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Una koinè culturale greco-etrusca in Campania: aspetti e considerazioni

Gli Etruschi sono senza dubbio uno dei popoli più affascinanti della storia, sulle cui origini continua ancora oggi ad esserci un dibattito tra gli studiosi. In merito alla sua formazione si può evincere, infatti, nelle fonti letterarie antiche una certa discordanza. Alla teoria di un’emigrazione dall’area vicino orientale avvenuta alla immediata vigilia della guerra di Troia (XIII secolo a.C.), sostenuta da Erodoto ed avvalorata dalla probabile identificazione con i Tyrsenoi menzionati in alcuni testi egizi risalenti all’epoca del faraone <atitle="Torelli 1981, pp. 27-28 0>Ramses III, si contrappone quella di un’origine autoctona. Essa, per quanto affermata da un autore più tardo come Dionigi di Alicarnasso, sembra trovare sostegno nella documentazione archeologica dell’area tosco-laziale collocabile al passaggio dall’Età del Bronzo alla prima Età del Ferro (X-IX secolo a.C.). Secondo quanto afferma Mario Torelli, infatti, non ci sono, in questa fase storica, segni tangibili di una colonizzazione dall’esterno. Pertanto, la nascita degli Etruschi potrebbe essere vista come un fenomeno del tutto endogeno, cioè interno ad un sostrato sociale e culturale preesistente, ed al quale avrebbero potuto contribuire, in via ipotetica, gruppi di immigrati giunti dall’area egeo-anatolica.

In effetti, l’unico elemento di certezza, emerso in decenni di studi sul tema, è che questo popolo di marinai e commercianti non si concentrò soltanto in quella vasta area considerata da sempre come Etruria, circoscritta tra l’alto Lazio e la Toscana. Alla luce dei dati storici ed archeologici, infatti, è lecito oggi parlare sia di un’Etruria padana, con propaggini sino al Veneto meridionale, sia di un’Etruria campana, all’interno della quale si possono riconoscere vari nuclei di popolamento. Tra questi, quello più eminente avrebbe avuto come polo principale la città di Capua, sulle cui origini, a differenza di altri centri della regione, si conoscono alcune informazioni dalla tradizione letteraria. Il suo eroe fondatore sarebbe stato un certo Capys. In alcuni passi di Omero, Ovidio e Diodoro Siculo, si deduce una provenienza di questo personaggio dall’Asia Minore. Secondo Dionigi di Alicarnasso, dall’unione con la ninfa Ieromnene, Capys avrebbe generato Anchise, padre di Enea, dal quale avrebbe avuto inizio la saga di Roma. Nell’Eneide, invece, Virgilio afferma che Capys sarebbe giunto nella penisola italica insieme a suo nipote, fondando nella fertile pianura campana la città di Capua. Tuttavia, vi sono altri autori romani che riportano tradizioni differenti. Ad esempio, lo storico Tito Livio ritiene che il nome antico della principale città dell’Ager Campanus fosse Volturnum, coincidente con quello del fiume che la attraversa. Un altro scrittore, Verrio Flacco, che visse durante gli anni di Augusto a Roma e fu precettore dei suoi eredi Caio e Lucio, negli Etruscarum rerum libri sostiene addirittura come gli Etruschi della Campania discendessero da un gruppo di antenati emigrato dal campus Stellatis, zona dell’Etruria meridionale avente come centro principale l’insediamento di Capena: nome, quest’ultimo, molto affine con quello di Capua.

L’ipotesi predominante nel panorama attuale degli studi ritiene che alcune popolazioni, un tempo insediate tra Lazio e Toscana, avrebbero avvertito, nel corso della loro storia, la necessità di spostarsi in territori aventi caratteristiche favorevoli tanto allo sviluppo dell’agricoltura quanto all’apertura di nuovi sbocchi commerciali. Sono queste, in effetti, le peculiarità che si ritrovano sia nell’area emiliano-romagnola, attraversata dal lungo corso del fiume Po, sia in alcune della Campania, quali la pianura campana, l’agro nocerino-sarnese, la piana picentina e le valli dei fiumi Sele e Tanagro. Questo fenomeno di emigrazione, tradizionalmente datato tra IX e VIII secolo a.C., potrebbe essersi verificato, in realtà, già nel periodo della cosiddetta civiltà villanoviana, la cui cultura materiale, fiorita tra X e IX secolo a.C., è stata documentata, guarda caso, in zone interessate successivamente dalla presenza degli Etruschi.

