente mostravano l'eroe sanguinante e in agonia mentre si torceva nella bianca camicia che lo consacrava alla dea Morte; sul onte Eta il re sacro continuò per secoli ad essere bruciato in effigie.

Filottete è il successore del re che eredita le sue armi e il suo letto e muore per un morso di serpente alla fine dell'anno.

In un primo tempo l'anima di Eracle fu accolta nel Paradiso occidentale delle Esperidi, il suo ingresso all'Olimpo fa parte di una leggenda più tarda, nata forse da una raffigurazione di Atena o Ebe, la giovane regina che presentava il divino paredro ai 12 testimoni delle sacre nozze (forse rappresentavano i 12 mesi dell'anno).

Nel mito di Giasone, Medea promise a Pelia di ridargli la giovinezza e, per convincerlo, tagliò in 13 pezzi un vecchio ariete e lo fece bollire in un calderone, poi trasse fuori di nascosto un agnellino dal simulacro della dea Artemide e fece credere che fosse l'ariete ringiovanito, così Pelia acconsentì a sdraiarsi sul letto.

Medea allora lo fece addormentare e disse alle sue tre figlie di tagliarlo a pezzi e metterlo a bollire, Alcesti si rifiutò ma le altre due fecero quanto chiedeva Medea e così uccisero il padre.

Pare che la leggenda sia nata dal rito della mezza estate, quando il re sacro, con una maschera di ariete sul viso, veniva massacrato sulla cima di una montagna, si facevano bollire poi in un calderone le sue membra e le sacerdotesse le mangiavano; l'ombra del defunto allora sarebbe passata in una di esse e sarebbe rinata in un bambino la primavera seguente.

Il mito di Zagreo, figlio di Zeus e Persefone, fatto a pezzi e divorato vivo dai Titani, si riferisce al sacrificio annuale di un fanciullo nell'antica Creta, un sostituto di Minosse regnava per un solo giorno e poi veniva ucciso e divorato crudo; i filosofi orfici continuarono la tradizione del sacrificio, ma sostituirono il fanciullo con un vitello.

I popoli civili della Grecia rifiutarono con disgusto i riti cannibalici praticati in Arcadia, come fa capire, nel mito di Deucalione, l'orrore di Zeus quando i figli di Licaone gli offrirono le interiora di un loro fratello mescolate a quelle di pecore e capre in una zuppa.

Ad Argo si sceglievano fratelli gemelli come sostituti dei re che governavano in coppia, essi dovevano essere poi sepolti presso la soglia del tempio per allontanare gli spiriti maligni, probabilmente il mito di Cleobi e Bitone si riferisce ai sacrifici umani offerti ogni volta che si consacrava un tempio alla dea Luna.

Essi erano figli della sacerdotessa di Era ad Argo, quando doveva celebrare i riti della dea i buoi da aggiogare al carro non erano ancora giunti dal pascolo, Cleobi e Bitone li sostituirono e, giunti al tempio, si addormentarono esausti.

La madre chiese alla dea il dono migliore per i suoi figli ed essi non si svegliarono più.

Un dono simile fu dato ad Agamede e Trofonio, due gemelli che avevano posto una soglia di pietra sulle fondamenta gettate da Apollo per il suo tempio a Delfi; l'oracolo disse: "Vivete allegramente per 6 giorni, al settimo il desiderio del vostro cuore sarà esaudito"; furono trovati morti nei loro letti.

Nel mito di Eracle, l'eroe, impazzito per volontà di Era, uccise i figli avuti da Megara, poi fu purificato da re Tespio e si recò a Delfi dove l'oracolo gli disse che avrebbe dovuto servire Euristeo per dodici anni.

La pazzia fu la scusa cui la Grecia dei tempi classici ricorse per giustificare i sacrifici infantili, in realtà i fanciulli sostituti del re sacro venivano arsi vivi mentre il re era nascosto in una tomba per 24 ore simulando la morte, per poi riapparire e salire di nuovo al trono.

La morte di Ila, scudiero e amante di Eracle, avvenne durante la spedizione degli Argonauti, alla foce del fiume Chio nella Misia.

Poiché il suo remo si era spezzato, Eracle si allontanò per cercare un albero da cui ricavare un nuovo remo, al ritorno non trovò Ila, il quale a sua volta era andato ad attingere acqua alla fonte ed era scomparso, le ricerche furono inutili perché le Ninfe della fonte si erano innamorate di Ila e lo avevano indotto a seguirle in una grotta sotterranea.

La morte di Ila è paragonabile a quella di Leucippo, Atteone, Orfeo o altri re del culto della quercia, erano fatti a pezzi e divorati da donne invasate che poi si purificavano nelle acque di una sorgente e dicevano che il re sacro era misteriosamente scomparso.

Il Fanciullo o i Gemelli dell'Anno Nuovo

Il Fanciullo dell'Anno Nuovo è l'eroe solare, il quale è rappresentato da diversi eroi: Eolo, Pelia, Anfione, Egisto, Ippotoo, Edipo, Perseo, Giasone.

Molti principi fanciulli furono abbandonati sui monti come Edipo, o affidati alle onde in un'arca come Perseo, o allevati da pastori, come Egisto.

Una processione di torce salutava l'ingresso del Fanciullo Divino portato sulle spalle da bovari o pastori nella cerimonia dell'Anno Nuovo; il Fanciullo veniva acclamato come figlio della dea Brimo (furente).

Brimo era un appellativo di Demetra e gli iniziati di Demetra a Eleusi (nome che significa avvento), città micenea, celebravano i grandi Misteri Eleusini durante il mese di Bedromione, essi ricordavano l'unione della dea con Iasione o Trittolemo o Zeus facendo scorrere un oggetto fallico in uno stivaletto, poi dei pastori recavano un cesto di vimini che conteneva il fanciullo Iacco, frutto di quel matrimonio rituale.

Nel mito di Minosse, il nome di un fratello di Minosse, Sarpedone, significa "che si rallegra in un'arca di legno", con riferimento all'eroe solare che all'inizio dell'Anno Nuovo fa la sua apparizione come un fanciullo che galleggia in un'arca.

Su una giara per olio a figure nere è dipinta una cerimonia rituale in cui uomini nudi percuotono una effigie della Madre Terra per liberare Kore, lo spirito dell'Anno Nuovo.

Il mito di Edipo fu probabilmente tratto da una serie iconografica sull'ingresso del Fanciullo Divino sulle spalle di pastori.

