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I bambini di Beslan

Dalla mia finestra osservo l’ondeggiare dei pini e il tremolio delle foglie dei pioppi e delle betulle che rivestono i fianchi di queste colline. Ma lo spettacolo della loro armonia e della loro bellezza non arricchisce, come in tante altre occasioni, il mio tempo di pace e di serenità.

Oggi è un giorno triste.

Le notizie provenienti da Beslan in Ossezia, una delle Repubbliche caucasiche della nuova Russia, mi hanno riempito di sgomento e di dolore. Molto è stato scritto sulle cause che hanno determinato questo eccidio e della reazione del mondo civile, ma noi ci limiteremo solamente ad esternare il nostro dolore e lo stupore che queste bestialità ci ispirano.

L’orrore per quelle immagini rimarrà per sempre nella nostra memoria storica. Non tanto per l’entità, seppure enorme, delle vittime. Nel triste conteggio e senza voler mancare di rispetto per gli altri morti, questa strage è ampiamente superata da quella delle Torri Gemelle a New York.

Ma, ciò che rende inaccettabile alle nostre coscienze questo triste evento è, soprattutto, il fatto che sono stati presi di mira dei bambini, diventati vittime di questa barbarie, massacrati in un luogo inviolabile: la scuola, edificio che doveva rappresentare una palestra di vita e che invece si è trasformato per un tragico destino in una sorta di fossa comune, ricordo di ferite profonde del nazismo e dello stalinismo della peggiore specie.

Questo eccidio sembra una metafora dei tempi che stiamo vivendo. Di fronte a notizie di questo genere prendiamo atto, in maniera traumatica, di essere impotenti di fronte ad un mondo pieno di violenza e che questa stessa viene esercitata, soprattutto, nei confronti dei più deboli e dei diversi, siano essi di pelle e sesso differente o come nella fattispecie bambini che dell’innocenza hanno sempre rappresentato un simbolo.

In una società dove il conformismo e il consumismo generano i mostri dell’intolleranza o, peggio, dell’indifferenza si corre il rischio di non stupirsi più di nulla di non provare più indignazione e pietà, visto ormai il susseguirsi ad un ritmo impressionante di queste notizie, assuefatti come siamo a ritenerle parte della quotidiana “normalità”.

Su tutti i giornali eminenti opinionisti si sono affannati a cercare le motivazioni e qualcuno ha trovato anche delle giustificazioni per questi gesti, come se avesse un senso uccidere anche un solo uomo.

La polverizzazione della guerriglia in Iraq e in altri parti del mondo ha creato una miriade di gruppi che fanno a gara per aumentare il livello di sconcerto e di terrore con le loro azioni sempre più feroci, nel tentativo di suscitare un profondo dolore per ottenere una maggiore attenzione alle loro rivendicazioni.

Ma questa volta pur nella commozione e nello sconforto non può passare inosservato l’elemento più grave. Ad essere colpiti sono stati dei bambini e cioè il futuro del mondo, insieme ai parenti venuti ad accompagnarli in uno dei giorni più importanti della loro vita. Sequestrati e tenuti in condizioni disumane insieme agli altri ostaggi, sono stati falciati alla schiena mentre cercavano scampo dalla furia omicida o dissolti nel vento, vaporizzati dalle cariche esplosive del fanatismo più estremo e integralista.

Nessun ideale, lotta politica o etnica potrà mai giustificare un massacro e questo, in modo particolare, è ancor più vero perché in questa circostanza si trattava di bambini che si affacciavano al mondo degli adulti che li ha accolti, togliendo loro il bene più prezioso, quello della vita.

Dissento quando si parla di animali carnivori, con chi li definisce “feroci”. La loro aggressività risponde ad un disegno ben preciso nell’ordinamento delle cose, ad una necessità che ha permesso l’evoluzione della vita. Per me l’unico animale veramente feroce su questa terra è l’uomo quando sconvolge l’ambiente patrimonio di tutti gli esseri viventi e sovverte tutti i valori che sono alla base della convivenza civile.