Gli Etruschi della Campania affascinati dalla cultura greca

Gli Etruschi della Campania, come d’altra parte i loro consanguinei delle aree tosco-laziale e padana, furono sedotti dal fascino della cultura greca. Tra gli aspetti di quest’ultima, ciò che forse impressionò particolarmente fu la saga degli eroi Achei protagonisti della distruzione di Troia. La conoscenza di queste imprese si sarebbe diffusa ed affermata nel corso degli ultimi decenni dell’VIII secolo a.C. Gli Etruschi sepolti, insieme ai Greci provenienti da Eubea, nella necropoli della valle di S. Montano di Ischia quasi certamente conobbero le vicende di personaggi omerici come Nestore, al quale fa riferimento, in modo ironico, l’iscrizione su una coppa rinvenuta in uno di questi corredi funerari. D’altra parte, in quel periodo, il contesto di Pithecusa, corrispondente ad un emporion, ossia ad un centro mercantile popolato da genti provenienti da diverse zone del Mediterraneo, doveva mostrarsi molto favorevole alla mescolanza di culture e tradizioni.

La tomba 104 del fondo Artiaco di Cuma
affibbiaglio dal corredo<br> della tomba 104 di fondo artiaco<br>fonte Roberto Della Noce
affibbiaglio dal corredo
della tomba 104 di fondo artiaco
fonte Roberto Della Noce

La tesi di una forte integrazione, in Campania, tra Greci ed Etruschi, già risalente ai decenni finali dell’VIII secolo a.C., sembra avere ulteriori prove a supporto. Molto suggestiva, a tal proposito, è la vicenda della tomba 104 del fondo Artiaco di Cuma, il cui corredo è stato esposto nella mostra “Gli Etruschi e il Mann”. La sepoltura, a fossa con ricettacolo, fu scoperta da Giuseppe Pellegrini nel 1902. Gli oggetti appartenenti al ricco defunto sono di varia provenienza geografico-culturale. Ad un lebete ossuario in argento di tradizionale matrice ellenica, con annesso coperchio e sostegno biconico, si associano oggetti molto peculiari: uno scudo di tradizione villanoviana, un fodero di spada di tipo italico, affibbiagli di fattura etrusca ed una oinochoe a bocca trilobata di tipo fenicio-cipriota. In merito all’origine etnica del defunto della tomba 104, l’ipotesi di una sua provenienza etrusca, per quanto a prima vista sorprendente, non appare del tutto inverosimile. Le due principali città della Campania di fine VIII-inizi VII secolo a.C., ovvero la greca Cuma e l’etrusca Capua, mai esplicitamente indicate dalle fonti letterarie in conflitto tra loro, potrebbero aver vissuto una sorta di osmosi culturale, ben evidenziabile dalla condivisione dei rituali funerari. In particolare, nel caso della deposizione di fondo Artiaco, la scelta dell’incinerazione, con le sue annesse pratiche (banchetti e giochi), potrebbe suggestivamente richiamare l’epos omerico, e più nello specifico, secondo quanto scritto nell’Iliade, il sontuoso cerimoniale messo in atto per il funerale di Patroclo.

Il caso Aristonothos
la scena dell'accecamento di<br />polifemo raffigurata sul cratere<br />di aristonothos<br />fonte sapere.it
la scena dell'accecamento di
polifemo raffigurata sul cratere
di aristonothos
fonte sapere.it

