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Progetto MANN

Il “Progetto MANN” (Museo Archeologico Nazionale di Napoli) nasce da un'idea della redazione di miti3000 e ha come scopo far conoscere a tutti ogni singola opera d'arte esposta in questo splendido museo, uno dei più importanti al mondo. I reperti saranno suddivisi per appartenenza alle sale, ogni reperto avrà il suo album fotografico e uno o più brevi video, con la didascalia in italiano e in inglese, e il numero di inventario. Delle opere principali verrà narrata la storia, le informazioni e il mito. Il “Progetto MANN” sarà in continuo evolversi: visto l'enorme numero di reperti del Museo, verranno continuamente aggiunte foto, video e notizie. Come per il nostro sito, miti3000, il tutto è interamente Gratis in quanto lo scopo di miti3000 è la divulgazione culturale no profit e aperta a tutti, per questo motivo chiediamo a chi ama la cultura e l'arte di condividere i post che pubblichiamo su MANN, in modo che ne possano beneficiare tutti coloro che amano la cultura e l'arte. Parte di quanto pubblicato su questa pagina, è visibile anche alla nostra pagina Facebook dedicata al MANN raggiungibile cliccando su questo link MANN. Quanto pubblicato sul sito miti3000.it, non è una copia della pagina facebook, le due pubblicazioni sono complementari: al sito trovate già le foto di buona parte dei reperti esposti al MANN, mentre sulla pagina facebook la pubblicazione procede più lentamente, ma con molte più foto: ogni reperto avrà il suo album fotografico che sarà periodicamente aggiornato con nuove foto di dettayi dell'opera, inoltre verrà pubblicato il link della playlist di youtube dove sarà possibile vedere i video dei reperti presentati.
Buona visione e lettura a tutti!

Breve elenco della simbologia usata nella statuaria e nella pittura e che ci aiuterà a riconoscere la varie divinità.

Vi auguriamo una buona permanenza in giro fra le opere d'arte.

Rodolfo Furneri - Giorgio Manusakis - Angelo Zito.

Museo Archeologico Nazionale Napoli - Breve storia e descrizione

Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), considerato uno dei più importanti al mondo per la ricchezza di reperti soprattutto di epoca romana (e pensare che, secondo una recente stima, i reperti attualmente in deposito sono in numero circa tre volte maggiore di quelli esposti!), ha sede in un palazzo storico progettato da Cesare Fontana (figlio del più noto Domenico Fontana) e Bartolomeo Picchiatti. Costruito nel 1585 come sede della Regia Cavalleria, nel corso degli anni fu ristrutturato sotto la direzione di Giovanni Medrano, noto per aver partecipato alla realizzazione della Reggia di Capodimonte, e la sua destinazione fu più volte cambiata: dapprima fu sede dell’Università degli Studi, per poi assumere definitivamente la veste di museo alla fine del settecento quando, però, ospitava anche le sedi della Biblioteca, della Stamperia Reale, del Laboratorio di pietre dure, della Società Reale Borbonica di Scienze ed Arti e dell’Accademia di Pittura, Scultura ed Architettura. A dirigere i lavori di riadattamento dei locali a queste sopravvenute esigenze, fu chiamato Ferdinando Fuga, e i saloni destinati alla biblioteca furono affrescati da Pietro Bardellino, mentre alle pareti furono esposte diciotto tele della Collezione Farnese che ritraevano scene di vita di Alessandro Farnese, dipinte da Giovanni Evangelista Draghi. Successivamente un discepolo di Fuga, Pompeo Schiantarelli, fu incaricato di rifare lo scalone; più tardi, ulteriori lavori di ristrutturazione che modificarono più volte il progetto originale, furono portati avanti dagli architetti Francesco Maresca, Pietro Bianchi e Antonio Niccolini. Nel 1816, col ritorno dei Borbone a Napoli, il museo assunse la denominazione di ‘Real Museo Borbonico’, ma fu solo nel 1957 (dopo che negli anni addietro le varie ‘istituzioni’ presenti all’interno dell’edificio si trasferirono presso altre sedi), quando anche la Pinacoteca fu trasferita presso la Reggia di Capodimonte, che il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, rimasto come unico ‘inquilino’ del palazzo, trovò un assetto logistico definitivo.

Descrizione dei livelli

Attualmente il MANN è suddiviso su quattro livelli. Al piano -1 è stata inaugurata, nell’ottobre 2016, la nuova sezione egizia. La collezione, seconda in Italia solo al Museo Egizio - Torino, è composta in gran parte da reperti provenienti da collezioni private, come quella settecentesca del cardinale Stefano Borgia poi acquistata da Ferdinando IV di Borbone nel 1815, e quelle più recenti di Picchianti e Schnars, e copre il periodo storico che va dall’Antico Regno, cioè dal 2700-2200 a.C., all’età tolemaico-romana. Tra i reperti più interessanti ricordiamo la mummia di un bambino, di epoca tolemaico-romana, e la statua di funzionario detta 'Dama di Napoli', del 2686-2613 a.C. La collezione si compone anche di numerose iscrizioni, stele funerarie, vasi canopi e statuette in pietra.

Al piano terra troviamo la collezione Farnese di statue e gemme, quest’ultima sezione riaperta agli inizi del 2017. La collezione Farnese è la più grande del Rinascimento italiano, in essa confluirono precedenti importanti collezioni, in particolare quelle di Lorenzo de Medici e di Fulvio Orsini, e le opere che la compongono sono da sempre meta di artisti e studiosi di tutto il mondo. Alcuni reperti, come l’Ercole farnese e il Toro farnese, sono da secoli ammirati al punto che Napoleone inutilmente cercò più volte di trafugare l’Ercole Farnese. Oltre a copie romane di statue greche, la collezione è composta anche di alcuni originali greci, come le due splendide Nereide su Pistrice. Sarebbe lungo elencare le tante opere della collezione che andrebbero citate per la bellezza e l’unicità; tra le copie di epoca imperiale ci limitiamo a ricordare, nella sala 4, le splendide statue dei Tirannicidi e, e nel cortile del giardino delle Camelie la statua del Doriforo, copia del I sec.a.C. di un’originale greco del V sec.a.C. del celebre scultore Policleto. Molte importanti sculture di epoca romana sono state recuperate nelle ville di Pompei e Ercolano, in particolare nella celebre Villa dei Papiri dove, tra le altre, sono emerse le splendide statue di Atena Promachos, e delle Danzatrici Danaidi.