Edipo era figlio di Laio, re di Tebe e marito di Giocasta; poiché non aveva figli consultò l'oracolo di Delfi il quale gli disse che quella disgrazia in realtà era una benedizione degli dei, perché il figlio di Giocasta avrebbe ucciso il padre.

Allora Laio ripudiò Giocasta senza però dirle il perché, lei lo fece ubriacare e lo attirò nel suo letto; quando poi nacque il figlio Laio non ebbe il coraggio di ucciderlo e lo abbandonò sul monte Citerone con i piedi forati e legati.

Un pastore corinzio lo trovò, lo chiamò Edipo a causa dei piedi deformati dalle ferite e lo portò con sé a Corinto, dove regnava il re Polibo.

In un'altra versione del mito, Laio rinchiuse il figlio in una cassa che fu gettata in mare da una nave, questa galleggiò sulle onde e giunse sulla spiaggia di Sicione.

Là si trovava Peribea, moglie di Polibo, la quale sorvegliava le lavandaie della reggia, essa raccolse il bimbo, si nascose tra gli alberi e finse di avere le doglie del parto, in questo modo riuscì a convincere le lavandaie che il bimbo era nato da lei.

Anche la nascita di Paride segue lo schema mitico della nascita di Edipo; poco prima che venisse al mondo Ecuba sognò di generare una fascina di legna piena di serpenti e si svegliò gridando che la città e il monte Ida erano in fiamme.

Il figlio veggente di Priamo, Esaco, profetizzò che il bimbo sarebbe stato la rovina della patria e, dopo pochi giorni, disse che tutte le principesse troiane sul punto di partorire dovevano essere uccise e così pure i loro figli.

Priamo allora uccise una sua sorella e il figlio di lei, nato proprio quella mattina, ma non ebbe il coraggio di uccidere la moglie Ecuba e il bimbo nato da lei lo stesso giorno.

Mandò invece a chiamare uno dei suoi pastori, Agelao, e gli affidò il figlio perché lo uccidesse, ma Agelao non ebbe neanche lui il coraggio di usare la corda o la spada e abbandonò il bambino sul monte Ida.

Dopo cinque giorni, tornato sul posto, trovò il bimbo vivo, allattato da un'orsa, allora lo portò via con sé in una borsa (da questo derivò il nome Paride) e lo allevò insieme al proprio figlio appena nato.

Paride è dunque il fanciullo dell'Anno Nuovo e il figlio di Agelao è il suo gemello.

Molti miti in cui si parla di gemelli furono probabilmente tratti dalla stessa raffigurazione che mostrava la Madre Terra accovacciata su una tomba a tholos, la quale presentava i gemelli dell'Anno Nuovo ai pastori.

I gemelli rappresentano l'uno lo spirito dell'Anno Crescente, l'altro lo spirito dell'Anno decrescente, i rapporti tra loro sono improntati ad una feroce rivalità oppure ad una perfetta armonia.

La presenza dei gemelli nel mito di Belo indica il sistema vigente in Argo, dove ogni co-re sposava la grande sacerdotessa e regnava per 50 mesi lunari, il litigio fra coppie di re ricorda la fine del sistema per cui il re e il suo successore regnavano alternativamente per 50 mesi.

Re Belo era figlio di Libia e Poseidone e fratello gemello di Agenore, a sua volta ebbe due gemelli, Egitto e Danao, Egitto ebbe 50 figli e Danao 50 figlie.

Alla morte di Belo i due gemelli litigarono per l'eredità, allora Egitto propose un matrimonio tra i suoi figli e le figlie del fratello, ma un oracolo rivelò a Danao che in realtà Egitto voleva uccidere tutte le sue figlie, le Danaidi, perciò egli fuggì e giunse ad Argo dove divenne un re così potente che tutti i Pelasgi della Grecia furono chiamati Danai.

Nel mito di Salmoneo, la figlia di questo, Tiro, si innamorò del fiume Enipeo ma Poseidone prese l'aspetto di Enipeo e la violentò, da tale unione nacquero due gemelli che Tiro espose su una montagna.

Un guardiano di cavalli li trovò e li portò a sua moglie che fece allattare il maggiore, Pelia, da una giumenta e l'altro, Neleo, da una cagna.

In un altro mito, Abante, re dell'Argolide e nipote di Danao, sposò Aglaia e lasciò il regno ai due figli gemelli, Preto e Acrisio, raccomandando loro di regnare alternativamente.

I due litigavano sempre, addirittura i loro litigi erano iniziati quando si trovavano ancora nel grembo materno, ma quando poi divennero grandi, la situazione peggiorò perché Preto si unì con la figlia di Acrisio, Danae.

Poiché Acrisio rifiutò di cedergli il trono, Preto si rifugiò presso Iobate, re di Lidia, e ne sposò la figlia Stenebea, poi marciò contro l'Argolide alla testa di un esercito, ma nessuno dei due riuscì a prevalere, perciò alla fine Acrisio e Preto stabilirono di dividersi il regno, Acrisio ebbe Argo e dintorni, Preto ebbe Tirinto, Midea e la costa dell'Argolide.

Acrisio seppe dall'oracolo che non avrebbe avuto figli e che suo nipote l'avrebbe ucciso, allora chiuse la figlia Danae in una torre dalle porte di bronzo, custodita da cani feroci, ma Zeus si unì a lei sotto forma di pioggia d'oro e da questa unione nacque Perseo.

Acrisio non volle credere che il padre del bimbo fosse Zeua e pensò che il fratello Preto fosse tornato da Danae, tuttavia non ebbe il coraggio di uccidere la figlia, la chiuse con il neonato in un'arca di legno e la gettò in mare.

Danae imprigionata nella torre di bronzo dove dà alla luce un bambino si ricollega alla solita immagine dell'Anno Nuovo, Zeus che feconda Danae con una pioggia d'oro si riferisce alle nozze rituali del Sole e della Luna da cui nascerà il re dell'Anno Nuovo.

Per assicurare al divino paredro la precedenza sul successore, questo era descritto di solito come figlio di un dio, mentre il suo gemello era figlio di un mortale, come si vede nel mito dei Dioscuri.

Anche se il nome significa "figli di Zeus", uno di essi, Castore, sarebbe stato figlio di Tindareo, marito di Leda, e perciò mortale, l'altro, Polideuce, figlio di Zeus e perciò immortale.

Poiché Castore morì, ucciso da Ida, Polideuce chiese per amore del fratello di morire anche lui; essendo figlio di Zeus, egli salì al cielo ma rifiutò l'immortalità se Castore non poteva averla, allora Zeus concesse che trascorressero a turno un giorno nel cielo e uno sotto terra.