Se l’uomo scomparisse dalla faccia di questo pianeta nessuno degli esseri viventi presenti se ne lamenterebbe, anzi gioirebbero e la Natura potrebbe continuare a svilupparsi con i ritmi di sempre, con i cicli millenari che segnano l’orologio della vita su questo pianeta, unico per molti aspetti.

D’altra parte, paradossalmente, viviamo forse un momento irripetibile nella storia dell’umanità sul piano delle potenzialità. Nella sua lunga presenza l’uomo, infatti, non ha mai avuto tante opportunità.. Una moltitudine di artisti e scienziati hanno reso, come non mai, più gradevole e comoda la nostra esistenza, tecnologie risultanti da attività di ricerche in migliaia d’Istituti e Università hanno permesso di sconfiggere mali che si ritenevano inguaribili e non passa giorno che non ci sia l’annuncio di nuovi progressi che danno nuove speranze per aumentare la quantità della vita, mentre a dire il vero poco si fa per migliorare la qualità della vita.

La scala dei valori non esiste più sovvertita e annientata da una visione del mondo che è in antitesi con il concetto stesso di democrazia. Sempre più presente è questo desiderio sfrenato di possedere il mondo, le sue risorse e i suoi destini, non più militarmente come avveniva in passato, ma detenendo in nome di una globalizzazione di comodo le leve del potere politico ed economico.

Ci si scaglia contro i più deboli e i diversi, senza capire che le più grandi civiltà sono state quelle che hanno recepito e fuso le diversità, utilizzandole come contributo fondamentale per una migliore convivenza.

Beslan è il nome di una località, prima sconosciuta a molti, estratta da un geografico anonimato, da un limbo profondo e sconosciuto, come Falluja e Nassirya, diventata improvvisamente e tristemente famosa  per questa infamità.

Stiamo imparando molti nomi sull’onda di autentici misfatti nei confronti dell’Umanità. Le guerre di qualsiasi tipo non solo non hanno mai risolto i conflitti ma con lo strascico di odi e di rancori ne hanno creato sempre di nuovi, come una sorta di vaso di Pandora perennemente aperto. Parafrasando una frase tratta da un’opera di Shakespeare si potrebbe dire che: “la guerra genera dei mostri” . Non per niente Ares (Marte), il dio della guerra, era circondato dai suoi degni compagni Deimos,  Phobos e Enio: il Terrore, la Paura e la Strage (i primi due figli suoi).
Beslan e i suoi bambini non possono essere dimenticati; adottiamoli come simboli di pace.

Sarà l’omaggio più grande per tutte le vittime innocenti di tutte le guerre e la risposta più civile a chi semina odio e morte,  almeno, come il Foscolo scrive: “finchè il sol risplenderà su le sciagure umane”.

Tino Insolia
Como 11 settembre 2004

foto scattata in una via cittadina in Germania, il testo recita: la guerra distrugge ciò che la pace crea.


Un uomo di pace non e' un pacifista.
Un uomo di pace e' semplicemente un lago di silenzio.
Egli pulsa e irradia un nuovo tipo di energia nel mondo, canta una canzone nuova.
Egli vive in un modo completamente nuovo.
Il suo stesso modo di vivere e' quello della grazia, quello della preghiera,
quello della compassione.
In chiunque tocchi, egli crea più energia d'amore. L'uomo di pace e' creativo.
Egli non e' contro la guerra perché essere contro qualsiasi cosa e' essere in guerra.
Egli non e' contro la guerra: semplicemente comprende perché la guerra esiste,
ed e' proprio sulla base di questa comprensione che diventa pieno di pace.
Solo quando ci saranno più persone che sono laghi di pace, silenzio, comprensione,
la guerra scomparirà.

(OSHO, from: 'Zen: The Path of Paradox, vol II)