Al primo piano (o piano ammezzato, secondo alcune guide) troviamo la sezione Numismatica (purtroppo ancora chiusa), il Gabinetto Segreto e i Mosaici. Il Gabinetto Segreto, così definito nel 1860, è una ricca raccolta di reperti erotici di epoca romana rinvenuti nelle città campane, in particolare Pompei e Ercolano. Essa si compone di statue, mosaici, affreschi e oggetti che raffigurano scene erotiche. Frequenti anche gli attributi fallici in pietra, che al tempo dei romani venivano incorniciati e messi in modo che fuoriuscissero dalle mura protesi verso la strada, in quanto venivano considerati dei portafortuna; va detto che il corno in corallo, che ancora oggi molti indossano come portafortuna, non è altro che un pene eretto come quello esposto al tempo dei romani; fu trasformato in un corno di toro nel Medioevo, epoca in cui qualsiasi riferimento ai piaceri della carne era considerato impuro. Tra i reperti più interessanti di questa sezione, troviamo una statuetta in marmo detta Venere in bikini e numerosi affreschi raffiguranti scene mitologiche come Leda e il cigno o Apollo e Dafne.

Nella sezione Mosaici troviamo reperti rinvenuti quasi esclusivamente durante gli scavi fatti eseguire dai Borbone nelle città vesuviane e databili tra il II sec. a.C. e il 79 d.C. Il più grande, famoso e bello dei mosaici, è senz’altro quello che raffigura la Battaglia fra Dario e Alessandro, rinvenuto, come molti altri, nella Casa del Fauno a Pompei. Questo stupendo mosaico è composto da circa un milione di tessere, è realizzato con una tecnica finissima chiamata Opus vermiculatum e, probabilmente, deriva da una pittura di età ellenistica.

Al secondo piano (o primo piano, secondo alcune guide) troviamo il Salone della Meridiana, che spesso ospita mostre temporanee, in cui si trova la celebre statua dell’Atlante Farnese. Questa bellissima statua del II sec. d.C., raffigura il gigante Atlante che sorregge il globo del cielo stellato, e solleva ancora oggi discussioni tra gli studiosi in quanto, oltre ad essere indicate simbolicamente le costellazioni dell’emisfero boreale, sull’altro lato del globo sono rappresentate alcune costellazioni visibili solo nell’emisfero australe, mentre quelle dell’estremo sud, non conosciute dagli antichi, andrebbero collocate nel punto dove la sfera poggia sulle spalle del gigante. Nel Salone della Meridiana si pensò di installare un osservatorio astronomico, ma poiché la posizione urbanistica non si prestava bene ad un osservatorio, il progetto fu modificato e si realizzò solo la meridiana da cui la sala prese il nome. Ancora oggi, grazie ad un foro creato nell’angolo sud occidentale che fa penetrare un raggio di luce, è possibile vedere la meridiana indicare da un lato il periodo dell’anno e dall’altro i mesi. Il Salone della Meridiana presenta sulla volta un affresco di Pietro Bardellino, datato 1781, in cui l’artista celebra le virtù di re Ferdinando IV e di sua moglie Maria Carolina quali protettori delle arti, come si evince, oltre che dalle numerose figure allegoriche, anche dalla scritta ‘Iacent Nisi Pateant’ (‘languono se non sono esposti al pubblico’) che rammenta il programma reale in cui si sostiene che l’arte va esposta al pubblico affinché non vada perduta. Lungo le pareti del salone si trovano quadri dell’800 con soggetti mitologici e storici e, sulla parte superiore, quadri celebrativi delle imprese di Alessandro Farnese nelle Fiandre, opera del pittore genovese Giovanni Evangelista Draghi.

Oltre al Salone della Meridiana, al secondo piano troviamo le sale dedicate alle pitture pompeiane (dalla 66 alla 78), quelle dedicate ai reperti rinvenuti nel tempio di Iside a Pompei (dalla 79 alla 84), quelle dedicate agli oggetti pompeiani (dalla 85 alla 89), quelle con esposti i reperti rinvenuti nella Villa dei Papiri di Ercolano (dalla 114 alla 117), le sale con i reperti dell’antica Partenope e Neapolis (dalla 118 alla 120), quelle in cui vi sono i reperti dell’antica Ischia, ovvero Pithecusae (124 e 125), e ancora tre sale (da 126 a 128) dedicate alla preistoria e alla protostoria e, infine, la sala dedicata al plastico di Pompei (96). Quest’ultimo fu realizzato tra il 1861 e il 1864 da Felice Padiglioni, il quale usò, per realizzarlo in scala 1:100, compensato, sughero, intonaco e carta. Diverse sale del secondo piano sono chiuse al pubblico, alcune in maniera stabile, altre durante le prime domeniche del mese, quando l’afflusso è maggiore a causa dell’ingresso gratuito.

