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Un Poema mitologico all'inizio del Terzo Millennio

Premessa

Mythos
Mythos

Da una parte l'amore per il mondo classico e per i canoni della sua poesia, dall'altra il fascino dei miti di una stagione di stupori, in cui l'unica risorsa per appagare il connaturato bisogno dell'umanità di rispondere ai perché era l'immaginazione, infine il desiderio di far emergere le costanti che permettono alle civiltà più remote, nel tempo e nello spazio, di essere riconosciute come prossime, in forza del comune denominatore umano che accosta le dissimili contingenze dei momenti storici, sono all'origine del sentimento che ha generato il poema epico-drammatico Mythos di Amato Maria Bernabei (Marsilio Editori, Venezia).

Un percorso speculativo che si giova del tesoro inesauribile della mitologia e che si realizza in modo poetico attraverso un confronto dialettico tra un "cantore magister", educatore educando, e due discepoli straripanti di primi sogni, ma desiderosi di conoscere la sostanza della vicenda esistenziale.
L'approdo disincanterà, tuttavia suggerendo l'imprescindibile necessità di perseverare nel sogno, benché chiaro nella sua dimensione, come modalità ritemprante, come unico strumento terapeutico di fronte all'angoscia del vivere.

Il ricorso alla mitologia e l'uso delle terzine dantesche sono espressione di un'esigenza solo apparentemente anacronistica: ciò che avviene in un tempo, non può essere in contrasto con quel tempo.
Certo l'impero della tecnologia pare cozzare con il tridente di Poseidone e il fulmine di Zeus: tuttavia l'uomo che più non crede al carro di Apollo o ai percorsi notturni di Artemide, come chi vi credette nasce e muore, spera e si dispera, odia ed ama, teme e sfida, si ritrae ed affronta, gode e soffre, coltiva illusioni e raccoglie delusioni, non ha mutato istinti e sentimenti, né risposte ai suoi stimoli essenziali.
Vive però in uno scenario assai diverso e subisce le influenze di un'epoca che tende a distruggere i valori, sacrificandoli al culto del denaro, con mezzi che raggiungono rapidamente ogni angolo della terra, milioni di uomini contemporaneamente, modellandoli, orientandoli, soggiogandoli.
Al punto che se qualcuno, sfuggito alla forgia, ripropone alti ideali, sembra fuori dal suo tempo!
Il panorama culturale che domina è deprimente. Tutto è all'insegna del mercato, dello spettacolo, della futilità,  del disimpegno: tutto diviene inesorabilmente piatto, piccolo, a portata di mano, mani di un gregge di uomini sterminato, dalla lana poco pregiata, che tutto accoglie come straordinario, grande, grandioso, riservato all'intelligenza, secondo il cliché che chi governa i fili impone.

In un simile scenario Mythos è un'opera contro corrente, fin troppo, ed è "naturale" che appaia fuori passo, retrograda. Quando chiunque può sentirsi poeta andando a capo prima che il margine del foglio si esaurisca, quando gli argomenti da trattare sono quelli vieti delle canzonette o di uno stereotipo pseudo-letterario che si rivolge all'amore o alle problematiche sociali, senza sentimento, senza mente, senza profondità, senza grammatica, quando tutto deve essere conseguito in fretta e con facilità e, soprattutto, venduto, che senso può avere la tecnica raffinata dell'endecasillabo incatenato in terza rima? la meditazione accurata tradotta in rima? lo "scarto" che devìa con intelligenza e con gusto dalle consuetudini formali e sostanziali del pensiero? la riproposizione delle "insulse fantasticherie" di uomini senza scienza? Quando ogni "prodotto" deve essere esposto in fiera, che senso ha concepire una bellezza che non vende, un pensiero che non è merce, un libro che non avrà centomila acquirenti in un mese?

Eppure il libro è stato scritto: un'opera in terzine dantesche sui miti greci, frutto di un tirocinio di lustri, di una faticosa elaborazione, di una fede che va oltre i modelli del proprio tempo; un'opera che orgogliosamente si propone all'attenzione di chi, scampato al naufragio generale, voglia ancora solcare le onde di un mare integro e pescoso.

Amato Maria Bernabei

Presentazione
Prof. Armando Balduino, titolare della cattedra di Letteratura Italiana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Padova.

