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Delfi  Δελφοί

nota fin dai tempi di Omero anche come Pito, è una località della Focide posta sul fianco del monte Parnaso, sede di una delle più importanti zone archeologiche del mondo; più in dettaglio, oltre alle necropoli sui fianchi della montagna, l'area archeologica si divide in due zone principali, al centro delle quali si trova la fonte Castalia, ritenuta sacra dagli antichi greci.

Tholos Atena pronaia
Tholos Atena Pronaia

La zona posta più in basso si trova alle pendici della Fedriade orientale e comprende i resti di un ginnasio con palestra e bagni; poco più in basso troviamo il santuario di Atena Pronaia, che si riteneva fosse nata lì, ed una Tholos rotonda parzialmente ricostruita, con un peristilio di venti colonne doriche.

La zona più alta, invece, si trova sulle pendici della Fedriade occidentale e comprende molti monumenti votivi, esedre e basamenti di statue e una lunga serie di Tesori: dei Sicioni, dei Sifni, degli Ateniesi, dei Cnidi, degli Spartani e altri ancora. Proseguendo troviamo il Bouleuterion o Parlamento, la colonna ionica che sorreggeva la sfinge dei Nassi e la "roccia della Sibilla" con la tomba del serpente Pitone, fino ad arrivare al tempio di Apollo, la divinità delfica per eccellenza.

Continuando a salire troviamo l'antico teatro e lo stadio dove si svolgevano i celebri giochi pitici.

Bouleuterion
Bouleuterion

Delfi era anche la sede dell'Omphalos, "l'ombelico del mondo", un masso bianco avente forma di semicono; di fatti il mito racconta che Zeus, volendo accertare quale fosse il centro della terra, fece partire contemporaneamente due aquile (o due cigni) dai suoi limiti estremi e i due volatili si incontrarono a Delfi.

Delfi fu sicuramente il più importante centro religioso dell'antichità, nessuna decisione importante, sia di carattere personale che di interesse generale, veniva presa senza consultare il dio profetico Apollo; questi parlava per bocca della sua sacerdotessa, la famosa Pizia, la quale, con una foglia di alloro in bocca e un ramoscello in mano, seduta sul sacro tripode, cadeva in estasi, quindi compiva movimenti ed emetteva suoni che i sacerdoti interpretavano seguendo i canoni della propria dottrina, traducendoli in forma comprensibile e mettendoli per iscritto in prosa o versi (esametri), indicando in tal modo a quale dio dovessero farsi sacrifici affinché un'impresa fosse coronata dal successo, cosa si sarebbe dovuto fare per superare determinati ostacoli, eventuali riti con cui espiare colpe, etc.

L'autorevolezza dell'oracolo e, dunque, l'influenza politica dello stesso, era tale che alcuni storici hanno parlato di politica delfica, contrassegnata da uno spirito di moderazione. Per la verità le profezie del dio, anche se scritte, non erano poste in forma facilmente comprensibile, cosicché le interpretazioni diverse che ne venivano date, sono servite a chi le "rileggeva" a sua convenienza e, comunque, hanno dato luogo a numerosissimi miti, che è ciò che a noi più interessa.

Teatro vista dall'alto
Teatro vista dall'alto

Soffermandoci dunque sul tema principale del nostro sito, il mito, le origini dell'oracolo di Delfi risalgono all'epoca stessa in cui gli dei emergevano dal caos e la prima dea a possedere il suolo delfico fu la Terra; essa lo passò poi alla figlia Themis, la quale a sua volta lo cedette alla titanide Febe che successivamente lo offerse come dono di nascita ad Apollo, che da lei prese anche l'epiteto di Febo Apollo. Tutto ciò ce lo racconta Eschilo nelle Eumenidi, ma abbiamo anche una versione meno divina dell'oracolo di Delfi. Infatti secondo altre fonti, tra cui Diodoro, fu Coreta, un pastore del luogo, a scoprire le virtù profetiche di Delfi. Questi notò che le sue capre, avvicinandosi ad un particolare crepaccio del suolo andavano in eccitazione, quindi, per capirne il motivo, andò a guardare nel crepaccio e immediatamente iniziò a profetizzare. Su quello stesso crepaccio fu collocato il famoso tripode, dove da allora in poi si sarebbe seduta la profetessa Pizia, per assorbire meglio i vapori emessi ed essere più vicina al dio.

Come abbiamo già detto, Delfi era anche conosciuta come Pito, con questo nome infatti Omero chiama il santuario nei suoi poemi. Il nome Pito, stando a quanto ci dice l'inno omerico ad Apollo, deriva da pythesthai che in greco significa marcire. Per comprendere meglio il perché dobbiamo, ovviamente, far riferimento al mito; di fatti esso ci narra che Apollo, una volta accolto sull'Olimpo, ne discese in cerca della sua dimora sulla terra per erigervi un santuario; dapprima si diresse alla fonte Telfusa (o Tilfussa), ma l'incauta sorgente lo convinse a dirigersi alle pendici del Parnaso dove vi era un'altra sorgente, la fonte Castalia, questa però era protetta dalla Dracena, un drago femmina insomma. In realtà la Dracena non era solo la custode della fonte, a lei fu infatti affidato anche il mostro Tifone, generato autonomamente da Era per rivalersi contro il marito Zeus dopo che questi, altrettanto autonomamente, generò Atena dalla propria testa, ma per questo vi rimandiamo ad altri miti. Sta di fatto che Apollo, il quale non desiderava evidentemente la sua compagnia, la uccise con una potente freccia "…e da allora Pito ha tale nome, e chiamano il dio con l'epiteto di Pizio, perché in quel luogo la forza del Sole ardente fece marcire il mostro." (segue la narrazione):