Le opere più belle in esposizione - Storia e mito

1 - Ercole Farnese - Copia romana del II-III sec.d.C., da originale greco del IV sec.a.C.
Piano terra – Sala XI
1 - Hercules at rest. - (Roman copy, end 2nd-early 3rd centuries AD, from a Greek original of second half 4th century BC)

Probabilmente è l’opera più famosa dell’intero museo. La statua di Ercole in riposo, meglio nota come Ercole Farnese, è una copia di epoca romana (fine II o inizi III sec. d.C.) del copista ateniese Glykon (il quale ha inciso il suo nome sul basamento roccioso), da un originale greco della seconda metà del IV sec.a.C. L’opera rappresenta il celebre eroe che, dopo aver appoggiato sulla roccia la clava e la pelle di leone, da sempre suoi segni identificativi, riposa dopo una delle famose dodici fatiche impostegli dal cugino Euristeo. L’opera è stata rinvenuta insieme ad un’altra statua dell’eroe, l’Ercole Latino, che oggi è alla Reggia di Caserta e con cui era affiancata sotto il portico del cortile di Palazzo Farnese. L’Ercole Farnese è stato da sempre una meta per i viaggiatori e gli artisti non solo italiani, al punto che quando nel 1787 Ferdinando IV di Borbone decise di trasferire la collezione a Napoli, vi furono molte polemiche; inoltre, durante il trasporto l’opera subì vari danneggiamenti nelle parti già restaurate, e poiché i restauratori napoletani erano restii a operare su una statua così celebre, essa restò chiusa in un cassone fino ad inizio ‘800, quando finalmente fu esposta.

Il mito

Ercole, per i greci Eracle (Ἡρακλῆς), nacque dall’ennesimo tradimento di Zeus, questa volta con Alcmena; per concepirlo il padre degli dei ebbe con lei un amplesso lungo tre giorni e tre notti e, euforico per la nascita di Ercole, riunì gli dei per annunciare loro l’evento e dire che al primo nato quel giorno, suo discendente, avrebbe destinato il regno di Micene. Ma la gelosa e vendicativa moglie Era, fece in modo che Euristeo, discendente di Perseo e quindi di Zeus, nascesse di sette mesi, quindi prima di Ercole. A Euristeo quindi, sebbene molto contrariato, Zeus dovette destinare il regno di Micene. Ma riuscì ad ottenere da Era che se Ercole avesse portato a termine dieci imprese impostegli da Euristeo, sarebbe diventato un dio. Le imprese, poi divenute famosissime, diventarono poi dodici in quanto la seconda e la quinta non gli furono riconosciute. Dalla prima fatica, l’uccisione del leone di Nemea, ricavò la pelle di leone diventata poi, insieme alla clava, un’inseparabile compagna. Le successive fatiche furono: l’uccisione dell’Idra di Lerna dalle nove teste; la cattura della cerva Cerinea, che aveva corna d’oro, piedi di rame ed era sacra alla dea Artemide; la cattura del cinghiale Calidone, che devastava l’Elide e l’Arcadia; la pulizia delle stalle di re Augìa, che non venivano lavate da trent’anni; sterminare gli Uccelli Stinfàli, che avevano artigli, ali, becco e piume di bronzo; la cattura del toro di Creta che Poseidone aveva inviato per un mancato sacrificio; l’uccisione del re dei Bistonti, Diomede, il quale dava in pasto alle sue cavalle gli sfortunati passanti; impadronirsi della cinta che Ares aveva donato a Ippolita, regina delle Amazzoni; impossessarsi dei buoi di Gerione, custoditi da un mostruoso cane e da un drago; conquistare i pomi delle Esperidi, custoditi dal drago Ladòne e da Atlante. L’ultima fatica fu catturare Cerbero scendendo nell’Ade, il regno dei morti. Tanti altri miti fantastici, eroici ma anche divertenti, ruotano intorno alla figura di Ercole, il più grande degli eroi, ma sarebbe impossibile narrarli tutti in questa pagina, se volete conoscerli visitate il nostro sito.

2 - Toro Farnese
Piano Terra - Sala XVI
2 - The Farnese Bull

Questo splendido gruppo scultoreo, estratto da un unico blocco di marmo, fu ritrovato nelle Terme di Caracalla durante gli scavi voluti da papa Paolo III Farnese. Secondo alcune ipotesi, che si rifanno a quanto riportato da Plinio il Vecchio, sarebbe opera di Apollonio e Taurisco di Tralles, due scultori che operavano a Rodi, in tal caso l’opera sarebbe databile tra il 160 e il 150 a.C.; ma più realistica sembra l’ipotesi che si tratti di una copia romana databile tra il I e il III sec.d.C. Il gruppo scultoreo venne alla luce durante gli scavi promossi da papa Paolo III Farnese nelle Terme di Caracalla e l’opera fu portata presso Palazzo Farnese in attesa che Michelangelo terminasse il suo progetto di farne una monumentale fontana, ma dopo la morte di Paolo III il progetto fu abbandonato e la scultura rimase in una baracca adibita a deposito fino al 1788, quando fu trasferita via mare a Napoli e sistemata nella nuova Villa pubblica opera di Carlo Vanvitelli; ma la nuova collocazione, così poco idonea alla conservazione di una tale opera d’arte, indignò il mondo della cultura che, con le sue vibranti proteste, ne ottenne il trasferimento al Museo nel 1826. Diversi furono i restauri necessari, il primo terminato nel 1579 ad opera di Guglielmo Della Porta e Giovanni Battista de Bianchi, cui seguirono quello della fine del ‘700, opera di Angelo Brunelli, e quello del 1808 effettuato da Andrea Calì; ulteriori segni di cedimento furono notati durante il trasporto al museo, dunque fu necessario intervenire di nuovo e questa volta il restauro fu affidato allo scultore Angelo Solari. La scoperta, nel 1990-91, di una cavità all’interno del gruppo marmoreo, ha fatto ipotizzare che l’opera anticamente fosse una fontana.

