La geometria sacra nella fondazione delle città sicane. L'urlo degli Avi
Negli articoli precedenti abbiamo concentrato le nostre attenzioni su un territorio siciliano inscritto all'interno delle direttrici di un triangolo isoscele, i cui lati hanno come vertici le città di Erbita, Adrano e Palikè. Molte altre città siciliane, di chiara fondazione sicana, unite virtualmente tra di loro formano altrettanti triangoli, a dimostrazione del fatto che la fondazione di tali città si basava su un'accurata conoscenza della geometria e dell'astronomia, non dissimile da quella posseduta da Egizi, Sumeri e molti altri antichissimi popoli. Il fine che si proponevano i Sicani, utilizzando la geometria sacra, era quello di far sì che nel territorio in questione confluissero particolari forze positive che, in condizioni di normalità, vagavano libere per il cielo.
Chi si ritenesse stupito del fatto che vengono attribuite ai Sicani le conoscenze di cui sopra, si ricordi che l'architettura sacra, praticata ancora in pieno Medioevo per la costruzione delle cattedrali, traeva le sue fondamenta dalla ben più antica conoscenza pitagorica, secondo cui Dio era percepito nei gradi di un angolo. Per approfondire le conoscenze sulla sezione aurea o proporzione divina, riferita al pentagono regolare all'interno del quale è inscritto un “triangolo aureo” o “isoscele”, è possibile attingere alle speculazioni filosofiche e matematiche del filosofo greco Pitagora. Del resto, a conferma del fatto che per gli antichi popoli la “geometria sacra” rivestiva un importante ruolo all'interno della speculazione filosofica e delle sue applicazioni pratiche, notiamo che Platone, nel Timeo, ritiene la sfera, non a caso scelta “dall'architetto dell'universo” quale forma dello stesso, la più perfetta tra le figure geometriche, dal momento che ogni punto della circonferenza è equidistante dal centro e in essa non si scorge né inizio né fine. E proprio perché ritenuta pagana, nel 1572, l'arcivescovo di Milano condannò l'abitudine di costruire le chiese in forma circolare ed invitò gli architetti a progettarle nuovamente con la pianta a forma di croce latina. A noi, che vogliamo evitare di percorrere le enigmatiche vie dell'ermetismo, in questa sede preme soltanto condividere con i nostri affezionati lettori gli ulteriori risultati cui siamo pervenuti intorno alla conoscenza di un popolo, quello Sicano, poco indagato, nonostante la sua presenza sul suolo siciliano sia stata pluri millenaria.
È nostra convinzione che le città di ogni triade triangolare condividessero speciali legami di carattere sacro e/o parentelare. Particolarmente importante dovette essere la lega stipulata tra Adrano, Erbita e Palikè, denominata Trinacria, Tri-an-akara (cioè, “tre territori dell'avo”) o “Tri-an-kr” (cioè tre “potenze dell'avo”, dal momento che il lessema kr, in antica lingua germanica, significa appunto “potenza, forza prorompente”); del resto è possibile che il lessema kr si sia trasformato, nel tempo, per analogia, in akara (a.t.a.), cioè “terreno, suolo”, essendo racchiusa nel fertile suolo la stessa forza vitalizzante che fa germogliare il “granello di senape”. Abbiamo affermato che i “tre” vertici del triangolo sicano per eccellenza si identificano con le “tre” città siciliane sopra citate, le quali ospitavano i “tre” culti principali dei sicani, costituenti la “triade” divina padre-madre-figli, ovvero la famiglia, l'istituzione che governa il mondo, il triangolo umano da cui si genera e si perdura la stirpe. La triade familiare, la “sacra famiglia” rappresenta l'eterno presente che, ricevendo le proprie energie dal passato, cioè dagli avi, le consegna a sua volta alle generazioni future, agli eredi. Il presente, dunque, oltre che rappresentare la sintesi tra il passato ed il futuro, è il momento in cui avviene l'“atto” creativo, la creazione di qualcosa, di un pensiero che, presa forma nella mente, si manifesta plasticamente nel mondo. Nella formazione di queste triangolazioni di città amiche o consanguinee, si potrebbe leggere una volontà di perdurare l'antico mito, narrato da Tacito nel suo trattato Germania, secondo il quale dai “tre” figli di Manno, il capostipite del popolo germanico, al quale assimiliamo i Sicani, scaturirono “tre” stirpi: gli Ingevoni, gli Istevoni e gli Erminioni.
