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Qualche considerazione più generica sul vestito la facciamo subito, salvo nel seguito ampliare l'argomento nell'ambito storico/etnografico che ci siamo prefissi.

Immaginiamo di circolare nudi per le vie della città. Dalla gestualità dell'eventuale interlocutore o passante notiamo che il suo atteggiamento più immediato davanti ad un corpo nudo non è basato soltanto su categorie classificatorie come l'età o i canoni di bellezza fisica, ma allo stesso tempo sulle proibizioni che attengono a certe parti del corpo da tener nascoste in pubblico.

D'altronde oggi chiunque nel mondo, vista la sempre maggiore diffusione degli usi cosiddetti “occidentali” sul vestirsi e sullo svestirsi, avrebbe dei problemi a definire che cosa significhi “nudo”. Si accorgerebbe infatti che la società in cui vive ha delle storiche “misure di nudità”, e cioè giudica lecito quali aree del corpo mettere in mostra e quali invece coprire (o meglio “difendere” dai pericoli esterni di qualunque genere), uniche ed esclusive in confronto alle “misure” che vigono invece in altre società. Anzi! Noterà che “le regole attinenti alla nudità” si rifanno caso per caso a tradizioni accettate e a volte trasformate in legislazioni vincolanti fra loro differenti.

Se poi riflettiamo che il modo di vestire, il colore dominante nell'ornamento o la qualità del tessuto denuncia la posizione sociale esattamente come chi indossa una divisa o l'uniforme, la nudità, dopo i primi momenti di imbarazzo, diventa un grosso ostacolo se ci impedisce di capire il ruolo che ricopriamo nella vita. Non solo! I piccoli particolari dell'abbigliamento suggeriscono pure a chi ci osserva da quale parte del mondo veniamo, a quale comunità apparteniamo e in special modo quali siano le abitudini e gli atteggiamenti probabili che deve attendersi da noi.

Su una parete della grotta preistorica “des trois Frères” in Dordogna (Francia) è dipinto un uomo (si vedono il pene e i piedi nudi) con indosso una pelle di cervo con i palchi delle corna e il muso dell'animale che gli coprono il viso ossia è un uomo travestito. E a quale scopo ricorrere al travestimento migliaia e migliaia d'anni fa? La risposta l'abbiamo già data sopra: Col nuovo vestito – indossato lecitamente o fraudolentemente o persino per scherzo – si muta di collocazione sociale. Insomma vestirsi e travestirsi sono atti semanticamente equivalenti. E' questo un punto importante per il nostro discorso e lo vediamo bene da ciò che accade in moltissime circostanze della vita tutte osservabili ancora oggi: Ci si traveste in un carnevale allegro per dileggiare personaggi e abitudini, si indossa un vestito “serio” per un funerale, ci si veste con giacca e cravatta alla salita su un palco per arringare un pubblico, il prete si traveste con i paramenti sacri per dir messa in chiesa, etc. etc.

È innegabile allora che una società ben strutturata ha bisogno che i suoi leaders, i capi o i funzionari e in breve le cariche e i mestieri, siano identificabili immediatamente! E ciò non sarebbe possibile se non abbigliandosi in modo distintivo tanto che possiamo tranquillamente affermare che la relazione fra vesti e ornamenti fantasiosi e unici, da una parte, e il lusso ostentato o malcelato, dall'altra, non è mai casuale, ma sicuramente funzionale.

Pertanto, se avevamo pensato che la funzione primaria del vestito fosse quella di involucro protettivo contro intemperie, ferite, sporcizia oppure, sempre nell'ottica dell'oggi, o se servisse a renderci più attraenti o più sexy o che cosa altro ancora, non è proprio così.

L'investigazione antropologica e etnografica condotta ormai da molti secoli dagli europei nei rispettivi imperi universali a contatto con le varie genti del mondo ha fatto accumulare moltissimo materiale sull'argomento vestirsi/abbigliarsi/travestirsi. Di conseguenza schiere di appassionati e qualificati studiosi con le loro ricche relazioni specialistiche ci offrono conclusioni sugli oggetti e sulle abitudini attinenti all'abbigliamento che talvolta sono davvero inattese dal laico meno agguerrito e così sul vestito c'è moltissimo letteralmente da scoprire .