Il mito

L’opera riproduce un episodio narrato, tra gli altri, da Euripide nella sua tragedia ‘Antiope’. Antiope era figlia del re di Tebe, Nitteo. Zeus la possedette sotto forma di satiro e il padre, vedendola incinta, la ripudiò. Antiope si rifugiò a Sicione dove sposò il re Epopeo, ma suo padre Nitteo, prima di uccidersi, chiese a Lico, suo successore, di punire Antiope e Epopeo. Lico pertanto fece guerra a Sicione, uccise Epopeo e imprigionò Antiope la quale, riportata a Tebe, fu sottoposta a continui maltrattamenti da parte di Dirce, moglie di Lico. Nel frattempo, però, Antiope aveva partorito due gemelli, Anfione e Zeto, frutto dell’amore consumato con Zeus. Abbandonati lungo una strada, i due furono cresciuti da un mandriano, finché un giorno cercò rifugio nella loro capanna proprio Antiope, che era riuscita a scappare ai suoi aguzzini. I due ragazzi, scoperto che si trattava della loro madre e saputo quanto aveva subito, la vendicarono uccidendo Lico e legando Dirce a un toro, poi ne gettarono il cadavere in una sorgente che, da allora, prese il suo nome, fatto che avvalora l’ipotesi che il gruppo marmoreo fosse in origine una fontana posta in un bacino d’acqua. La scena narrata da Euripide ha luogo in Beozia sul monte Citerone, sacro al dio Dioniso, infatti ai suoi culti fanno riferimento alcuni elementi della scultura come le ghirlande di edera, la pelle di capra, il serpente e anche lo stesso crudele supplizio di Dirce raffigurato nel gruppo scultoreo. Anche in questo caso, come spesso accade nel mito, le versioni sono diverse e se volete saperne di più continuate a visitare il sito.

3 - I Tirannicidi - Armodio e Aristogitone
Replica del II sec.d.C. da originale greco del V sec.a.C.
Piano terra - Sala IV
3 - Tyrannicides, Harmodius and Aristogeiton
Roman copy, 2nd century AD, from a Greek original of V century BC

Sebbene non sia un’opera a soggetto mitologico, non possiamo esimerci dal proporvi questo bellissimo gruppo scultoreo che rappresenta Armodio e Aristogitone i quali, nel 514 a.C., uccisero Ipparco, a quel tempo tiranno di Atene unitamente al fratello maggiore Ippia. Le sculture originali, opera di Antenore, furono trafugate dai Persiani durante il sacco di Atene del 480 a.C. e successivamente riportate ad Atene da Alessandro Magno o da Seleuco I Nicatore, e ricollocate nell’Agorà. Tra le numerose copie di età romana, queste esposte al MANN sono databili tra il 117 e il 138 d.C.; si ipotizza siano provenienti dalla villa dell’Imperatore Adriano a Tivoli, furono ritrovate insieme e rappresentano l’unica replica completa del gruppo. Entrambi sono rappresentati nell’atto di scagliarsi contro il tiranno, Armodio giovanissimo e con un braccio alzato che impugna una spada, Aristogitone con la barba. La statua di Aristogitone fu ritrovata mancante della testa, che fu sostituita da una testa di Meleagro in un restauro del ‘500; successivamente la testa di Aristogitone fu ritrovata nei Musei Vaticani e un suo calco in gesso ha sostituito la testa di Meleagro, anch’essa esposta oggi al MANN. Sebbene i motivi del tirannicidio fossero strettamente personali (i due avevano una relazione non definibile omosessuale nel senso odierno, ma tra un adolescente e un anziano, fatto tipico dell’epoca e facente parte del percorso educativo dei giovani, e Ipparco voleva ‘rubare’ Armodio a Aristogitone) e non portarono ad alcuna rivolta, l’uccisione di Ipparco fece in modo che il fratello Ippia instaurasse una dittatura ancora più dura e crudele, e quindi molto impopolare, che fu infine rovesciata sfociando, con le riforme di Clistene, nella nascita della democrazia. Probabilmente anche per questo motivo la tradizione dipinse i due personaggi come liberatori, creando intorno a loro un’aurea romantica e mitologica narrata da diverse storie; secondo una di queste Aristogitone fu torturato da Ippia per rivelare il nome degli altri cospiratori e fu ucciso dal tiranno quando lo criticò per aver stretto la mano di chi gli aveva ucciso il fratello; un’altra storia narra che Aristogitone fosse innamorato di una certa Leaena (ovvero ‘leonessa’) torturata e uccisa da Ippia che voleva sapere da lei i nomi dei cospiratori, e che fu in suo onore che ad Atene le statue di Afrodite furono accompagnate da leonesse; secondo altri scrittori i due tirannicidi ebbero dei privilegi ereditari quali il diritto a mangiare nel palazzo del governo, l’esenzione da alcuni doveri religiosi e il diritto ad assistere in prima fila agli spettacoli in teatro.

4 - Apollo liricine seduto
II sec.d.C
Piano terra – Sala I
4 - Apollo seated with a lyre
2nd century AD

Per questa statua furono usati i materiali più costosi del tempo, infatti essa è in porfido e, inoltre, negli inventari di casa Farnese è riportato che la testa e gli arti inferiori e superiori, erano in metallo o bronzo, successivamente sostituiti con quelli in marmo bianco creati da Carlo Albacini in seguito al trasporto della statua a Napoli nel 1805. Questa ricchezza dei materiali rende più che probabile l’ipotesi secondo cui la statua fosse situata in un tempio come dono dell’imperatore. La statua è una rappresentazione classica del dio Apollo che, vestito con un lungo chitone, siede su una roccia e suona la lira, strumento tradizionalmente legato al dio.