La perfetta armonia che regnava fra i gemelli indica un nuovo stadio nello sviluppo dell'organizzazione monarchica, nel senso che il potere veniva suddiviso tra il re sacro che compiva i necessari sacrifici e il suo successore che comandava l'esercito, come avveniva a Sparta e a Megara.

Simbolismo

Anticamente il tempo era suddiviso in lunazioni e le cerimonie erano celebrate in corrispondenza di determinate fasi della luna; anche quando l'anno solare fu calcolato in 364 giorni più qualche ora, esso fu diviso in mesi, cioè in cieli lunari.

I mesi erano di 28 giorni e la settimana di 7 giorni era l'unità del mese lunare; poiché l'anno di 364 giorni è divisibile per 28, il succedersi delle feste popolari era regolato dal succedersi dei mesi, che erano non 12 ma 13.

I giorni della settimana erano affidati alla tutela dei Titani, il Sole passava attraverso 13 fasi mensili che iniziavano con il solstizio d'inverno, quando i giorni cominciano ad allungarsi.

Fra il tredicesimo e il primo mese fu intercalato un giorno che divenne il più importante perché in quel giorno la ninfa tribale sceglieva il suo divino paredro, di solito si trattava del vincitore di una gara di lotta o di corsa o di tiro con l'arco.

Nella mitologia greca si riflettono i rapporti fra la regina e i suoi amanti, che iniziano con il sacrificio del divino paredro e terminano con il tramonto del sistema matriarcale.

Nel mito di Demetra e Kore, i sette chicchi di melograno mangiati da Kore rappresentano forse le sette fasi lunari che debbono trascorrere prima che i contadini vedano germogliare il grano.

Un tabù primitivo riguardava i cibi di colore rosso, che potevano essere offerti soltanto ai morti e si diceva che il melograno, come l'anemone scarlatto fosse sbocciato dal sangue di Adone, bellissimo giovane amato da Afrodite e ucciso da Ares sotto forma di cinghiale.

Rossi erano anche i fiori che, secondo Ovidio, Kore stava raccogliendo quando Ade la rapì, erano infatti dei papaveri; un'immagine della dea con papaveri fra i capelli fu trovata a Creta, un'altra dea in una impronta di sigillo ha dei papaveri in mano e nell'anello d'oro del tesoro dell'acropoli di Micene si vede Demetra seduta che dona tre papaveri a Kore in piedi.

I papaveri erano naturalmente associati con Demetra, dato che crescono nei campi di grano, ma Kore raccoglie o accetta in dono papaveri per le loro qualità soporifere e per il loro colore scarlatto, che simboleggia la promessa di resurrezione.

Il mito degli Aloidi è una versione popolare della rivolta dei Giganti: gli Aloidi erano Efialte e Oto, figli di Ifimedia e Poseidone, chiamati Aloidi perché in seguito Ifimedia sposò Aloeo.

Essi crebbero in modo smisurato e dichiararono guerra all'Olimpo, Efialte giurò sul fiume Stige che avrebbe violentato Era e Oto giurò che avrebbe fatto lo stesso con Artemide.

Artemide disse che era pronta ad assecondare Oto, ma Efialte si ingelosì perché lui non aveva ricevuto un messaggio analogo da Era e litigò con Oto; Artemide apparve sotto forma di cerbiatta bianca, gli Aloidi presero ciascuno un giavellotto e tentarono di colpirla, ma la dea passò velocissima tra loro, ed essi si uccisero a vicenda, facendo così avverare la profezia che non sarebbero stati uccisi né da uomini né da dei.

Le anime degli Aloidi nel Tartaro furono legate ad una colonna, schiena contro schiena, con corde di vipere vive, mentre la ninfa Stige se ne stava appollaiata sulla colonna ridendo dei loro giuramenti non mantenuti.

Forse il tormento degli Aloidi nel Tartaro fu dedotto da un antico segno calendariale che mostrava due teste di gemelli voltati schiena contro schiena, mentre sedevano sulla sedia dell'Oblio, ai due lati di una colonna.

La colonna su cui sta appollaiata la dea della Morte e della Vita indica l'apice dell'estate, quando termina il regno del re sacro e inizia quello del suo successore; in Italia lo stesso simbolo divenne Giano bifronte.

Un mito che allude alle stagioni dell'anno è quello di Borea; Borea, figlio di Astreo e di Eos, fratello dei Venti del Sud e dell'Ovest, rapì Orizia mentre portava un cesto di primizie durante la processione delle Tesmoforie ed ebbe da lei due gemelli.

Un giorno Borea, preso l'aspetto di un nero stallone, fecondò 12 giumente che appartenevano ad Erittonio figlio di Dardano, e da esse nacquero 12 puledre che potevano cavalcare senza piegarle su spighe di grano maturo o sulla cresta delle onde.

Borea era una personificazione del demiurgo Ofione che danzò con Eurinome, o Orizia, la dea della Creazione, e la fecondò.

Borea soffia in inverno dalle pendici del monte Emo e, quando la primavera esplode con i suoi fiori, pare che abbia fecondato tutta l'Attica; le 12 puledre erano probabilmente aggiogate a tre quadrighe: Primavera, Estate, Autunno.

Al calendario era legato un alfabeto segreto custodito dalle sacerdotesse della dea Luna, Io o le tre Moire, il quale esisteva in Grecia prima dell'introduzione dell'alfabeto fenicio.

Le lettere erano rappresentate da ramoscelli recisi da alberi di specie diverse che simboleggiavano i diversi mesi dell'anno, ogni consonante corrispondeva ad un mese di 28 giorni di una serie di 13 mesi che iniziava dopo il solstizio d'inverno.

Le vocali rappresentavano la quarta parte di un anno: "O"  indicava l'equinozio di primavera, "U" il solstizio d'estate, "E" l'equinozio d'autunno, "A" era l'albero della Vita, "I" il solstizio d'inverno o l'albero della morte.

Spesso ricorre nei miti il numero 50: le 50 Danaidi, le 50 Nereidi, le 50 figlie di Tespio, le 50 figlie di Cinira; 50 era il numero delle sacerdotesse della Luna, di Era, di Atena, il re sacro regnava per 50 mesi lunari.

50 mesi erano la metà del Grande Anno di 100 lunazioni, nell'ultimo dei quali l'anno solare e l'anno lunare coincidevano approssimativamente, è quindi evidente l'allusione al periodo di regno concesso al re sacro e al suo successore.