Innanzi tutto ci viene suggerita l'idea che gli uomini – persino in estreme condizioni di freddo o di caldo – non necessariamente ricorrono a coprirsi con abito apposito, avendo abituato la propria pelle (d'altronde è il ruolo fisiologico basilare del tegumento) a resistere all'alternarsi di temperature circadiane diverse senza dover indossare un capo di vestiario. E allora, se non è un involucro protettivo, come mai il vestito è così diffuso fra gli uomini?

Né una veste è l'unico modo per coprire un corpo – vestirlo – giacché apprendiamo di altri modi di coprirsi come presso alcune genti del Mato Grosso le cui ragazze per attirare i giovani maschi, siccome solitamente vanno in giro quasi nude, si ricoprono ora di scaglie di pesce luccicanti sul corpo spalmato con una colla vegetale che scintillano nel fogliame in penombra oppure degli australiani che pure si dipingono più o meno allo stesso modo a mo' di veste e degli antichi Sciti e dei Maori che si tatuavano l'intero corpo o dei Vichinghi che affrontavano la battaglia coperti soltanto in parte di una pelle d'orso. E che dire di Achille che affronta nudo le mischie?

Per il momento fermiamo qui le nostre considerazioni poiché non pretendiamo di fare una storia dell'umanità vestita e, non potendo andare troppo in profondo sull'argomento, concludiamo in breve che il vestito è un oggetto culturale distintivo molto importante e che ci proponiamo di esaminarlo preminentemente sul questo sfondo.

All'interno delle nostre competenze e nei limiti che ci siamo posti, vediamo di passare allora al soggetto “russo” e già premettiamo che la veste, pur costituendo per questa gente nordica comunque un riparo dal freddo, nel Medioevo – è questo il periodo che a noi interessa – insieme coi suoi componenti diventarono i prodotti più ambiti e più ricercati sui mercati internazionali, specialmente negli acquisti delle classi più abbienti. La produzione di abiti perciò assorbiva la stragrande maggioranza del tempo di cui disponevano le classi soggette (artigiani/contadini) perché come prodotto finito veniva a costituire un validissimo surplus produttivo sia per i commerci sia per i tributi da pagare al potere. Ciò non vuol dire che le classi soggette non si vestissero secondo necessità, ma certamente adoperavano materiali e abiti più semplici, meno adorni e meno costosi.

La questione è però molto più articolata e si complica già a partire dalla multietnicità presente nel territorio, la Pianura Russa. Infatti che cosa in realtà significasse un capo di vestiario fra il IX e il XV sec. d.C. vuol dire anche indagare su una molteplicità di culture a contatto su una stessa area e affermare che la comunità che oggi definiamo “russa” non è che il risultato, mai completato e in mutazione continua, della fusione di genti differenti giunte nel Nordest europeo da altri luoghi.

Cominciamo allora a orientarci fra le etnie della Pianura e cerchiamo di sapere come e perché giunsero nella sede attuale, quali furono le loro prime commistioni interetniche e quali le diverse culture materiali apportate nella nuova sede abitativa con condizioni climatiche nuove e variate. È un compito enorme per le nostre forze giacché i documenti scritti sono tanti e di varia provenienza e molte questioni sono risolvibili (seppur parzialmente) rivedendo i reperti degli scavi archeologici.

Iniziamo il nostro cammino immaginando per un momento la situazione di alcuni millenni fa.

Contempliamo una Pianura Russa ancora coperta da ghiacci fino ad una certa latitudine benché la foresta vada colonizzando il territorio avanzando da sudovest del continente ed è giusto lungo questo tormentato periodo che ondate di agricoltori dal Vicino Oriente con il loro metodo del taglia-e-brucia migrano verso queste lande stabilendosi nelle radure. Gli accessi utilizzati non sono molti e sono stati abbastanza facilmente individuati nei Balcani e nella valle del Danubio.

Contemporaneamente (o quasi) altre etnie raccoglitrici e cacciatrici sono però in migrazione, ma lungo la fascia settentrionale dell'Eurasia che affaccia sul Mar Glaciale Artico. Sono dirette verso occidente a causa di un peggioramento delle condizioni dell'ecosistema che hanno dovuto abbandonare. Se il primo gruppo che abbiamo detto arrivare dal Vicino Oriente non è ancora ben descrivibile in termini etnico-linguistici, al contrario la prima lega di tribù ad entrare nella Pianura Russa nel Grande Nord è probabilmente definibile come il superethnos ugro-finnico .