Il mito

Apollo era, dopo Zeus, il dio più importante dell’Olimpo. A lui sono collegati numerosi oracoli tra cui il più celebre, quello di Delfi (per la cui mitologia vi rimandiamo alla pagina del nostro sito che potete raggiungere cliccando su questo link. Ma Apollo era anche il dio della poesia e della musica e, in quanto tale, era a capo delle muse che, infatti, dimoravano a Delfi. Egli rappresentava l’autocontrollo e la conoscenza di se stessi, celebre infatti è la frase che si trovava nel suo tempio a Delfi: ‘conosci te stesso’. Apollo e la sorella gemella Artemide erano figli di Zeus e Leto, la quale, per sfuggire all’ira della gelosa consorte di Zeus, Era, fuggì a lungo per terra e per mare cercando ospitalità per partorire il frutto del suo amore con il padre degli dei, ma nessuno la ospitò tranne una piccolissima isola dell’Egeo sita di fronte a Mykonos: Delo. Da allora l’isola divenne un’importante centro spirituale ma anche politico, oggi non è abitata ma ospita un sito archeologico tra i più belli e importanti al mondo. Apollo era anche famoso per essere un’infallibile arciere e un’insuperabile musicista, celebri infatti sono le sue dispute con un altro dio arciere, Eros, che portò al famoso amore con Dafne (la cui storia per intero la trovate sul nostro sito alla sezione ‘Storie eterne di amori immortali’) e quella musicale col mortale Marsia. Sacri ad Apollo erano l’alloro (che ci riporta alla storia con Dafne), l’ulivo e la palma; a Delfi, centro principale del suo culto, in suo onore si celebravano ogni quattro anni i giochi Pitici, secondi solo a quelli di Olimpia. Successivamente fu venerato anche come dio Sole in luogo di Helios, e collegato anche alla medicina, era infatti padre di Asclepio, dio della medicina che aveva il suo culto principale a Epidavros (vedi la nostra pagina dedicata a Epidavros cliccando su questo link

5 - Artemide efesia
II sec.d.C.
Piano terra – Sala V
5 - Artemis of Ephesus
2nd century AD

Questa splendida statua, creazione romana del secondo secolo dopo Cristo, era venerata nel santuario di Artemide di Efeso, nell’attuale Turchia, dove il tempio dedicato alla dea, era di una grandiosità tale da rientrare tra le sette meraviglie del mondo antico. La statua costituisce una delle copie della statua di culto di Artemide venerata nel santuario di Efeso, a noi nota solo da riproduzioni ed in special modo dalle monete emesse dalla zecca della città, a partire dall'età ellenistica. La dea è rigidamente diritta, quasi da sembrare uno xoanon (simulacro, generalmente in legno, cui talvolta venivano attribuiti poteri magici), e protende le braccia; sul capo reca un polos (alto copricapo cilindrico, talvolta caratterizzante divinità femminili legate alla terra o alla fertilità) a forma di torre con porte ad arco, ai lati del quale emerge un disco, decorato con quattro protomi di leoni alati per parte; sul petto indossa un pettorale su cui sono, a bassorilievo, i segni zodiacali del Leone, del Cancro, dei Gemelli, della Bilancia e del Sagittario, ed una collana da cui scendono delle ghiande; il busto regge quattro file di scroti dei tori a lei ritualmente sacrificati, in passato erroneamente interpretati come mammelle, quali simbolo di fecondità; sulle gambe la veste aderente è ornata, nella parte anteriore, da protomi di leoni, tori e cavalli alati, all'interno di cinque riquadri sovrapposti, e, lungo i fianchi, da sirene alate, rosette, sfingi ed api, ripetute, queste ultime, anche sulla fascia più bassa della veste, laddove essa lascia spuntare la tunica sottostante che si apre a ventaglio sui piedi; le maniche, infine, sono ornate da tre leoni rampanti. Il volto, le mani ed i piedi sono in bronzo, frutto di un restauro del Valadier, cui si devono anche, insieme all'Albacini, il polos, parte del nimbo e la parte inferiore del corpo; i restauri furono eseguiti in occasione del trasferimento da Roma a Napoli, dove la statua venne per la prima volta esposta.

Il mito

Ἄρτεμις Figlia di Zeus e di Leto (Latona). Di probabile origine cretese, l'immaginario classico comune ce la mostra come l'incarnazione della natura. Natura che va intesa così come la vedeva l'uomo antico: valli solitarie, alture remote, migliaia di vite che germogliano, crescono, stormiscono, cantano, si agitano, si cercano, si generano, si distruggono. Una natura che nello spettatore suscita sbigottimento ed inquietudine e senso di estraneità e mistero …Con animo ardente la dea d'ogni parte s'aggira e stirpi ferine distrugge. Se poi finalmente si stanca di strage, paga nell'animo lieto l'arciera divina l'arco rallenta e si reca al tempio di Febo, suo caro fratello, a Delfi famosa, per guidare alla danza le Muse e le Cariti… (XXVII Inno omerico a Artemide). Ecco Artemide. L'essenza della divinità non agisce sulla coscienza dell'uomo ma si estrinseca nella purezza della natura immacolata. Certamente la natura ha anche un’altra sembianza: terribile, demoniaca, distruggitrice e generatrice ma questa sembianza è data ad altre divinità e non ad Artemide. Artemide rappresenta la natura estiva e vibrante di luce. Così come Apollo anche Artemide è lontananza e purezza, con le differenze dovute al sesso. In Apollo il distacco e la purezza sono la conseguenza di un virile atto di volontà ragionata, In Artemide si tratta dell'ideale dell'esistenza fisica dell'essere donna. Artemide incarna la natura, ora la natura o è incontaminata o non è natura (un prato dopo il picnic domenicale di gitanti non si può pretendere di essere ancora natura). Quindi era più che normale si pensasse Artemide vergine e così dice l'inno omerico: “Artemide pure, la rumorosa dea dal fuso d'oro mai cedette all'amore di Afrodite, dal dolce sorriso. Artemide così come la natura è ritrosa”.