Poco al di sopra della direttrice del triangolo sacro, in direzione Erbita-Adrano, è collocata la cittadina di Cerami. Questa, a sua volta, è disposta, nei confronti di Nicosia e Troina, in modo tale da formare un altro triangolo. Se si uniscono Nicosia, Cerami, Troina e Gagliano si forma un rombo. Un triangolo isoscele si forma inoltre dalla congiunzione delle città Centuripe, Adrano, Paternò\Hibla. Queste particolari forme geometriche, che potrebbero sembrare casuali se non fosse per il fatto che si ripetono troppo spesso e con perfezione geometrica, entrano in relazione con le rune, come vedremo oltre, che erano qualcosa di più di un semplice alfabeto.
L'attuale paesetto di Cerami ingloba, nella sua parte più alta, una straordinaria acropoli sicana, simile alle acropoli di Nicosia, Gagliano, Assoro e di numerosi altri siti sicani, nelle cui rocce venivano ricavate delle grotte più o meno ampie e delle nicchie; a motivo della presenza di tali cavità si è portati a credere che tali luoghi venissero utilizzati come siti per la sepoltura degli avi e come luogo di culto. Tali siti, e in particolare l'acropoli di Assoro, erano ritenuti luoghi di “ascolto”, a motivo delle forze di attrazione extrasensoriali che li caratterizzano e della spiritualità che suscitano. Col termine “ascolto” intendiamo non un sentire fisico, ma una percezione spirituale di intuizioni e vibrazioni, che presuppone la capacità dell'orante di porsi sulla stessa lunghezza d'onda delle forze extrafisiche presenti nel luogo. Nel momento in cui si genera un'intuizione, ovvero una forma di contatto irrazionale tra l'individuo e l'indefinibile, la mente viene esclusa, diversamente da quanto accade nel processo della meditazione, che presuppone una partecipazione razionale e riflessiva. L'ascolto, così come veniva inteso dai religiosi sicani di svariate migliaia di anni fa, presupponeva un atteggiamento attivo e recettivo dell'individuo, capace di captare “la voce” immateriale e di trasformarsi, dentro queste acropoli sicane, questi “alti luoghi” tetto della Sicilia, in autentiche antenne umane. Non è un caso che il termine ebraico Rabbi (altra lingua riconducibile alla comune origine nord-europea alla luce dei nostri studi), con il quale si indica un maestro carismatico, si formi dall'accostamento del germanico rahe, “antenna”, e ab, “trarre fuori”.
Alla luce di quanto affermato fin qui, non pare affatto incongruo sostenere che il lessema hor, che significa “orecchio, udito, ascolto” in lingua germanica, possa essere contenuto, preceduto da Ass,nel nome della città Assoro. Il nome di questa cittadina siciliana risulta composto dunque dall'accostamento dei lessemi Ass e hor. Abbiamo sempre tradotto il lessema Ass, nel nome della città Assoro. Il nome di questa cittadina siciliana risulta composto dunque dall'accostamento dei lessemi Ass e hor. Abbiamo sempre tradotto il lessema Ass, a motivo del suo utilizzo in ambito politico militare, con i termini “avversione, odio”; tuttavia non escludiamo, vista la natura esoterica della religiosità sicana, quale emerge dagli studi sulla “geometria sacra”, la possibilità di una sua relazione con il simbolo corrispondente della runa ᚨ, si chiama ASS. Il numero corrispondente a questa runa è il “tre”. Anche nel nome della città scomparsa di Erbesso potrebbe leggersi la composizione dei lessemi ass-hor (Erbe-ass-hor). Facciamo inoltre notare che tale composizione va a formare anche molti nomi di città filistee, una delle quali si chiama proprio Asor (II Samuele 13,23); ricordiamo che, come abbiamo dimostrato altrove, i Filistei erano un popolo di origine nord europea. Il runologo Kenneth Meadows sostiene che ASS indica il dio che crea con la parola, “incarna il potere del pensiero e la forza d'ispirazione”. Secondo Meadows questa runa esprime la triplicità e la sua forma richiama un albero di pino.