Col terminesuperethnos intendiamo un raggruppamento di genti più o meno omogenee dal punto di vista culturale che si trovano o in via di disgregazione e quindi nella fase di passaggio verso nuove e separate etnie oppure in via di aggregazione di etnie diverse precedentemente esistenti

Gli Ugro-finni dunque entrano a nord dei Monti Urali cioè dove la catena montagnosa si abbassa fino alle rive del mare e, lasciandosi la costa alle spalle, alcune di loro seguono un itinerario verso sudest lungo i grandi fiumi. Col passar del tempo – la migrazione è logicamente condizionata dalle stagioni che si svolgono intorno al Circolo Polare Artico – raggiungono la confluenza del Kama col Volga dove finalmente s'incontrano con i nomadi iranofoni della steppa eurasiatica. La migrazione, come si capisce, è volta alla ricerca di ecosistemi più caldi e coltivabili a cereali per la penuria nella dieta dei migranti di carboidrati e le Terre Nere che qui s'incontrano ai confini con la steppa sono giusto i terreni più favorevoli ad un'attività agricola piuttosto semplice. Le Terre Nere sono ben note da lungo tempo per la loro fertilità (per il loess presente nel suolo) e facilità di lavorazione persino per i traffici con la lontana Scandinavia e qui intorno all'VIII sec. d.C. fiorirà la Bulgaria del Volga.

A questo punto abbiamo una distribuzione degli Ugro-finni da nord a sud lungo i declivi degli Urali abbastanza tipica in cui soltanto una parte di essi – i Lapponi – continua a nomadizzare lungo il Mar Bianco mentre gli altri stanno creando un circolo virtuoso di scambi con i prodotti nordici fra i congeneri più a settentrione e quelli più meridionali che fanno da tramite proprio con i prodotti del nord con l'Asia Centrale e le attive aree del Mar Nero. Il traffico commerciale è di regola utilissimo per darci un'idea di come le genti vivono, che materiali usano e con quali tradizioni si muovono nell'ambiente tanto da riuscire ad avere le prime indicazioni sugli abiti che gli Ugro-finni usano.

Letteratura Anglosassone Antica infatti si trova una menzione importante sulla regione del Grande Nord in particolare. Un certo Othere (abbiamo semplificato il nome per comodità) norvegese, aggirato Capo Nord, riesce a sbarcare sulle rive dell'Artico (Mar Bianco) e ad avere contatti con la gente del posto. La notizia è riportata come un evento raccontato intorno alla seconda metà del IX sec. al re inglese Alfredo il Grande.

Dice Othere di aver raggiunto il Bjarmaland dove dai Lapponi (Saami) riusciva a ricavare ogni anno “...pelli di animali, piumino d'uccelli (d'oca per imbottitura) , ossi di balena(qui per balena si intende il tricheco e le sue zanne) e gomene fatte da strisce di pelle di tricheco intrecciate e pelle di foca. Ognuno paga a seconda del proprio ruolo sociale. A lui (Othere) più alto in rango (degli Ugro-finni) pagano 15 pelli di martora, 5 pelli di renna, 1 pelle d'orso e 10 misure di piumino e 1 giacca di pelle d'orso e 1 d'otaria ...”

Orbene, sapendo che il clima da quelle parti è particolarmente duro e che le temperature medie annuali sono basse, i materiali sommariamente descritti al re sono quelli tipici che incontreremo anche più avanti e in più abbiamo un'idea dei vestiti indossati nel Grande Nord: le giacche di pelle di vari animali (col pelo naturalmente all'interno!) . Se i Lapponi, i più probabili interlocutori di Othere, allevavano le renne, gli Ugro-finni un po' più a sud cacciavano con lacci e trappole per non rovinarne il pelo gli animali da pelliccia di piccola mole e, mentre le carcasse di queste prede servivano loro da cibo, le pellicce erano il surplus esportabile come materia prima per farne mantelli e altri caldi capi di vestiario sofisticati. Logicamente alcune pellicce erano considerate più pregiate e preferite negli scambi fra cui la martora, lo zibellino, il castoro che erano usati per abiti di prestigio presso le élites in Europa Occidentale e nel Centro Asia.