Nel mito di Niobe c'è un'allusione alla soppressione del calendario in uso nella Grecia pelasgica, articolato sui mesi divisi in quattro settimane di sette giorni, ciascuno retto da una delle sette potenze planetarie, con a capo un Titano e una Titanessa.

Le sette potenze erano il Sole, la Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno, le coppie di Titani erano: Tia e Iperione, Febe e Atlante, Dione e Crio, Meti e Ceo, Temi ed Eurimedonte, Teti e Oceano, Rea e Crono.

Niobe, sorella di Pelope, sposò Anfione e generò 7 figli e 7 figlie, un giorno però ebbe l'ardire di insultare Latona, che aveva soltanto due figli, dicendo che una donna di oscure origini non poteva essere anteposta a lei, nipote di Zeus e di Atlante.

Apollo e Artemide allora, figli di Latona, vendicarono l'offesa alla madre scagliando frecce contro i figli di Niobe e uccidendoli tutti, Niobe pianse per 9 giorni e non trovò nessuno che seppellisse i suoi figli perché Zeus aveva mutato i Tebani in pietre, al 10° giorno furono gli dei stessi impietositi a guidare il funerale e Niobe fu trasformata in una statua che versava lacrime all'inizio di ogni estate.

Il mito di Niobe riguarda probabilmente la sconfitta di sette Titani e di sette Titanesse da parte degli dei Olimpi e con essa la soppressione del calendario pelasgico.

Altri simboli calendariali sono l'unicorno, che rappresentava il dominio della dea Luna sulle stagioni dell'anno, la Sfinge che con il suo corpo composito alludeva alle due parti dell'anno tebano, il leone alla parte crescente, il serpente alla parte decrescente, le 12 fatiche di Eracle che sembrano coincidere con i segni dello Zodiaco.

Nella seconda fatica, l'uccisione dell'idra di Lerna, il numero di teste del mostro varia perché come simbolo del collegio di sacerdotesse aveva 50 teste, come simbolo della seppia (travestimento adottato da Teti) aveva 8 braccia serpentine che terminavano con una testa mentre un'altra testa si trovava sul tronco, nove in tutto in onore della dea Luna, infine sulle monete greche era di solito rappresentata con 7 teste, come le 7 sorgenti del fiume Amimone.

Nel mito di Medea, il numero dei figli da lei uccisi ricorda quello dei Titani e delle Titanesse, ma i 14 tra ragazzi e ragazze che dovevano trascorrere un intero anno nel tempio di Era in espiazione del crimine rappresentavano probabilmente i giorni pari e i giorni dispari della prima metà del mese.

Nel mito di Odisseo, la caverna dei Ciclopi è un luogo di morte e il gruppo guidato da Odisseo si componeva di 13 uomini, come il numero dei mesi di regno concessi al primitivo re sacro.

L'occhio del Ciclope era in Grecia un emblema solare, forse i Ciclopi pre-ellenici, fabbri famosi, avevano un occhio tatuato al centro della fronte.

Eea è la tipica Isola della Morte, dove la dea della Morte canta e lavora al telaio, Scilla (colei che dilania) e Cariddi (colui che risucchia) sono appellativi della dea della Morte distruttrice, Leucotea che stende il suo velo bianco per salvare Odisseo dalla furia delle onde era la dea del mare cretese, rappresentata anche come polipo.

In molti miti appare un serpente, esso è simbolo di rigenerazione perché i serpenti cambiano pelle ogni anno, in un mito pelasgico è proprio il serpente a dare origine al mondo, insieme ad Eurinome.

Eurinome, dea di tutte le cose, emerse nuda dal Caos, divise il mare dal cielo e iniziò a danzare sulle onde, poi afferrò il Vento del nord che turbinava alle sue spalle e lo strofinò fra le mani, apparve così il serpente Ofione.

Eurinome continuava a danzare ed Ofione, preso dal desiderio, avvolse la dea nelle sue spire e si accoppiò a lei, che rimase incinta.

Essa, volando sul mare, prese la forma di una colomba e depose un uovo, poi Ofione si arrotolò per sette volte intorno all'uovo, finchè questo si schiuse e ne uscirono tutte le cose esistenti: il sole, la luna, i pianeti, le stelle, la terra, i monti, i fiumi, gli alberi, le creature viventi.

Un giorno Ofione irritò la dea perché si vantava di essere il creatore dell'universo, allora Eurinome lo colpì alla bocca con un calcio, gli spezzò tutti i denti e lo relegò nelle caverne sotterranee.

Parecchi miti alludono a riti orgiastici primitivi, per esempio il mito di Pan:

Pan nacque forse da Ermes e Driope o dalla ninfa Enide, o da Penelope o dalla capra Amaltea.

Aveva corna, barba, coda e zampe di capro; visse in Arcadia, pascolando greggi e allevando api, metteva in fuga chi disturbava il suo sonno lanciando urla terrorizzanti.

Sedusse parecchie ninfe, come Eco, e si vantava di essersi accoppiato con tutte le Menadi di Dioniso; una volta inseguì la casta Siringa che si trasformò in giunco, allora egli ne prese molti a caso e fabbricò lo zufolo.

Come si vede, le versioni della nascita di Pan sono diverse e contrastanti; poiché Ermes era il dio che risiedeva nella pietra fallica intorno a cui si svolgevano le orge, i pastori descrissero il loro dio Pan come figlio di Ermes e di un picchio, l'uccello che, battendo col becco sui tronchi, annunciava le piogge estive.

Il nome di un'altra delle supposte madri di Pan, Penelope ("con una rete sulla faccia") fa pensare che le Menadi si dipingessero il volto prima di iniziare le orge.

Ermes che si univa a Penelope sotto forma di ariete (l'ariete- demonio, che corrisponde alla capra- strega), la leggenda di Penelope fecondata da tutti i pretendenti, Pan che si accoppiava con tutte le Menadi, si riferiscono al carattere promiscuo delle veglie in onore della dea dell'abete presso i montanari arcadici, che erano i più primitivi della Grecia.

Le Tesmoforie, che si svolgevano in diverse località della Grecia, erano feste orgiastiche durante le quali le sacerdotesse si prostituivano pubblicamente per rendere fertili i campi di grano.

Nel mito di Atamante, il nome della moglie Ino significa "colei che rinvigorisce" e allude a orge falliche e alla rapida crescita del grano.

Nel mito di Teseo, la visita notturna di Etra, la madre di Teseo, a Sferia ricorda l'antica usanza secondo la quale le fanciulle nubili si prostituivano volontariamente.