Un’altra vicenda, come quella legata al noto cratere di Aristonothos, scoperto a Caere e conservato ai Musei Capitolini a Roma, può essere annoverata tra le espressioni di questa koinè greco-etrusca, definita da V. Nizzo anche come cultura meticcia, le cui radici sembrano affondare proprio in Campania. Il ceramista firmatario del vaso quasi certamente avrebbe dipinto anche le scene rappresentate sulla sua superficie: da una parte, l’accecamento di Polifemo da parte di Odisseo e dei suoi compagni; dall’altra, una battaglia tra due contingenti navali. E’ molto probabile che sia il committente che il ceramista/pittore conoscessero già a priori il repertorio epico da cui erano state attinte le immagini, nonostante non fossero della stessa origine etnica. Se il primo infatti è un membro dell’aristocrazia ceretana, il secondo, invece, è un artigiano di provenienza o quantomeno di formazione euboica. Tale considerazione emergerebbe dall’analisi della sua firma, molto simile, da un punto di vista stilistico e glottologico, ad analoghe iscrizioni rinvenute su vasi prodotti a Cuma, come ad esempio la cosiddetta lekythos di Tataie, di pochi decenni più recente del cratere di Cerveteri. Non va dimenticato, infatti, che la polis dei Campi Flegrei, la più antica della Magna Grecia, secondo Strabone ebbe tra i suoi fondatori politai provenienti da Eubea. Un’ulteriore prova a favore di questa tesi sulla provenienza di Aristonothos potrebbe consistere nell’uso, da parte di quest’ultimo, di un determinato tema decorativo. Si tratta di un granchio, animale marino che compare, nel cratere ceretano, su uno degli scudi dei soldati impegnati nella battaglia navale nonché nello spazio sottostante ad entrambe le anse del vaso. Secondo la studiosa G. Bagnasco Gianni, l’elemento figurativo in oggetto avrebbe una certa affinità stilistica con uno simile rappresentato in una serie di aryballoi da Eretria, decorati da un autore che J. P. Descoeudres definì appunto “Peintre des crabes”, cioè Pittore dei Granchi.

Il caso rappresentato dal cratere di Aristonothos, pertanto, sembra esprimere un fenomeno biunivoco. I flussi demografici, capaci di coinvolgere, tra gli altri, anche ceramisti, pittori ed artigiani, potevano svilupparsi, nella prima metà del VII secolo a.C., non solo da ma anche verso l’area laziale, caratterizzata dalla presenza di centri, come appunto Caere, dominati da elites aristocratiche filoelleniche.

La koinè greco-etrusca in Campania: dall’acmè al declino

L’acmè di questa koinè greco-etrusca in Campania può essere collocata tra gli ultimi decenni del VI secolo a.C. ed i primi del V secolo a.C.: un periodo, questo, segnato da diversi eventi militari e politici. Uno dei più importanti è costituito senz’altro dalla battaglia di Alalia, così detta dal nome di una cittadina della Corsica nelle cui acque si affrontarono, secondo Erodoto, i Greci di Focea, qui rifugiatisi dall’Asia Minore in seguito all’invasione dei Persiani, ed una coalizione etrusco-cartaginese. Dal racconto dello scrittore antico, tendenzioso nell’attribuire la vittoria alle forze elleniche, emerge un particolare interessante. Un gruppo di Focei, fatto prigioniero dagli Etruschi, fu portato a Caere e lì ucciso con una pubblica lapidazione. I corpi delle vittime furono sepolti in un’area esterna alla città, sulla quale però cadde una sorta di maledizione. Tutti coloro che vi passavano, per rendere omaggio a questi defunti, finivano per subire eventi negativi, come la storpiatura o addirittura la perdita di un arto. Per porre fine all’incresciosa situazione, gli abitanti di Caere decisero di consultare la Pizia, sacerdotessa del santuario greco di Delfi, la quale prescrisse loro lo svolgimento di riti di purificazione, come gare ginniche e sacrifici di animali.

Un ulteriore scontro tra Etruschi e Greci avvenne, poi, intorno al 524 a.C. proprio in Campania, nella zona dei Campi Flegrei. I Tirreni, appoggiati da altri popoli italici, come Umbri e Dauni, tentarono invano di conquistare la polis di Cuma. A distinguersi, nelle fila dell’esercito greco, fu il giovane Aristodemo, il quale, circa una ventina d’anni dopo, in seguito ad un’ulteriore battaglia vinta nel territorio di Ariccia, avrebbe instaurato nella città flegrea una tirannide. Durante quest’ultima esperienza di governo, si sarebbero verificati due particolari eventi che non solo avrebbero placato ma addirittura rafforzato i rapporti tra i due popoli. Da un lato, la fuga nell’etrusca Capua di diversi aristocratici cumani i quali avrebbero qui preparato un’azione militare decisiva per la cacciata di Aristodemo e la conseguente restaurazione di un regime oligarchico. Dall’altro, l’accoglienza offerta dal tiranno cumano all’ultimo re di Roma, l’etrusco Tarquinio il Superbo, fuggito dall’Urbe in seguito ad una congiura, il quale sarebbe morto poi proprio nella polis flegrea.