Lasciamo ora il Grande Nord e trasferiamoci un po' più a sudovest.

Qui troviamo un altro grande superethnos: I Baltici indoeuropei i cui residui oggi sono la Lituania e la Lettonia. Molto vicini dal punto di vista linguistico e culturale agli Slavi, erano già conosciuti dagli autori latini (Plinio il Vecchio, Tacito ) come fornitori di avorio (ricavato dalle zanne di tricheco) e di ambra. Il che denuncia non solo una loro antica e radicata attività commerciale lungo le rive del Mar Baltico, ma pure un intimo contatto con i vicini Ugro-finni. Ed è da notare che gli antichi Aestii nominati da Tacito parlavano, secondo quell'autore, una lingua di tipo celtico (indoeuropeo), sebbene oggi l'etnonimo si riferisca a gente di lingua ugro-finnica, Eesti-Estoni . Alla stessa stregua i Livii descritti dagli autori locali dell'XI sec. d.C. di lingua ugro-finnica intorno al XIV sec. d.C. passarono alla lingua lettone. In altre parole le commistioni inter-etniche in quest'area erano (e sono) frequenti causando grandi comunanze di usi e costumi fra i due superethnos .

Dei loro vestiti più antichi? Sappiamo quasi nulla, anche se l'archeologia ci porta a immaginare come fossero dalle borchie e dalle fibbie rinvenute nelle tombe. Addirittura le Saghe scandinave a proposito dei Curoni lituani raccontano che nelle battaglie fra Baltici e Svedesi per mettere scompiglio fra le spade e le lance del nemico si lanciavano… abiti interi!

Oltre all'attività piratesca/mercantile presso i Baltici indo-europei rivieraschi notiamo pure una cultura agricola sviluppata (sempre col metodo del taglia-e-brucia ) date le condizioni climatiche più favorevoli nelle foreste del Neman e della Dvinà/Daugava dove si coltivano il lino, dapprima, e la canapa, poi, fibre tessili importanti nella nostra storia. La presenza baltica (insieme con gli Ugro-finni) è provata inoltre fino alla confluenza del Volga con l'Okà/Kama.

All'altro estremo della Pianura Russa troviamo il mondo dei nomadi pastori nel clima più temperato della steppa ucraina. Questo mondo è forse il più dinamico che in ogni altra regione d'Europa perché i cambiamenti, le mutazioni radicali e profonde avvengono giusto qui in cui culture si sovrappongono o fagocitano altre culture, lingue scompaiono e se ne formano nuove e allo stesso tempo mutano i modi di vita sempre diversi, ma soprattutto innovativi.

In questa area vediamo dapprima dominare gli iranofoni conosciuti già da Erodoto nel V sec. a.C. col nome di Sciti che però intorno al IV sec. d.C. vengono sostituiti nelle menzioni dei documenti dell'Impero Romano d'Oriente da tribù turcofone che domineranno la scena fino al momento in cui si formerà l'Impero Russo Moscovita. I turcofoni un po' alla volta si sedentarizzano loro malgrado nella Pianura Russa migrando in tutte le direzioni: verso nordest, i Bulgari del Volga, o a sud fondando stati autonomi nell'Anticaucaso, i Cazari, o a ovest nei Balcani, nella Bulgaria danubiana.

Sebbene molti capi d'abbigliamento dei nomadi siano stati presi dalle culture vicine, è notevole la massiccia presenza di fibre tessili animali (seta, lana di pecora, di cammello o di dromedario) poco usate in Europa, sebbene già conosciute dalle élites e nella campagna, rispetto alle fibre vegetali del nord. Sono fibre che pian piano si affermeranno e si raffineranno nell'uso insieme con l'introduzione di nuovi tipi di tessitura dal Centro Asia e dalla Cina con la steppa a far da mediatrice.

Esempi tipici sono l'uso del feltro, colorazioni migliorate da nuove tecniche tintorie delle pelli o l'introduzione dei pantaloni e l'uso degli alti stivali e delle scarpe di pelle invece che di legno.

A parte ciò, nel 921 d.C. Ibn-Fadhlan è mandato dal califfo Al-Muqtadir ai Bulgari del Volga. Il nostro personaggio ci ha lasciato un famoso Rapporto al Califfo ove ci racconta che le donne dei turcofoni nomadi, signori dei territori che sta attraversando diretto a nord, non usavano le mutande e non avevano difficoltà di fronte ad estranei a mostrare il proprio pube. Sempre nello stesso scritto si racconta dei Bulgari del Volga che facevano il bagno nel fiume, maschi e femmine, nudi.