Se Assoro era la città dell'ascolto, Cerami doveva essere quella della chiamata, dell'urlo, della parola intesa quale atto creativo di potenze da sprigionare. Infatti nella sua acropoli l'osservatore attento, se riesce a trovare la prospettiva giusta, può notare la presenza di tre enormi formazioni rocciose, che sembrano essere state scolpite da mano umana e volutamente mimetizzate, la cui forma richiama la testa di tre uomini, una delle quali è con la bocca aperta in atto di chiamare, con la mano aperta sull'estremità della bocca onde dirigere ed amplificare il suono emesso. Sarebbe interessante appurare se le tre teste sono rivolte, come ipotizziamo, nella direzione delle tre città santuario di Erbita-Adrano-Palikè. Cerami potrebbe essere stata il centro d'irradiazione della voce degli avi, soprattutto se si considera che l'etimo potrebbe ricondurre al germanico Kern che significa nucleo, nocciolo, parte interna, anima, sostanza, parte essenziale.
Se abbiamo visto giusto nell’asserire che i Sicani erano un popolo che proveniva dall’Europa del nord, costretto a cercare climi più miti dopo l’ultima era glaciale, verificatasi dodicimila anni fa, non ci può cogliere di sorpresa il fatto che essi portassero con sé tutto il loro bagaglio di conoscenze e che questo rimanesse in comune, fino ad una certa epoca, con coloro che, avendo percorso lo stesso tragitto, arrestavano di volta in volta la marcia in luoghi ritenuti propizi per la fondazione dei loro villaggi. La “citomitosi” del popolo originario avrebbe in tal modo generato quel pulviscolo di popoli, accomunati da affinità linguistiche, culturali e religiose, che gli studiosi indicano col termine di indoeuropei in quanto tutti derivanti dal popolo originario (ur volk). Non escludiamo, dunque, che i due popoli indoeuropei, quello dei Germani e quello dei Sicani, rami che si dispiegavano dal medesimo tronco, utilizzassero entrambi le rune come linguaggio e scrittura sacri.
LE RUNE DEL MENDOLITO
Il termine runa significa mistero o silenzio, in riferimento ad un sapere che non può essere trasmesso con l’uso della parola. Consapevoli del fatto che il titolo del paragrafo e i contenuti cui allude siano decisamente inediti e “sconcertanti”, ma parimenti convinti della necessità di non arretrare di fronte ad intuizioni poco accademiche, seppur supportate da argomentazioni, non esitiamo ad affermare che i Sicani si avvalevano delle rune e possedevano spiccate conoscenze astronomiche e geometriche, al pari di altri popoli che, per l’imperscrutabile disegno del destino, hanno lasciato, a differenza del nostro, tracce più visibili di questo sapere. Dello stesso parere, in merito alle conoscenze astronomiche e geometriche dei Sicani del Lazio, il sacerdote Don Giuseppe Capone, il quale ha dedicato venticinque anni della sua vita alle ricerche intorno alla relazione tra la costruzione geometrica delle mura poligonali sicane di Alatri e l’astronomia.