Infine, un ultimo importante evento è rappresentato dalla battaglia di Cuma del 474 a.C. La pesante sconfitta riportata dagli Etruschi per mano di una coalizione greca, che vide tra i protagonisti un contingente navale inviato da Siracusa, diede inizio al tramonto della loro potenza militare ed in particolar modo marittima. Nel corso dei decenni seguenti, infatti, sarebbero emerse nuove compagini, come i Campani, ovvero i Sanniti che conquistarono sia Capua che Cuma, ed i Lucani, i quali occuparono Poseidonia (poi ribattezzata Paestum dai Romani) e le limitrofe zone della foce del Sele e della piana picentina.

È interessante rilevare, grazie alla documentazione archeologica, come, nonostante gli scontri susseguitisi nel giro di pochi decenni, la koinè tra Greci ed Etruschi non si fosse dissolta ma anzi persino rinsaldata. Ad esempio, una indiretta rappresentazione delle battaglie combattute nei Campi Flegrei durante l’età tardo-arcaica può essere individuata nelle Gigantomachie dipinte su alcuni vasi a figure nere appartenenti al cosiddetto acquisto Falconnet di proprietà del Mann.

la tegola o tabula capuana<br />fonte wikipedia
la tegola o tabula capuana
fonte wikipedia

Il sincretismo religioso che emerge dalla citata vicenda dei Focei di Caere sembra trovare riscontro in un prezioso documento epigrafico come la Tegola o Tabula Capuana. Scoperto sul finire dell’Ottocento in un’area di necropoli, il reperto fu rifiutato dalla direzione del Museo Archeologico di Napoli in quanto ritenuto un falso. La Tabula, dunque, fu prima venduta ad uno studioso, Ludwig Pollak, e poi da quest’ultimo ceduta ai Musei Statali di Berlino. In effetti, secondo Mauro Cristofani, la Tabula scoperta a Capua sarebbe già copia di un originale perduto, ma questo aspetto, di certo, non la rende, meno degna di importanza. Dalle varie decifrazioni condotte sinora sui circa 200 vocaboli etruschi riportati, sembra emergere un vero e proprio calendario di cerimonie funebri in onore di determinate divinità, quali Lethe-Ade, Urano-Cielo, Uni, ovvero la versione etrusca di Hera, ed Apollo con il suo antro, identificabile molto probabilmente con quello della Sibilla.

Dal ricco immigrato di Cuma al ricco immigrato di Capua: con la Brygos Tomb la chiusura di un “cerchio”

Sempre dalle necropoli capuane proviene un altro importante documento, costituito dal corredo di una sepoltura a cista, la tomba n. 2, meglio nota col nome di Brygos Tomb. Essa fu scoperta ed esplorata nell’Ottocento da Simmaco Doria nelle campagne dell’attuale Santa Maria Capua Vetere. Dei vasi del suo corredo (fig. 4) 4 sono oggi al British Museum di Londra in quanto furono venduti all’istituzione inglese dal mercante Alessandro Castellani nel 1873. Gli altri due, invece, si trovano rispettivamente a New York e Karlsruhe. Il nome attribuito alla tomba è legato ad uno dei suoi oggetti di corredo, ossia una coppa firmata da un tale Brygos. Al di là del tema da pendant posto sul fondo, raffigurante un guerriero, un certo Crisippo, assistito da una ancella, chiamata Zeuco, nello svolgimento di una libagione, ciò che desta particolare attenzione sono le immagini dipinte sulle pareti esterne del vaso. In un primo gruppo di personaggi emerge Dioniso, dinanzi al quale due satiri conducono una messaggera di nome Iris. In un secondo, invece, un arciere, identificabile con Hermes o con Eracle, difende la dea Hera dall’attacco di altri due satiri. Le scene in questione, secondo il parere di D. Williams, sarebbero tratte da un dramma satiresco (guarda caso intitolato Iris). In altri vasi della Brygos Tomb, come lo skyphos firmato da Hieron e dipinto da Makron, decorato con personaggi dei misteri di Eleusi, ed il rhyton a forma di sfinge, in cui sono rappresentati Cecrope, re di Atene, e le sue figlie Herse e Aglauro, si coglie un riferimento ancora più specifico al contesto dell’Attica. Le immagini dei due stamnoi, invece, custoditi a New York e Karlsruhe, andrebbero ricollegate alla vicenda di Eos e Kephalos la quale si ritroverebbe altresì in un presunto settimo vaso appartenente al corredo capuano, corrispondente ad un rhyton anch’esso a forma di sfinge.