Un'area invece veramente complicata dal punto di vista etnico è situata poco a sud della steppa: l'Anticaucaso, una delle più antiche regioni di montagna abitate d'Europa che si estende dal delta del Volga fino al Mare d'Azov. Qui le etnie sono numerose (oltre la quarantina) e convivono da tempi immemorabili l'una accanto all'altra. Fra il X e il XIII sec. d.C. finita la dominazione cazara l'unico segno di distinzione fra di esse restava la lingua e, mentre alcune delle etnie più occidentali erano già passate al cristianesimo, le altre per la maggior parte avevano abbracciato l'islam e la loro cultura (lo diciamo in modo approssimativo e sulla base di quanto raccontano i viaggiatori europei che a partire del XV sec. d.C. attraversarono il Caucaso) si era uniformata alle diverse prescrizioni religiose relative all'abbigliamento, pur conservando tracce delle identità culturali precedenti.

E infine l'ultimo ad arrivare nella Pianura Russa è il superethnos che poi dominerà in seguito a varie vicende tutta la cultura materiale e spirituale della Pianura Russa: gli Slavi . Dai documenti sembra che popoli in via di trasformazione verso un ethnos slavo abitassero già le steppe ucraine insieme agli iranofoni e che, anzi, come si pretende da parte di qualche autore, ne discendessero. Successivamente gli “slavi in fieri” furono spinti verso nordovest nella Pianura Ungherese dove si insediarono definitivamente e questa parte della Mitteleuropa nel VI sec. d.C. venne riconosciuta da due autori “romani” abbastanza affidabili, Procopio di Cesarea e Jordanes , come il crogiolo dei popoli slavi di oggi. Di qui, dal bacino superiore della Vistola, avverrà la migrazione verso nordest e nordovest degli Slavi che non era spontaneo, ma molto probabilmente causato dal tipo di agricoltura primitiva in cui, di fronte all'immensa foresta boreale europea, il metodo del taglia-e-brucia senza rotazione dopo alcuni anni di sfruttamento provocava l'esaurimento del suolo e di conseguenza la spinta a cercare nuovi terreni vergini abbandonando ai vecchi e ai disabili i villaggi d'origine. Le distanze e le comunicazioni erano tali che in pratica migrare significava morire e di qui l'abitudine di chiamare i nuovi abitati col nome dell'eponimo aiutando la nostra indagine nel ricostruire il loro cammino attraverso la toponomastica.

Ed ecco Procopio sul vestire slavo... in guerra! “... Alcuni (di loro) addirittura non possiedono neppure una camicia (greco khiton ) o un mantello (di poco valore), ma sono forniti solo di mezzi pantaloni che arrivano fino alle loro vergogne e così si gettano in battaglia contro il nemico.” Tuttavia in una lettera scritta su scorza di betulla (NGB No. 43) si legge come le mode siano forse già cambiate nel XII sec. d.C. : “ Da Boris a Nastasia. Quando riceverai questa lettera mandami subito qualcuno con il cavallo perché qui ho molto da fare. E mandami la biancheria intima perché ho dimenticato di portarla con me.

Pure gli Svedesi hanno lasciato tracce nel crogiolo etnico russo addirittura conquistando il potere politico slavo-russo, se li identifichiamo con i Rus' degli autori bizantini e arabi, ma la loro influenza sul vestire sembra essere stata minima. Ancora Ibn-Fadhlan: “ Non si vestono con giacche e neppure con caffettani, ma gli uomini indossano un rozzo mantello che si gettano su una spalla in modo da avere libere le mani. ” Il rozzo mantello certamente è il lodhi scandinavo fatto con pellicce (da cui deriverà il russo luda, indicante più o meno lo stesso capo di vestiario).

L'Europa ca. X-XII sec. d.C. © 2012 di Aldo C. Marturano e Bianca Zanardi.  in viola sono indicati i diversi popoli nomadi della steppa

L'Europa ca. X-XII sec. d.C. © 2012 di Aldo C. Marturano e Bianca Zanardi.

in viola sono indicati i diversi popoli nomadi della steppa