Stadio
Stadio

Chiunque incontrasse la dragonessa, era per lui
l'ultimo giorno: prima che il dio saettante
le scagliasse una freccia violenta:
cadde da atroci dolori straziata
torcendosi al suolo e forte ansimando:
un grido si udì spaventoso; qua e là per il bosco
balzava convulsa; e la vita lasciò
un soffio spirando di sangue spumoso.
E sovr'essa di Apollo suonò la voce superba:

«Ora qui marcirai su la terra nutrice
né più tu sarai funesta sciagura
ai mortali che la fertile terra sostenta
e qui verranno ad offrire ecatombi perfette;
non certo da morte salvarti potrà né Tifone
né Chimera, esecrabile nome. La terra
negra e l'ardente Iperione faranno
che sozzamente tu qui imputridisca»
(III° Inno omerico ad Apollo).
Il mito continua spiegandoci anche l'origine del nome Delfi. Infatti a questo punto Apollo, fondato il santuario, va alla ricerca dei sacerdoti a cui affidarlo, la scelta, per oscuri motivi, ricadde su una nave di mercanti cretesi; il dio non tentò neanche di convincerli a divenire suoi sacerdoti, ma si tramutò in un'enorme delfino e li trascinò con tutta la nave fino al porto di Crisa, quindi si trasformò in un bel giovane e spiegò ai mercanti cretesi la vita che aveva scelto per loro, rassicurandoli che avrebbero avuto tutto da guadagnarci, li condusse al santuario e decretò che quel luogo si chiamasse Delfi, in quanto sotto forma di delfino era apparso per la prima volta ai suoi devoti.

Abbiamo già detto che nessuna decisione importante veniva presa senza prima consultare l'oracolo e che da ciò derivano numerosissimi miti che non staremo qui ad elencare, ma che troverete tutti cliccando le giuste pagine del nostro sito, ci soffermeremo, piuttosto sui miti più propriamente del luogo. Tornando alla Dracena, vi è da dire che questa era considerata un essere primordiale e quindi sacro, per questo motivo Apollo dovette purificarsi per averla uccisa; a tale scopo egli fece da mandriano a Admeto, re di Fere in Tessaglia, il quale si guadagnò l'amicizia e la protezione del dio. Per questo motivo a Delfi ogni otto anni si svolgeva la Septerione, una festa che celebrava l'espiazione del delitto di Apollo e di cui tralasciamo il rituale per amore di sintesi.

Fonte Castalia
Fonte Castalia

Non tutti sanno che Delfi era sacra anche ad un altro dio, Dioniso. Sul Parnaso infatti le Tiadi, donne sacre a Dioniso come le Baccanti, celebravano le orge sacre ed il Parnaso, con le sue due vette, secondo Lucano "cerca il cielo con due vette, essendo sacra a Febo e Bromo", gli epiteti di Apollo e Dioniso. A Delfi si sosteneva che nei tre mesi invernali, Apollo rendeva visita al popolo degli Iperborei a lui caro e in quei tre mesi il santuario passasse in gestione a Dioniso.

In quanto sede di Apollo, dio della poesia, il territorio di Delfi era anche indicato come dimora delle muse. A tal proposito vogliamo ricordare un'altra montagna non lontana dal Parnaso, spesso citata dai poeti: l'Elicona. Lì Esiodo racconta, nella Teogonia, di averle viste e di essere stato da loro iniziato al canto. Dall'Elicona sgorgava anche la sorgente prediletta dalle muse, l'Ippocrene; il mito narra che le muse quando giunsero sull'Elicona, iniziarono a cantare cosi divinamente che il monte per vanità, orgoglio o entusiasmo, si gonfiò fino quasi a sfiorare il cielo; intervenne quindi Poseidone, il quale fece sferrare un potentissimo calcio al cavallo alato Pegaso, a questo punto il monte iniziò a sgonfiarsi e dal punto dove venne colpito sgorgò la fonte Ippocrene, ossia "fonte del cavallo".

Fonte Castalia
Vasca della Castalia -  altra vista

Come abbiamo già scritto, a Delfi si tenevano anche le gare Pitiche; tali gare, prima di trasformarsi nei giochi pitici, secondi solo a quelli di Olimpa, furono originariamente concepite come concorso per citaredi, in quanto si sosteneva che Apollo avesse celebrato la vittoria sulla Dracena suonando un inno con la cetra. A tal proposito un mito narrato da Clemente di Alessandria, ci narra di tale Eunomo di Locri, il quale, durante una di queste gare per citaredi, ruppe una corda della sua cetra mentre eseguiva l'inno dell'uccisione della Dracena; fu a questo punto che una cicala, animale sacro alle muse, prese il posto della corda interpretando perfettamente ciò che Eunomo suonava e grazie a ciò egli riuscì a vincere la gara che gli valse, tra l'altro, una statua di bronzo insieme alla sua preziosa amica.

L'imperatore Teodosio, nell'anno 393 d.C., con un editto decretò la fine dei giochi di Olimpia e l'anno dopo, nel 394 d.C., la chiusura del santuario di Delfi. Nel 363 d.C., quindi trentuno anni prima, l'imperatore Giuliano l'Apostata, che cercò di conservare l'antica religione dal Cristianesimo ormai imperante, ricevette l'ultimo oracolo del santuario di Delfi, che rivelò all'imperatore: vai e riferisci al re che il bel edificio è a terra, Apollo non ha più né capanna né alloro, la fonte è disseccata e l'acqua gorgogliante è muta. Crediamo di non sbagliare nel dire che mai profezia fu più esatta.

Giorgio Manusakis