Questo è un libro molto denso e molto difficile, nel senso che non basta avere quelle nozioni di mitologia classica che un Italiano medio della mia età ha ricevuto dal Liceo in poi – non oso pensare quale sia la situazione delle ultime generazioni –; la difficoltà è tale per cui il libro va letto con grande lentezza… va centellinato terzina per terzina, e ci si rende conto abbastanza presto che se ne perderebbe una buona parte se non si utilizzasse il capitale, prezioso commento che accompagna i singoli canti e che per una parte molto importante del libro è tra le qualità più apprezzabili, perché solo il commento permette un’esegesi puntuale di certi passaggi e consente poi di ricuperare una serie di dettagli che riguardano la mitologia, che solo gli specialisti possono cogliere, anche perché entrano in genere per allusioni e non in maniera diretta…

sia per il tema, sia per il genere, “poema epico-drammatico”, sia per la forma (l’uso, giustissimo in questo caso, mi pare) delle terzine incatenate, Mythos si presenta come un libro vistosamente “inattuale”. Però bisogna chiedersi, se si è portati a riflettere su questo, fino a che punto lo è e se lo è davvero.

Qui, credo, può essere opportuna qualche postilla che allarghi storicamente il quadro. Ora già nei Padri della Chiesa (penso in particolare al Terzo Libro del De civitate Dei di Agostino, o anche a Lattanzio e ad altri) era chiaro che una religione può sprofondare, può sparire, ma che una mitologia, invece, in quanto tale, può risultare insopprimibile, e quindi è destinata in vari modi a sopravvivere al di là di quelli che sono gli orientamenti della civiltà e della religione. E così fu, in effetti, con esiti anche sorprendenti. Voglio citare un caso. È singolare l’esempio fornito dalla secolare fortuna, che dura circa quattro secoli, che toccò a un libro poco noto che è la così detta Ecloga Teoduli, scritta tra il IX e il X secolo da un frate, che è strutturata in quartine, questa volta, dove ci sono due personaggi che discutono fra di loro e che si chiamano Psèustis, la menzogna, cioè mentitrice, e Alisia, la verità. I due discutono contrapponendo e paragonando episodi della mitologia classica ad episodi, invece, della storia cristiana, mettendo in luce una serie impressionante di analogie. Cito qualche esempio: il Diluvio universale di Deucalione con il mito di Noè; l’assalto al cielo contrappone la Gigantomachia con la Torre di Babele; eroi esemplari della castità sono Ippolito da un lato e Giuseppe d all’altro; la forza prodigiosa, che nella mitologia classica è impersonata da Ercole, nell’altra invece si esprim e nella figura di Sansone; e così via. Ora questo libro entrò nel canone scolastico e ci restò per quattro secoli, ed era un modo con cui nelle scuole, per chi aveva il privilegio di frequentarle, si imparava nello stesso tempo la Storia Sacra della Bibbia e la mitologia… Per secoli e secoli la presenza della mitologia restò poi vistosissima e, in certi momenti, straripante, anche se – questo va precisato – dalle interpretazioni allegorico-moralistiche tipiche del Medioevo fino ai tempi di Giovanni Del Vergilio, si passò a quelle eveniristiche, che hanno radici antiche, ovvero alla mitologia intesa come travestimento leggendario di fatti realmente accaduti. Questo, con conseguenze anche letterarie, permette che Emera possa entrare nel disegno divino che porta alla creazione dell’Impero, o permette per esempio al Petrarca che scrive il De viris illustribus, di comprendere non solo personaggi reali della storia, ma anche Giasone o Ercole, al quale subito dopo dedica un libro Coluccio Salutati, il De laboribus Herculis. Ma forse non si riflette, o si sottovaluta il fatto, che la vitalità della mitologia restò per secoli tale da spingere tantissimi autori ad arricchire il patrimonio tradizionale classico con l’invenzione di propri miti. Gli esempi sono infiniti: il Boccaccio del Ninfale fiesolano o dell’Ameto; il Poliziano, non solo delle Stanze, ma anche degli splendidi volumetti in Latino come Fedris o la Sylva; l’Adone, che permette al Marino di scrivere una specie di enciclopedia dei cinque sensi; Le Grazie del Foscolo, fino a certo Pascoli o a certo D’Annunzio.

Ora già questo fa capire che dire tema inattuale non è così scontato. Perché occorre anche intendersi su questa qualità. Guardando al Novecento e anche volendo sorvolare sulla importanza che molti miti hanno nelle riflessioni di Freud e più ancora di Jung, si vede che anche l’ultimo secolo è punteggiato da ritorni alla mitologia, e fino a tempi recenti. Lasciamo perdere il caso particolare dei Dialoghi con Leucò di Pavese, ma per esempio non sarà un caso se divenne un bestseller internazionale il romanzo Cassandra, di Christa Wolf (1983), o se altrettanto successo mondiale ha avuto Le nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso (1988), e che alla mitologia ancora si ispirino incontri anche di notevole livello, ha scritto per esempio Gesualdo Bufalino, più spesso Antonio Tabucchi, e che dalla mitologia siano nati due autentici capolavori dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt, che sono Morte della Pizia e Minotauro, con il sottotilo Ballata degli specchi.