Etra era figlia di Pitteo, considerato l'uomo più saggio del suo tempo; Etra era legata da una promessa a Bellerofonte che però, caduto in disgrazia, era dovuto fuggire.

Pitteo, non gradendo la forzata verginità della figlia, fece ubriacare Egeo, che era giunto a Trezene come suo ospite, e lo mandò a letto con Etra, la stessa notte Etra, obbedendo ad un sogno provocato da Atena, si recò a Sferia, dove si unì con Poseidone, che però concesse ad Egeo la paternità del figlio che sarebbe nato, cioè Teseo.

In diversi miti si parla di trasformazioni di uomini o dei in animali, per esempio nel mito di Dioniso il dio trasformato in capretto si riferisce al culto cretese di Dioniso Zagreo.

Dioniso che si trasforma in leone, toro, serpente, simboleggia l'anno diviso in tre parti, nasce in inverno come serpente, diventa leone in primavera, è ucciso e divorato in estate sotto l'aspetto di toro, capro o cervo.

La leggenda che fa di Orfeo un musico prodigioso che ammansiva le belve e induceva gli alberi a muoversi si riferisce alla sequenza stagionale di alberi e animali simbolici.

Nereo o Proteo in una pittura vascolare primitiva era raffigurato con la coda di pesce e un leone, un cervo, una vipera che gli uscivano dal corpo, e simboleggiava le stagioni fra la nascita e la morte del re.

Le Arpie erano personificazioni dei venti di tempesta, le Esperidi si riferiscono al tramonto, quando il cielo che diventa verde, giallo, rosso, ricorda un albero di mele, Cerbero in origine era forse la dea della morte Ecate, la Chimera (capra che sputa fiamme) era un simbolo di una parte dell'anno a tre stagioni (leone, capra, serpente).

La Chimera fu uccisa da Bellerofonte, figlio di Glauco e nipote di Sisifo; egli era stato accusato falsamente da  Antea, moglie di Preto, di aver tentato di sedurla e Preto lo aveva mandato dal padre di Antea, Iobate re di Licia, con una lettera sigillata che gli diceva di ucciderlo per la tentata violenza.

Iobate non se la sentì di uccidere un ospite e lo mandò a uccidere la Chimera, un mostro dall'alito infuocato, la testa di leone, il corpo di capra e la coda di serpente.

Il veggente Poliido consigliò all'eroe di prendere e domare Pegaso, egli dunque piombò sulla Chimera, trafiggendola con le frecce e conficcandole un pezzo di piombo, infilato nella punta di una lancia, tra le mascelle, l'alito infuocato fuse il piombo che scivolò giù per la gola e uccise il mostro.

La Chimera era il simbolo dell'anno a tre stagioni sacro alla Grande Dea: il leone era la primavera, la capra l'autunno e il serpente l'inverno.

Un frammento di specchio trovato a Dendra presso Micene mostra un eroe che lotta con un leone dalla cui schiena emerge qualcosa simile ad una testa di capra, mentre la coda è serpentina; la scena illustrava il combattimento rituale che il re doveva sostenere contro uomini travestiti da animali e rappresentanti le stagioni.

Bellerofonte che doma Pegaso, il cavallo della Luna usato nei riti propiziatori di pioggia, usando una briglia fornitagli da Atena, fa pensare che il candidato alla regalità sacra fosse incaricato dalla Triplice Dea di catturare un cavallo selvaggio.

Quando l'anno ebbe due stagioni la Chimera si trasformò nella Sfinge, l'alata dea Luna di Tebe, il cui corpo simboleggiava le due parti dell'anno tebano, il leone la parte crescente, il serpente la parte decrescente.

Nel mito di Eracle, l'eroe dovette combattere contro il fiume Acheloo che gli contendeva Deianira; Acheloo poteva assumere tre forme: toro, serpente, uomo con testa di toro.

Eracle si vantò di dare a Deianira Zeus come suocero e la gloria delle sue 12 Fatiche, Acheloo disse di essere il padre di tutti i fiumi greci e poi provocò Eracle dicendogli: "O non sei figlio di Zeus oppure tua madre è un'adultera!"

Eracle allora lottò con Acheloo sotto forma di toro, strinse le sue corna e lo scaraventò a terra con tanta forza che il corno destro si staccò, Acheloo si ritirò vergognoso e nascose la sua mutilazione sotto una corona di rami di salice.

In questo mito il toro e il serpente sono i simboli dell'anno che nasce e dell'anno che muore, entrambi sono vinti e dominati dal re sacro; un corno di toro, considerato fin dai tempi più antichi come sede di fertilità, consacrava al trono il candidato che se ne era impossessato sia lottando con un toro sia contro un avversario mascherato da toro.

Spiegazione di fenomeni naturali o di eventi storici

Molti miti possono essere interpretati come miti della natura, per esempio i numerosi racconti sull'eroe che sconfigge un mostro vanno riferiti all'alba che sconfigge le tenebre della notte.

La maggior parte delle culture creatrici di miti assegnano la posizione primaria a un dio del cielo o del tempo meteorologico, che diventa poi il tutore dell'ordine e della società, come Zeus.

Egli abita il cielo, le sue armi sono il lampo e il fulmine, protegge i supplici e gli stranieri, fa cadere la pioggia dalle nuvole, nella Teogonia di Esiodo le sfide al suo potere vengono dagli dei più antichi, i Titani, i quali, sconfitti da lui, saranno poi inceneriti dai suoi fulmini, e da Tifeo, il mostro degli uragani.

La connessione fra gli dei del cielo, della pioggia, del tempo, e gli dei della terra e della fertilità è esemplificata dal mito di Demetra e Kore, quando infatti Kore fu rapita da Ade le conseguenze furono una grande carestia e la morte del grano.

La connessione fra cielo e terra appare anche nel mito sull'origine di Zeus: egli era figlio di Crono e Rea, a loro volta figli di Urano e Gaia, i quali sono la rappresentazione simbolica del gioco fra pioggia e terra che produce la nascita e la crescita delle piante.

Nel mito dell'età dell'oro si parla di un periodo in cui una stirpe "aurea" viveva senza fatica e moriva come nel sonno al termine di una vita felice, allora gli uomini banchettavano con gli dei in particolari occasioni, come per le nozze di Peleo e Teti, Cadmo e Armonia.

Ma quell'età finì, il diluvio va inserito in qualche punto di questo contesto, esso fu mandato da Zeus per punire l'umanità empia e violenta, rappresentata da Licaone e dai suoi figli, che gli offrirono carne umana.