Molto vendicativa se trascurata o disturbata nelle sue attività. Atteone che osò spiarla al bagno venne sbranato dai suoi cani; Admeto che aveva sacrificato a tutti gli dèi tranne a lei, quando condusse Alcesti al talamo, lo trovò pieno di serpi aggrovigliate; Tizio fu da lei e dal fratello trafitto di frecce per aver tentato di violare Leto; costrinse Agamennone a sacrificare la figlia Ifigenia, perché durante una battuta di caccia, aveva ferito una cerva e quindi esclamato: «neppure ad Artemide sarebbe riuscito un tiro così!»; Teutra mentre era caccia sul monte Trasillo, aveva snidato un cinghiale che si era rifugiato nel santuario di Artemide Orzia, l'animale con voce umana gli implorava di risparmiarlo ma Teutra lo uccise ugualmente; allora la dea indispettita punì Teutra facendolo impazzire e gli fece venire una malattia alla pelle che lo rendeva ripugnante. Dea della natura è spesso a contatto con gli animali, sia per cacciarli che per curarli. Come cacciatrice il suo simbolo è l'arco e la dea cacciava di giorno e anche di notte al lume di torce. La natura a volte è crudele e così anche Artemide. Così come Apollo, essa procura la morte da lontano saettando, ma si limita alle appartenenti al proprio sesso. Ama le sue ninfe come sorelle che scaccia via se si lasciano prendere dall'amore. Protettrice della castità, procura alle donne le doglie del parto e la febbre puerperale, ma contemporaneamente le assiste nel parto, e infatti subito dopo essere nata, fa da ostetrica e assiste la madre nella nascita di Apollo suo gemello. Nella sua veste di ostetrica veniva invocata coi nomi di Locheia e Orsilochia. Si occupava pure di insegnare a curare ed educare i bambini. Rappresentata in abito da cacciatrice con faretra e arco con il capo ornato e sovente con la luna nascente in fronte, spesso è accompagnata da un levriero o da un cervo.

6 - Battaglia tra Alessandro e Dario – Mosaico
100 a.C. circa
Piano primo – Sala LXI
6 - Battle between Alexander and Darius
100 B.C.

Questo celebre mosaico, conosciuto anche come 'Battaglia di Isso' o il 'mosaico di Alessandro', è un mosaico romano del 100 a.C., emerso a Pompei il 24 ottobre 1831 nel corso degli scavi archeologici, in particolare quelli inerenti la famosa 'Casa del Fauno'. La scena raffigura una battaglia tra Alessandro Magno, sulla sinistra del mosaico, e Dario III di Persia, sul carro a destra. Sebbene i due condottieri si fossero affrontati più volte, la teoria più accreditata afferma, sulla base della tradizione e di alcuni particolari quali il capo nudo di Alessandro e le lance molto lunghe dei macedoni, che il mosaico raffiguri una scena della battaglia di Isso, che ebbe luogo nel 333 a.C. Il mosaico, composto da circa un milione e mezzo di tessere policrome, è di dimensioni 582 x 313 cm, si ritiene sia stato commissionato da antenati di Alessandro e sarebbe una copia di un dipinto greco realizzato da Filosseno di Eretria, anche se una teoria meno accreditata sostiene che possa essere un'originale greco frutto dei saccheggiamenti romani in Grecia. L'opera è stata realizzata disponendo le tessere in modo asimmetrico e seguendo il contorno delle immagini, secondo una tecnica chiamata opus vermiculatum. Nel mosaico Alessandro è raffigurato con il suo inseparabile cavallo, Bucefalo, e sulla corazza è ben visibile la figura di Medusa, mentre Dario è sul carro ed è rappresentato con un'espressione impaurita, in atteggiamento di incitare i suoi soldati ad un ultimo assalto prima di darsi alla fuga. Oltre ai due condottieri nel mosaico è raffigurato anche il fratello di Dario III, Dario Oxyathres, il quale si pone a protezione del suo sovrano facendosi uccidere da una lancia macedone.

Il mito

Tra i personaggi storici, Alessandro Magno è quello che probabilmente più di altri ha acceso la fantasia di chi ne ha riportato le gesta, dando vita a numerosi miti attorno alla sua figura, spesso alimentati dallo stesso Alessandro o dai suoi seguaci. Difatti Alessandro divenne leggenda ancor prima di morire e già i suoi contemporanei narravano gesta ed eventi prodigiosi legati al famoso condottiero. Più tardi Strabone disse: "tutti coloro che scrissero di Alessandro preferirono il meraviglioso al vero". Già la sua nascita, avvenuta nel mese di luglio (non si conosce il giorno esatto) del 356 a.C. a Pella, capitale della Macedonia, è avvolta nel mito. Si narra infatti che Alessandro, per la storia figlio di Filippo II il macedone e di Olimpiade, principessa dell'Epiro, fosse in realtà figlio di Zeus, che avrebbe posseduto la madre sotto forma di serpente; un mito, questo, che fu alimentato dalla madre Olimpiade dopo l'ascesa al trono di Alessandro e, successivamente, dallo stesso condottiero dopo la sua visita all'oracolo di Amon, come vedremo in seguito. Del resto la famiglia del padre, Filippo II, si riteneva discendente di Eracle, mentre quella della madre, Olimpiade, affermava di avere Achille tra i suoi discendenti. Ma, a proposito della sua nascita, si raccontava anche che nel momento stesso in cui la madre, a Pella, stava dando alla luce Alessandro, ad Efeso, odierna Turchia, nel grandioso tempio di Artemide, considerato uno delle sette meraviglie del mondo antico, divampò un incendio che fu domato solo dopo molte difficoltà; inoltre si narrava che, sempre il giorno della sua nascita, due aquile si posarono sul tetto della casa paterna preannunciando il suo dominio sull'Europa e sull'Asia, e che lo stesso giorno suo padre Filippo conseguì due vittorie, ovvero la guerra Illirica e una gara olimpica. È certa l'influenza che le sue discendenze eroiche, soprattutto quella di Achille, ebbero su Alessandro, il quale più volte dimostrò di identificarsi con l'eroe omerico, ma anche con il figlio di Zeus e Alcmena, tant'è che tra le sue imprese eroiche viene narrata l'uccisione di un leone, impresa che avrebbe portato a termine da solo quando era ancora un ragazzo, proprio come Eracle. Ciò che è invece certo, è il forte legame che Alessandro aveva col suo leggendario cavallo, Bucefalo, che si sciolse solo con la morte dell'animale, che sarebbe sopravvenuta nel 326 a.C. durante la battaglia dell'Idaspe. Le fonti storiche sono abbastanza dettagliate nel narrare il rapporto tra Alessandro e il suo cavallo, e raccontano, tra storia e leggenda, che quando Alessandro aveva dodici anni, suo padre Filippo ebbe in regalo dal suo generale, Demarato di Corinto, un cavallo che il suo ufficiale pagò la considerevole cifra di tredici talenti. Filippo però, restò impressionato dall'indomabilità del cavallo, particolarmente ribelle e refrattario al farsi cavalcare, quindi intendeva rinunciare al regalo. Alessandro però notò che l'animale era così nervoso in quanto spaventato dalla sua stessa ombra, quindi gli andò accanto e, volgendogli la testa verso il sole, gli salì in groppa. Da allora Bucefalo non si fece mai più cavalcare da nessun altro eccetto Alessandro o almeno così dice il mito. Il legame tra il condottiero e il suo destriero fu talmente profondo che quando, circa vent'anni dopo, Bucefalo morì, Alessandro in suo onore fondò la città di Alessandria Bucefala.