Con questa lunga inserzione storica miravo a dire che in questo fertile filone si inserisce il poema Mythos. Comunque Bernabei ha scritto un libro che contiene pagine di autentica poesia: sarebbe utile forse leggere qualche passo e commentarlo, ma come si è detto la densità del testo è tale che senza avere il testo stesso sottomano sarebbe difficile constatarlo. L’opera ha uno dei suoi punti di forza nella costruzione interna, cioè nell’alternarsi di più voci, dove oltre ai protagonisti di volta in volta intervengono un narratore, più o meno discente, che ha nome di Menestrello, e due giovani uditori, che imparano strada facendo da quello che sentono, che hanno i nomi di Oriòne e Meròpe. Questo anche mi porta a dire che mi sono via via convinto che sia un libro che non solo va letto, ma che forse si può pensare, magari a sezioni, ancor più presentato con una recitazione a più voci: cosa per cui è già strutturato, anche se ad ogni sequenza dovrebbe essere premessa un’illustrazione complessiva che magari potrebbe fare l’autore. Mi auguro che questa via di trasmissione possa realizzarsi e ottenga l’esito che merita. Naturalmente ognuno ha le proprie preferenze: io posso dire che mi ha particolarmente affascinato la lunga sequenza che riguarda Tesèo, che ho molto apprezzato, o il capitolo su Apollo, perché mette direttamente a contatto mitologia e poesia, oppure la splendida storia di Filemone e Bauci, e altro.

Pedrocchi
Caffè Pedrocchi

Una delle cose che colpisce in questo libro è che non è mai banale e soprattutto non è mai scontato, perché anche là dove uno crede di sapere tutto, che so io, di Fedra, legge e trova cose a cui non aveva pensato e le trova con una finezza veramente eccezionale. Mi dimenticavo però, visto che ho parlato di varie interpretazioni, di quella cui l’autore si attiene, quella tautegorica, con termine tecnico, cioè quella per cui si valorizza il racconto mitologico in sé, come qualcosa di autosignificante. Il nostro Bernabei è molto esplicito sulle sue scelte, però in una noticina a pagina 350 si annida questa precisazione, in riferimento al mito di Bellerofonte, che dice:

In genere noi evitiamo di introdurci nel dedalo della storia e della filologia, o di addentrarci nelle interpretazioni e nella simbologia, salvo i casi in cui individuiamo degli elementi poetici ed ispiratóri. Continuiamo a preferire lo strumento del mito come spunto per riflessioni diverse, esistenziali, psicologiche, “fisiologiche”: il nostro vuole essere un discorso sull’uomo.

Questo credo che sia l’intento essenziale, la linea costruttiva del libro.

Per quanto riguarda lo scrivere in terzine di tipo dantesco, va precisato che una delle cose notevoli è che Bernabei non usa mai degli aulicismi, degli arcaismi in quanto tali: la lingua è, diciamo, sostanzialmente una lingua normale. Però la scelta è giustificata, in fondo, dal tema: deve esserci una consequenzialità fra i due. Per esemplificare: se invece che l’Iliade egli scrivesse un poema sulla guerra in Iraq, non potrebbe scriverlo in terzine. Parlando della mitologia, invece, aveva, credo giustamente, bisogno di una forma di per sé solenne e aulica, non polverosa e antica: e qui è proprio la metrica che sostiene il tono. Tra l’altro una cosa che colpisce chi è abituato ad analizzare questi testi, è che Bernabei non compone mai verso per verso, o un distico alla volta, e neanche una terzina alla volta: compone per sequenze. E questo lo si vede dalla frequenza delle inarcature, cioè a dire, non è che il senso termini alla fine del verso, va nel verso successivo, e non termina neanche con la terzina; quindi c’è una consequenzialità. Questa è una delle cose ammirevoli del libro. Altra cosa ammirevole che non ho detto è che questo è un libro in cui non si usa mai il pronome in prima persona: io. Ed è una specie di miracolo riuscire a dire tanto di sé senza mai parlare di se stessi, parlando per interposta figurazione.

(Padova, Sala Rossini del Caffè Pedrocchi, 5 maggio 2007)

Per approfondimenti: http://www.odanteobenigni.it/?page_id=182