La leggenda del diluvio, come quella di Atlantide, la mitica terra scomparsa misteriosamente, risalgono al terzo millennio a.C.

Quando Zeus, irritato con Licaone, trasformò lui e i suoi figli in lupi e scatenò una grande alluvione, Deucalione re di Ftia fu avvertito da suo padre Prometeo e così costruì un'arca sulla quale salì insieme alla moglie Pirra.

Dopo 9 giorni l'arca si posò sul monte Parnaso (o sull'Etna o sul monte Athos), rassicurato da una colomba mandata in esplorazione, Deucalione sbarcò con la moglie, offrì un sacrificio a Zeus e chiese che il genere umano potesse rivivere.

Zeus mandò Temi che disse loro: "Gettate dietro le spalle le ossa di vostra madre"; poiché le loro madri erano morte essi capirono che si trattava della Madre Terra, presero dunque le pietre e le gettarono alle loro spalle, così rinacquero uomini e donne.

Il mito di Atlantide presenta delle analogie con quello di Deucalione, Atlantide era la terra di Atlante, fratello di Prometeo, il quale abitava al di là delle Colonne di Eracle.

Egli aveva cinque coppie di fratelli gemelli che, divenuti avidi e crudeli, furono puniti dagli dei con un diluvio che distrusse Atlantide; Atlante e il fratello Menezio, scampati, si unirono a Crono e ai Titani contro gli dei Olimpi.

Zeus uccise Menezio con la folgore e condannò Atlante a reggere sulle spalle il peso della volta del cielo.

Atlante era la personificazione del monte Atlante, ma per Omero le colonne su cui era appoggiato il cielo si trovavano in mezzo all'oceano che fu chiamato poi Atlantico da Erodoto.

Forse la leggenda di Atlantide ricorda un maremoto che nel terzo millennio a.C. distrusse le gigantesche opere portuali dell'isola di Faro sul delta del Nilo, su cui avevano esteso la loro influenza i Cretesi minoici.

Alcuni particolari della versione di Platone, come il sacrificio del toro, gli impianti di acqua calda e fredda nel palazzo di Atlante, farebbero capire infatti che gli abitanti erano Cretesi.

E' stata avanzata l'ipotesi che la scogliera atlantica sommersa fosse composta dai resti del continente scomparso, ma le ricerche oceanografiche provano che tutta la catena è rimasta sott'acqua per 60 milioni di anni, le ossa e le suppellettili impigliatesi nelle reti dei pescatori provano invece che il disastro avvenne nel paleolitico.

Probabilmente, in qualunque luogo sia avvenuto, furono emigranti neolitici a portare la notizia sulle rive dell'Atlantico, da dove poi si diffuse trasfigurata dal mito.

Tornando a Deucalione, il mito dice che da lui nacque Elleno, da Elleno nacquero Eolo, Doro, Suto, da Suto nacquero Ione e Acheo, dunque tutte le stirpi elleniche.

Da Eolo nacque Arne e da questa, sedotta da Poseidone, nacquero due gemelli: Beoto ed Eolo, che regnarono l'uno sulla Beozia e l'altro sulle isole Eolie, dove divenne famoso come custode dei venti.

Zeus aveva imprigionato i venti nell'isola di Lipari perché temeva che, se non fossero rimasti sotto controllo, potessero un giorno spazzare via la terra e il mare, ed Eolo fu incaricato di custodirli; egli doveva rimetterli in libertà ad uno ad uno, ma se doveva scatenare una tempesta allora apriva un varco nella scogliera e i venti si precipitavano disordinatamente all'aperto.

Gli Ioni e gli Eoli furono le prime due ondate di Greci patriarcali che invasero la Grecia, ma essi furono indotti dai precedenti abitanti di stirpe elladica a onorare la triplice dea, in seguito gli Achei e i Dori riuscirono ad imporre i costumi patriarcali e la discendenza patrilineare, facendo di Acheo e di Doro i figli di un comune antenato, Elleno (corrispondente maschile della dea lunare Elle o Elena).

Il mito di Ione vuole provare la maggiore anzianità degli Ioni e la loro discendenza divina da Apollo, infatti in esso si dice che Apollo ebbe il figlio Ione da Creusa, moglie di Suto, e lo trasportò a Delfi dove egli divenne servo in un tempio.

Ione fu poi riconosciuto da Suto come figlio e, alla morte di Eretteo, re di Atene e padre di Creusa, succedette a questi sul trono di Atene.

Quanto ad Eretteo, egli era figlio di re Pandione e fratello gemello di Bute; quando re Pandione morì, i suoi due figli si divisero l'eredità, Eretteo fu re di Atene e Bute divenne sacerdote di Atena e Poseidone.

Eretteo ebbe 4 figli e 7 figlie, da una di queste e Poseidone nacque Eumolpo; Eumolpo sposò una sua cugina, figlia di Poseidone e Anfitrite, ma siccome si innamorò di un'altra fu esiliato in Tracia, su cui regnava il re Tegirio.

Eumolpo ordì un complotto contro il re Tegirio, ma fu scoperto e dovette fuggire ad Eleusi, là divenne sacerdote dei Misteri di Demetra e Persefone, poi ottenne il perdono di re Tegirio che gli lasciò il trono di Tracia.

Successivamente scoppiò una guerra tra Atene ed Eleusi, Eumolpo appoggiò Eleusi.

Il re di Atene, Eretteo, seppe dall'oracolo che per avere la vittoria avrebbe dovuto sacrificare la figlia più giovane, Ozionia, ma insieme ad essa si uccisero anche le sorelle Protogonia e Pandora, che avevano fatto voto di morire se una di loro fosse stata uccisa.

Nella battaglia Eretteo uccise Eumolpo e Zeus, invocato da Poseidone, padre di Eumolpo, uccise Eretteo con la folgore; dopo la pace tra Atene ed Eleusi, gli Eleusini divennero sudditi di Atene in tutto, tranne che nel controllo dei loro Misteri.

E' evidente nel mito un riferimento alla vittoria di Atene su Eleusi e all'origine tracia dei Misteri Eleusini, nonché ad un antico culto ateniese dell'orgiastica dea- ape.

Infatti Bute è associato ad un culto dell'ape ed Eretteo è lo sposo della Dea Attiva, cioè dell'ape regina, anche Tegirio è associato alle api, il suo nome significa "colui che copre l'alveare" ed Atene era famosa per il suo miele.