Chi percorre a piedi le campagne, un tempo fertili e oggi abbandonate, del Mendolito, una contrada del territorio di Adrano in cui sono stati trovati interessantissimi reperti archeologici di epoca pre-greca, trova il territorio cosparso di milioni di cocci di terracotta e di un’infinità di pesetti da telaio risalenti all’età sicana. La maggior parte di questi pesetti di argilla cotta non porta inciso nessun segno particolare, ma alcuni di essi sono caratterizzati dalla presenza di simboli quali il sole raggiato, la croce, il cerchio. Il numero considerevole di pesetti e la lettura di un passo delle Verrine, in cui Cicerone accusa il pretore romano Verre di aver estorto ad un facoltoso commerciante di stoffe della città di Etna (da noi identificata con l’attuale città di Adrano, che sorge nei pressi del Mendolito) dei pregiati capi oggetto di produzione locale, inducono a ritenere che nel sito fossero sorti un Eraion e una “fabbrica” di stoffe. Ferma restando la possibilità dell’esistenza di un Eraion e di una fabbrica di stoffe nel sito del Mendolito, va notato che il peso da telaio va anche considerato come il simbolo dell’indeterminazione del destino visto che, nella mitologia dei popoli nordici, ai quali accomuniamo i Sicani, il destino veniva “filato” dalle Norne. Non è un caso che in ogni tomba si trovi, quale corredo funerario, almeno un pesetto da telaio, quale simbolo del destino e auspicio di un favorevole viaggio ultraterreno del defunto. La runa del destino è rappresentata da una croce che si chiama NAUD ᚾ. Questa croce si trova incisa in taluni pesetti da telaio. A volte si trova la croce inscritta in un cerchio, come nel caso dei capitelli lavici esposti nel museo di Adrano.
Il sole raggiato, che troviamo con frequenza nei pesetti, potrebbe riferirsi alla runa HAGAL ᚼ, una specie di asterisco con sei strali. Questa runa esprime, secondo il runologo Kennet Meadows, ”la forza del cambiamento naturale, necessaria per correggere uno squilibrio […] è quindi una forza carica di potenzialità trasformative“.
Ritroviamo la figura geometrica del rombo incisa su cocci di vasellame del Neolitico di circa sei, sette mila anni fa. Il rombo rappresenta la runa ING ᛜ, associata all’anima, che rappresenta la continuità della vita dopo la morte. Questa runa è pure associata alla discendenza e alla genealogia; non a caso l’alternativa al rombo è una runa formata da una continuità di rombi posti uno sull’altro a formare, curiosamente, qualcosa di molto simile ai filamenti del DNA ᛟᛝ. La runa simboleggia, pertanto, la forza dell’ascendenza che si persevera nella discendenza. Il rombo, nella geografia sacra applicata alle fondazioni delle città sicane, scaturisce dall’unione delle città di Cerami, Troina, Gagliano e Nicosia.
La RUNA ᚱ (REID, ruota o cerchio), comunemente indicata come la runa del destino, rappresenta piuttosto un “atteggiamento interiore”, per utilizzare le parole di Kennet Meadows, dal quale dipende la scelta, da parte dell’uomo, di un determinato atteggiamento, azione o decisione. Tale runa “è la forza che genera il moto, l’azione ritmica, l’evoluzione ciclica a spirale. È la forza che consente il moto circolare della Terra attorno al sole e della luna attorno alla Terra, moto che, a sua volta, crea le divisioni temporali: il giorno e la notte, l’anno e le stagioni” (K. Meadows). Anche nei capitelli ritrovati ad Adrano, in contrada Mendolito, è possibile ammirare il simbolo runico della spirale e della croce di S. Andrea inscritta in un cerchio; inoltre si consideri che i Sicani utilizzavano sia il calendario solare che lunare, come si evince dalle Verrine di Cicerone. La croce di S. Andrea corrisponde alla runa GHIFU ᚷ.
Se dovessimo interpretare la simbologia che ruota attorno alla città di Adrano alla luce delle teorie del runologo K. Meadows, saremmo costretti ad ammettere che la città fu, in epoca sicana, l’epicentro religioso da cui si irradiava l’armonia che avrebbe portato all’equilibrio con la natura e dunque alla stabilità del tempo e delle stagioni. La runa GHIFU era considerata la runa di Thor, il dio della folgore e del tuono, che impedisce alle forze iniziali del caos di riappropriarsi dell’universo. La runa ᚱ, il cerchio o ruota, è la forza luminosa del lampo e dell’illuminazione, della stessa luce che, negli anni ottanta del secolo scorso, baciando ancora copiosa il territorio sede dell’antico tempio di Adrano, risvegliandone lo spiritus loci, indusse l’Europa a fondare in tale territorio, dal quale si irradiava nel passato la luminosità del padre degli déi, la prima centrale solare, Eurelios.
Prof. Francesco Branchina