Un altro episodio celebre legato ad Alessandro tra mito e realtà, fu la visita che il condottiero macedone fece ad Amon quando si trovò in Egitto. Amon, per la mitologia egizia, era l'equivalente di Zeus per i greci ed aveva un celebre ed antichissimo oracolo presso l'oasi di Siwa. Sebbene per raggiungerlo dovesse intraprendere un viaggio rischioso ed estenuante lungo circa duecento miglia, Alessandro era determinato a voler raggiungere l'oracolo non solo per interpellarlo, ma anche perché due suoi celebri discendenti mitici, Eracle e Perseo (anch'egli figlio di Zeus), avevano già fatto lo stesso cammino. Di questo suo viaggio si narrano episodi incredibili come, ad esempio, che quando stava per sbagliare strada i corvi lo avvertissero gracchiando, o che i serpenti parlassero indicandogli la strada giusta. Di certo Alessandro raggiunse l'oracolo e lo interpellò. Sembra che la prima domanda che il condottiero pose al dio, fu se erano ancora in vita coloro che avevano ucciso il padre, Filippo, e lì emerse la natura divina di Alessandro, in quanto l'oracolo rispose che Filippo non era suo padre perché lui era una divinità; Alessandro quindi riformulò la domanda chiedendo se erano in vita coloro che avevano ucciso Filippo e l'oracolo rispose di sì; la domanda successiva fu se sarebbe diventato signore degli uomini, il dio oracolare rispose di sì, ma secondo alcuni lo fece dicendo “paidios”, ovvero figlio di Zeus, anziché “paidion”, ovvero figlio, e questo rafforzò quanto raccontavano Alessandro e sua madre Olimpia circa la natura divina del condottiero, il quale successivamente istituì anche un culto incentrato su di lui, sebbene non volle mai vantare la sua discendenza divina di fronte agli alleati. Secondo altre fonti, invece, Alessandro avrebbe chiesto all'oracolo quali divinità avrebbe dovuto ingraziarsi per continuare a vincere sui suoi rivali.

Da sempre la figura di Alessandro Magno ha ispirato, e continua ad ispirare, storie e leggende. Nei diari di viaggio del medioevo si citava una barriera leggendaria, chiamata 'Le Porte di Alessandro', che sarebbe stata costruita dal condottiero macedone per impedire l'accesso ai barbari del nord. Queste mura, chiamate anche 'Porte del Caspio', erano tradizionalmente collegate alla Grande Muraglia di Gorgan (il serpente rosso) sulla sponda sud-orientale del Caspio, sebbene storicamente siano state edificate molti scoli dopo la morte di Alessandro. Altri ritengono che 'Le Porte di Alessandro' siano da identificarsi con il passo di Derbent, oggi in Russia, oppure con il Passo di Darial, ad ovest del Mar Caspio, ma il mito, si sa, non rispetta le leggi della fisica e del tempo.

7 - Tazza Farnese
37-34 a.C. o II sec. a.C.
Piano terra – Sala X
7 - The Farnese Cup
37-34 B.C. or II B.C.

La Tazza Farnese è probabilmente il più importante cammeo dell'antichità. La sua forma è quella della phiale, ovvero la coppa usata per le libagioni, ed è incisa in un unico pezzo di agata sardonica a quattro strati, decorata a rilievo su ambedue le facce. L'unicità del reperto ne rende complessa la datazione secondo le usuali procedure; alcune teorie collocano la lavorazione dell'oggetto al 37-34 a.C., ma ipotesi più accreditate ritengono sia stata creata nel II sec.a.C. È certo che la Tazza Farnese sia stata prodotta ad Alessandria per avere una funzione rituale durante le cerimonie dei sovrani d'Egitto. Si ritiene sia stata portata a Roma da Ottaviano nel 31 a.C., quando conquistò l’Egitto, e sia poi passata a Bisanzio e riportata a Roma nel 1204. La prima traccia storica è datata 1239, quando Federico II di Svevia la acquistò; successivamente passò alla corte persiana, quindi di nuovo a Napoli dove entra nella collezione di Alfonso V d’Aragona per poi essere acquistata, nel 1471, da Lorenzo il Magnifico che la porta a Roma e, infine, entra a far parte della collezione Farnese.