Altri miti che ricordano eventi storici sono quello di Cadmo e Armonia, che ricorda come i conquistatori Cadmei di Tebe fossero riconosciuti da tutti gli Elleni, quello delle Danaidi, che si ricollega all'arrivo in Grecia di colonizzatori di civiltà elladica giunti dalla Palestina passando per Rodi, quello di Eaco che riguarda la conquista di Egina effettuata da Mirmidoni Ftioti il cui emblema era la formica.

Il conflitto tra Ino e Nefele, nel mito di Atamante, rispecchia forse un conflitto tra i primi abitatori ionici della Beozia, che avevano adottato il culto della dea del grano, Ino, e gli invasori eolici dediti alla pastorizia.

Un tentativo di abolire il culto agrario di Ino per sostituirlo con quello dell'eolico dio del tuono e di sua moglie Nefele (la nube apportatrice di pioggia) fu sventato dalle sacerdotesse che fecero disseccare i semi di grano.

La morte di Ino per annegamento, come quella di Elle, rappresenta il tramonto notturno della luna.

Un mito che fa riferimento a molti e precisi eventi storici è quello di Minosse; pare che "Minosse" sia stato un appellativo regale di una dinastia ellenica che governò a Creta all'inizio del secondo millennio a.C.

E' probabile che Eoli e Pelasgi, guidati da Tettamo, fossero i compagni di Minosse; la lineare B era forse una forma primitiva di greco eolico, molti nomi della mitologia greca si trovano su tavolette cretesi.

L'episodio della rivalità tra Minosse e i fratelli per l'amore di un bellissimo giovane, Mileto, che Minosse geloso cacciò da Creta e che fondò Mileto in Asia minore, allude ad una emigrazione di Cretesi di lingua greca ed origine eolo- pelasgica in Asia minore.

L'influenza cretese si fece sentire in Grecia verso la fine del XVIII secolo a.C. Teseo a Creta rappresenta la ribellione degli Ateniesi contro un Signore cretese che prelevava ostaggi dalla città per assicurarsene l'obbedienza.

Teseo, uccidendo il Minotauro (Toro di Minosse) o sconfiggendo, secondo un'altra versione, il comandante cretese di nome Tauro in una gara di lotta, liberò Atene dalla soggezione a Creta e sposò la principessa, facendo pace con Minosse.

Molte antiche usanze dell'età micenea sono spiegate da Plutarco come un retaggio della visita di Teseo a Creta, ad esempio la prostituzione rituale delle fanciulle.

In periodo più tardo, nel XIV secolo a.C., si possono situare la guerra dei Sette contro Tebe e la guerra degli Epigoni, che avrebbero preceduto sia la spedizione degli Argonauti che la guerra di Troia.

Nel mito di Eracle, le lotte tra Eracle e i Centauri ricordano forse le guerre di frontiera tra gli Elleni e i montanari pre- ellenici della Grecia settentrionale.

Le peregrinazioni di Eracle in Italia e in Sicilia sono state inventate per dare una ragione ai molti templi sorti in onore di Eracle e la sua lotta in 5 riprese con Erice per giustificare le spedizioni di coloni verso la regione di Erice.

In uno dei tanti episodi del mito di Eracle, l'eroe si impadronisce del tripode delfico, in questo c'è, molto probabilmente, il ricordo della violazione del tempio compiuta dai Dori, in seguito Apollo potè mantenere il suo oracolo, ma solo a condizione che servisse gli interessi dei Dori, e infatti gli Spartani, che erano Dori, controllavano l'oracolo di Delfi in epoca classica.

La conquista dell'Elide e di Pilo da parte di Eracle ricordano l'invasione achea del Peloponneso nel XIII secolo a. C., in essa le divinità più antiche, come Era Poseidone, Ade, Ares, aiutano gli Elei, mentre le più giovani, Atena ed Eracle, si oppongono.

Infine il mito più famoso, in quanto immortalato da Omero nell'Iliade, quello della guerra di Troia, si riferisce ad eventi sicuramente storici.

La città di Troia era un importante centro degli scambi commerciali fra Oriente e Occidente nell'età del bronzo, ed era esposta ad attacchi, data la sua posizione in una vasta pianura all'ingresso dell'Ellesponto.

Sia i Greci, sia i Cretesi, sia i Frigi si vantavano di aver fondato la città, le loro pretese non erano inconciliabili, perché anche nei tempi classici Troia fu distrutta e ricostruita parecchie volte, vi furono ben dieci città di Troia e la settima era la Troia omerica, abitata da una federazione di tre tribù (Troiani, Ili, Dardani), sistema in uso nell'età del bronzo.

Morte e aldilà

E' frequente nei miti greci il riferimento alla morte, e al mondo dei morti su cui regna una delle divinità più antiche, Ade, fratello di Zeus e di Poseidone.

Il mondo dei morti ha una struttura abbastanza complessa, nella prima zona che è la Prateria degli Asfodeli le anime degli eroi vagano tra altri morti svolazzanti qua e là come pipistrelli, oltre la prateria si trova l'Erebo in cui vivono le Erinni o Furie, poi c'è il Tartaro in cui sono puniti i malvagi, infine i Campi Elisi dove sono avviate le ombre dei virtuosi.

Oltre vi sono le Isole Beate riservate a coloro che nacquero tre volte e ogni volta vissero virtuosamente.

Nel regno dei morti scorrono i fiumi infernali: Stige, Acheronte, Flegetonte, Cocito, Averno e Lete, questi nomi alludono alle pene della morte, soprattutto Acheronte (fiume dei guai), Cocito (gemente), Lete (oblio), Flegetonte (che brucia).

Nel regno dei morti accanto ad Ade regna Persefone, figlia di Demetra, moglie fedele, che però alla compagnia di Ade preferisce quella di Ecate, dea delle streghe, dotata di tre teste (queste si riferiscono all'antica tripartizione dell'anno, come le tre teste di Cerbero, il cane posto a guardia del Tartaro).

Cerbero era associato dai Dori al dio egiziano Anubi dalla testa di cane, che guidava le anime all'oltretomba, forse in origine era la dea della morte Ecate, descritta come una cagna perché i cani divorano la carne dei cadaveri e ululano alla luna.

Persefone ed Ecate rappresentano la speranza pre-ellenica della rigenerazione, mentre Ade, divinità ellenica, rappresenta l'ineluttabilità della morte.

Asphodelos (da a = non, sphodos = cenere, elos = valle) significa "la valle di ciò che non è stato ridotto in cenere", cioè l'ombra dell'eroe dopo la cremazione; i semi e le radici dell'asfodelo erano l'alimento principale dei Greci prima della coltivazione del grano.