il corredo ceramico<br />della brygos tomb<br />fonte british museum
il corredo ceramico
della brygos tomb
fonte british museum

Secondo una tesi già formulata da J. Beazley e ripresa negli anni Novanta del secolo scorso da D. Williams, i primi due vasi del corredo della Brygos Tomb, cioè la coppa eponima e lo skyphos di Hieron, si daterebbero intorno al 490-480 a.C., mentre i restanti tra il 470 ed il 460 a.C. Tale teoria indurrebbe, dunque, ad ipotizzare che la coppia di ceramiche più antica sarebbe stata utilizzata dal defunto in vita e che dunque lo stesso avrebbe avuto piena consapevolezza anche dei temi mitologico-religiosi rappresentati.

In merito all’origine etnica di questo ricco cittadino sepolto nella Brygos Tomb, il peculiare repertorio figurativo rappresentato nei vasi del corredo funerario costituirebbe un ottimo elemento in favore di una sua possibile grecità. Pertanto, si potrebbe pensare ad un uomo proveniente da una polis della madrepatria (secondo Williams addirittura da Atene in virtù dei richiami a Dioniso, Cecrope e le sue figlie) oppure da un centro della più vicina Magna Grecia. Ritenendo valida quest’ultima tesi, come luogo di origine sarebbe molto facile e anche logico supporre la vicina Cuma, città dove senz’altro circolavano da decenni, tramite flussi commerciali, i prodotti ceramici dell’Attica, a figure, prima, nere e, poi, rosse. Nell’ambito di questo ipotetico discorso, andrebbe dunque a chiudersi, in maniera suggestiva, una sorta di cerchio, apertosi quasi tre secoli prima con il suddetto presunto immigrato etrusco della tomba 104 di fondo Artiaco.

Un’ultima considerazione, infine, può essere fatta in merito ai nuovi dominatori della Campania di fine V secolo a.C., ossia i Sanniti ed i Lucani. Queste popolazioni italiche, secondo quanto emerge sia dalla tradizione storiografica che dall’archeologia, avrebbero mostrato rispetto e interesse verso la cultura di matrice greca e/o greco-etrusca caratterizzante le città da essi conquistate, come Neapolis, Cuma e Poseidonia. Da tale processo di integrazione sarebbe così scaturita una nuova koinè, che si sarebbe dissolta soltanto con l’arrivo dei Romani a partire dalle guerre sannitiche combattute a cavallo tra IV e III secolo a.C.

Bibliografia

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G. Melandri, Gli antefatti: X-VIII secolo a.C., in V. Nizzo (a cura di), Gli Etruschi e il Mann. Electa. Verona 2020, pp. 32-63

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V. Nizzo, L’età del confronto: l’Orientalizzante tirrenico, in V. Nizzo (a cura di), Gli Etruschi e il Mann. Electa. Verona 2020, pp. 64-75

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V. Nizzo, Le battaglie di Cuma e la Gigantomachia flegrea, in V. Nizzo (a cura di), Gli Etruschi e il Mann. Electa. Verona 2020, pp. 174-177

Pellegrino 2020 Rescigno 2020

C. Rescigno, I santuari campani prima di Roma: luoghi fisici, spazi rituali, divinità, in V. Nizzo (a cura di), Gli Etruschi e il Mann. Electa. Verona 2020, pp. 126-133

Torelli 2009

M. Torelli, Storia degli Etruschi. Editori Laterza. Roma-Bari 2009

Williams 1992

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Angelo Zito