Non è ancora chiaro il significato della scena raffigurata all'interno, dove sono state riprodotte una moltitudine di divinità e personificazioni del pantheon egiziano assimilati, com'era tipico dell'età ellenistica, alle maggiori divinità greche e, in particolare, del culto eleusino. Tra di essi si ritiene ci siano Osiride assimilato a Ade, e Horus assimilato a Trittolemo, mentre al centro è riprodotta una sfinge su cui è seduta una figura femminile, probabilmente Iside assimilata a Demetra. All’esterno è invece raffigurata una maschera apotropaica di Gorgone. Come detto, le tre divinità greche, Ade, Trittolemo e Demetra, fanno tutte parte del culto legato all’antica città di Eleusi, dove venivano celebrati i noti misteri eleusini, e la cui mitologia completa la potete leggere cliccando su questo link

Il mito

Come avete letto sopra, numerosi sono i miti collegati a questo stupendo reperto. Iside, in questo caso assimilata alla dea greca Demetra, era la sposa di Osiride e madre di Horus, coi quali forma una triade suprema. Il suo mito è complesso e ha numerosissime versioni. Iside è principalmente, nella mitologia egiziana, la massima divinità della natura e della fecondità la madre di tutte le cose, la dea universale, adorata sotto forme svariatissime, ma per lo più con corna o testa di vacca, animale a lei sacro. I Greci identificarono Iside con varie loro divinità (Era, Demetra, Afrodite, Selene, Io, ecc.), nel caso della Tazza Farnese si ritiene assimilata a Demetra perché divinità legata al culto eleusino; il culto della dea egizia venne trapiantato in Grecia e più tardi in Roma, e nel periodo ellenistico si diffuse in tutto il bacino mediterraneo, in forma misterica. Faceva parte del tribunale dell'aldilà.

Osiride, come detto, era marito, ma anche fratello, di Iside. Essendo una divinità agricola, occupandosi di agricoltura finì col rappresentare anche la Luna, il Cielo, il Nilo e la stessa Terra e in questa veste divenne anche dio dei defunti, in tale ottica si ritiene assimilato al dio greco Ade, sovrano degli inferi anch’egli legato al culto eleusino. Osiride muore per poi rinascere.

Horus era, invece, un dio Solare, immaginato come un falco che sollevato in cielo illuminava la terra coi suoi raggi. È raffigurato anche come un bambino sul dorso di un coccodrillo, recante in mano per la coda animali dannosi. Dai Greci fu assimilato ad Apollo (Horoapollo), e venerato anche come Arpocrate, dio del silenzio. Nel periodo della decadenza Horus è raffigurato come uomo con testa di falco indossante una divisa romana, una corona doppia e a volte seduto a cavallo. Il più famoso tempio a lui dedicato fu quello tolemaico di Edfu. In questo caso viene assimilato al greco Trittolemo in quanto le raffigurazioni sulla tazza riportano al culto eleusino. Trittolemo, infatti, era figlio di Metanira e di Celeo, re di Eleusi. Fu allevato da Demetra, per riconoscenza verso Celeo che l'aveva bene ospitata nella sua casa quando, durante il suo pellegrinaggio alla ricerca della figlia Persefone, si era presentata sotto l'aspetto d'una povera vecchia. Per ricompensarlo, la dea gli diede un carro guidato da draghi alati, gli insegnò le pratiche dell'agricoltura e gli affidò il frumento, perché dall'alto del cielo lo spargesse su tutta la terra abitata.

8 - Atlante Farnese
II sec.d.C.
Piano terra - Sala X
8 - Farnese Atlas
II century A.D.

L’Atlante Farnese è una scultura ellenistica in marmo, presumibilmente realizzata nel secondo secolo dopo Cristo da un’originale greco in bronzo del primo secolo avanti Cristo. Si pensa che l’opera fosse collocata nella Biblioteca del Foro di Traiano, fu rinvenuta durante gli scavi nelle terme di Caracalla a Roma, verso il 1546, quindi restaurata in alcune parti e poi venduta, dal mercante d’arte Paolo Bufalo, al cardinale Alessandro Farnese; in seguito, nel 1787, fu ereditata, col resto della collezione, da Carlo III di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese. La statua rappresenta il gigante Atlante mentre, inginocchiato, sorregge sulle spalle e con tutta la sua forza, il globo celeste. Tra le numerose opere che riproducono la volta celeste, l’Atlante Farnese è la più antica e tra le più interessanti. Sul globo sono raffigurate le costellazioni note al tempo dei greci, i tropici, i circoli artici, l’equatore e i segni zodiacali, con diverse curiosità che hanno da sempre attratto gli studiosi. La completezza della riproduzione, ha permesso all’astrofisico americano Bradley E. Schaefer di affermare che quanto raffigurato sul globo celeste della statua, è il Catalogo stellare di Ipparco di Nicea del 129 a.C., un testo andato perduto; la tesi dello studioso americano, accettata dal mondo scientifico in quanto supportata da numerose e valide prove, rappresenta un’importante scoperta per la storia dell’astronomia. Questa statua, quindi, non è solo una stupenda opera d’arte, ma anche una testimonianza eccezionale circa le conoscenze astronomiche al tempo dei greci.

Il mito

Atlante (Ἄτλας in greco) era un gigante figlio del Titano Giapèto e dell’Oceanina Asia (secondo altri di Climene). Partecipò alla gigantomachia, la lotta tra giganti e dei olimpici, e per aver aiutato gli altri giganti nella rivolta contro Zeus (secondo alcune fonti era il capo dei Giganti), fu condannato da Zeus a reggere il peso del mondo sulle spalle. Egli possedeva il giardino delle Esperidi, dove maturavano i famosi pomi d'oro. Prima che Zeus lo condannasse a quella triste pena, ebbe il tempo di avere una numerosa discendenza. Figlie sue furono le Pleiadi avute da Pleione, da Etna ebbe le Iadi, da Esperide le Esperidi. Fu pietrificato da Perseo con la testa della Medusa e venne identificato con le montagne che portano il suo nome. Come sua dimora era indicato il paese delle Esperidi, nell’estremo Occidente, altre volte, invece, era posto presso gli Iperborei. Fu divinizzato in quanto considerato colui che insegnò l’astronomia (‘le leggi del cielo’) agli uomini. A volte troviamo tre Atlanti: uno d’Africa, uno italiano e un terzo arcade, nonno d’Ermes in quanto padre di Maia.

Foto di Giorgio Manusakis e Angelo Zito per miti3000