Ecate era in origine la triplice dea, poi si diede risalto alla sua forza distruttrice e infine fu invocata solo nei riti di magia nera.

Le Erinni erano la personificazione dei rimorsi che tormentavano la coscienza di chi aveva infranto un tabù, esse erano sorelle delle ninfe del frassino, nate dal sangue di Urano e poiché Nemesi, la dea - Ninfa della Morte e della Vita, aveva l'appellativo di Adrastea (ninfa del frassino), ciò può spiegare come mai Nemesi finì per personificare la vendetta, in evidente associazione con le Erinni.

Nemesi era anche la dea - Ninfa del ramo di melo, come Afrodite, nata anch'essa dal sangue e dallo sperma di Urano, quando venne evirato dal figlio Crono, dunque sorella delle Erinni.

Molti eroi si sono recati nell'oltretomba, fra questi Eracle nella sua dodicesima Fatica, la cattura di Cerbero.

Eracle discese nel Tartaro guidato da Atena e da Ermes; spaventato dal cipiglio di Eracle Caronte, il traghettatore delle anime dei morti, lo trasportò al di là dello Stige, ma fu punito per questo da Ade che lo incatenò per un anno.

Nel Tartaro l'eroe incontrò Meleagro e gli promise di sposare la sorella di lui, Deianira, poi vide Teseo e Piritoo prigionieri della Sedia dell'Oblio e liberò Teseo, strappandolo con forza alla Sedia, ma non riuscì a liberare Piritoo.

Quando finalmente giunse davanti ad Ade e chiese di portare sulla terra Cerbero, Ade gli disse che poteva prenderlo, se lo domava senza usare la clava o le frecce; Eracle trovò Cerbero presso l'Acheronte, lo afferrò per la gola, da cui spuntavano le tre teste e strinse finchè quello, soffocato, non si arrese.

Pare che questo mito sia stato dedotto da una scena raffigurante Eracle disceso al Tartaro e accolto da Ecate, dea della Morte, sotto forma di un mostro a tre teste, la quale, grata per il dono delle mele d'oro, lo guidava ai Campi Elisi, dunque era Cerbero che portava con sé Eracle, non viceversa.

In una precedente impresa, la decima Fatica, Eracle doveva impadronirsi del bestiame di Gerione, un gigante dai tre corpi che viveva nell'isola Erytheia (la rossa) al di là del fiume Oceano.

E' probabile che Gerione fosse in realtà un "Pastore dei morti", confermato dall'analogia tra il suo cane Ortro e Cerbero, il cane di Ade (secondo Esiodo, Ortro e Cerbero erano fratelli, nati da Echidna e Tifone insieme all'Idra di Lerna.

Forse questa avventura comporta il penetrare e in un certo senso debellare il regno dei morti; uno studioso olandese, J.H.Croon, ha dimostrato che Eracle era associato alle sorgenti calde in varie parti del mondo mediterraneo, connesse anche, per via dei vapori solforosi, col mondo dei morti.

Secondo un'antica tradizione, una delle funzioni di Eracle era di entrare in conflitto con la morte, come dimostra il mito di Alcesti.

Anche l'undicesima Fatica ( il viaggio fino al giardino delle Esperidi per prendere tre mele d'oro) è situata nell'estremo occidente: una delle Esperidi si chiama Erytheia, come l'isola di Gerione, con probabile riferimento al colore del sole al tramonto.

Essa è inoltre connessa con l'idea di una vita nell'aldilà; i pomi d'oro richiamano i fiori d'oro che secondo Pindaro crescevano nelle Isole dei Beati e che forse erano un simbolo dell'immortalità o della gioventù rinnovata.

Eracle muore nel fuoco e la sua morte è seguita dalla resurrezione e dalla gloria; il suo rogo fu costruito in cima al monte Eta, là furono scoperti circa 80 anni fa i resti di un cumulo di ceneri rivelanti che dal settimo secolo a. C. c'era l'usanza di gettare figurine umane di argilla nel fuoco di falò.

Erano riti popolari per rinnovare le forze della natura.

Conclusione

I miti greci sono abbastanza ripetitivi in termini tematici: trucchi per superare le difficoltà, trasformazioni dell'aspetto fisico, uccisione di mostri, tentativi di liberarsi di qualcuno imponendogli compiti impossibili, uccisioni di figli o altri parenti, discesa agli Inferi, tentativi di vincere la morte, amori tra esseri umani e divinità.

La maggior parte dei miti greci risale almeno all'età micenea, perché sono correlati a città e raggruppamenti di potere che ebbero importanza alla fine dell'età del bronzo e mai più in seguito.

Il mito di Teseo ricorda sia la precedente sottomissione di Atene a Cnosso sia la liberazione dal pesante tributo imposto agli Ateniesi dai sovrani cretesi, sia l'unificazione dell'Attica ad opera di Teseo.

Il mito delle Danaidi inseguite dai cugini egiziani e rifugiatesi in Grecia allude chiaramente a contatti fra Greci ed Egizi alla fine dell'età del bronzo.

All'età del bronzo sono riferiti i miti di Cadmo, di Europa, degli Argonauti, in quest'ultimo soprattutto si nota un marcato interesse geografico, suscitato dalle esplorazioni del Mar Nero e del Danubio.

Molti miti tendono a evocare l'era della creazione, a volte esprimono rimpianto per l'età dell'oro, l'epoca felice in cui gli uomini vivevano in buoni rapporti con gli dei, tanto che spesso banchettavano insieme.

C'era nella rievocazione di quell'era un'intenzione magica, nel senso di resuscitare parte del suo potere creativo, per esempio narrare come Demetra ritrovò la figlia Persefone, facendo così tornare a germogliare il grano, aveva l'efficacia di aumentare il rigoglio dei raccolti.

Taluni miti sono stati considerati come prodotti della psiche, in quanto esprimerebbero qualcosa che altrimenti giacerebbe represso, oppure sembrano soddisfare qualche desiderio.

Il mostro del Labirinto rappresenta la paura di pericoli ignoti, Teseo che uccide il mostro ed esce sano e salvo dal Labirinto offre una gratificazione emotiva, perché l'eroe rappresenta l'ascoltatore che vince insieme a lui.

Ma, al di là di qualunque interpretazione, rimane il fatto che i miti sono delle storie ben costruite, a volte piacevoli, a volte terrificanti, che ancora oggi possono essere veicolo di messaggi importanti circa la natura umana e la vita in generale.

prof.ssa Rosalia Alessi