MACAONE
Μαχάων, figlio di Asclepio e di Epione, fratello di Podalirio, educato dal centauro Chirone, che fece di lui un esperto chirurgo. Insieme col fratello Podalirio (anch'esso medico) partecipò, insieme agli Achei, alla guerra di Troia, durante la quale curò e guarì Menelao e Filottete. Fu uno dei guerrieri che si rinchiusero dentro il cavallo di legno. Venne ucciso durante un combattimento da Euripilo. I Messeni gli eressero un tempio sulla tomba, e lo invocavano per guarire dalle malattie.
MACEDONIA
Μᾰκεδονία, personificazione dell'omonima regione. Figlia di Zeus e di Tia, discendende di Deucalione.
MACROBI
Μακρόβιοι, (dalla lunga vita). Fantastico e opulento popolo identificato in diversi luoghi quali Etiopia, Macedonia nei pressi di Uranopoli, Apollonia e altre città, o in India. Secondo il mito la loro vita durava mille anni in piena giovinezza e immuni da ogni male. Si nutrivano di erbe e dalla rugiada traevano la bevanda che dava loro lunga vita. Al compiersi del loro ciclo vitale, senza rimpianti per le cose mortali, passavano dolcemente dal sonno alla morte.
MAIA
Μαῖα, nome di diversi personaggi:
1) La maggiore delle sette Pleiadi, figlia di Atlante e di Pleione. Zeus si unì a lei e la rese madre di Ermes che partorì in una grotta del monte Cilene. Ecco come il IV Inno omerico a “Ermes” ce la descrive così:
ninfa pudica
di belle trecce adornata, d'amore
stretta con Zeus. Ella dei numi beati
schivava la schiera abitando in un antro
opaco, dove alla ninfa si univa in amore
nell'alta notte il Cronide lontano
dai numi immortali e dagli uomini
mentre nel sonno soave Era giaceva.
2) La Maia dei Romani era moglie di Vulcano e annunciava la primavera;
3) La Maia indiana era madre della Trimurti e del dio dell'amore Kamadewa.
MANIA
Μᾱνία, così erano chiamate le Erinni. Mania era la personificazione della pazzia.
MANTO
Μαντώ, figlia di Tiresia, come il padre, ebbe grandi capacità profetiche. Nonostante ciò non riuscì colle sue predizioni ad impedire che Tebe cadesse sotto gli attacchi degli Epigoni. Secondo una versione del mito, Manto viene condotta in Asia dove diviene moglie di Racio e madre di Mopso. Un'altra versione vuole che Manto arrivi in Italia a rendere oracoli nella città di Mantova che da lei ne prende il nome.
MARMACE
Μάρμαξ, fu il primo a presentarsi come pretendente alla mano di Ippodamia, e come tale fu il primo ad essere stato ucciso da Enomao.
MARONE
Μάρων, sacerdote di Apollo a Ismaro, città dei Ciconi.
Dopo che Ulisse ebbe lasciato Ilio, approdò nella terra dei Ciconi e la saccheggiò.
Ulisse considerò che essendo Marone un sacerdote di Apollo, non era conveniente attirarsi le ire del dio uccidendo un suo sacerdote, quindi impedì che i suoi uomini facessero del male a Marone e ai suoi familiari.
Marone gli donò per gratitudine dodici anfore del suo portentoso vino, unico al mondo: era di una tale forza che per poterlo bere senza ubriacarsi, ogni coppa doveva essere allungata con dodici parti di acqua.
MARPESSA
Μάρπησσα, figlia di Eveno, fu amata da Apollo: ma Ida, figlio di Afareo, la rapì su un carro alato, dono di Posidone. Allora, Eveno, saltò sul carro e lo inseguì; ma quando giunto al fiume Licorma e resosi conto che non gli era possibile proseguire, sgozzò i suoi cavalli e si gettò nel fiume, che da quel giorno, in suo onore, fu chiamato Eveno. Intanto Ida era arrivato a Messene, dove Apollo si scontrò con lui per strappargli Marpessa. Mentre combattevano per averla, Zeus interruppe il loro duello, e disse alla fanciulla di scegliere lei quello che voleva per marito: e Marpessa, temendo che, nel diventar vecchia, Apollo l'avrebbe abbandonata, preferì Ida.
MARSIA
Μαρσύας, satiro (o Sileno della Frigia, spesso associato ai personaggi del corteggio di Cibele), genio delle sorgenti e dei fiumi dell’Asia Minore, famoso suonatore di flauto a quanto pare suonava lo stesso flauto inventato da Atena e che la dea buttò via quando si accorse che suonandolo gli si gonfiavano le guance in modo grottesco rendendola ridicola agli occhi degli dèi.
Essendo lo strumento di origine divina, non poteva che emetteva delle dolci melodie. Marsia non rendendosi conto che non era lui a suonare bene, ma lo strumento, si montò la testa anche perché i contadini (incompetenti), osavano dire che Marsia suonava meglio di Apollo e che il dio con la sua lira non sarebbe riuscito a fare di meglio.
Il dio risentito e offeso in quello che era la sua arte sfidò il povero Marsia in una gara musicale dove il vincitore avrebbe potuto punire il vinto nel modo che più gli gradiva.
Il satiro ingenuamente accettò la sfida e come era presumibile visto che a giudicare erano le Muse, che erano legate ad Apollo, Marsia perse. Apollo ancora offeso lo legò ad un albero e lo scorticò.
Dopo la sua morte, fu mutato in fiume.
«Perché mi scortichi vivo?» urlava;
«Mi pento, mi pento! Ahimè, non valeva tanto un flauto!».
Urlava, mentre dalla carne la pelle gli veniva strappata:
altro non era che un'unica piaga. D'ogni parte sgorga il sangue,
scoperti affiorano i muscoli, senza un filo d'epidermide
pulsano convulse le vene; si potrebbe contargli le viscere
che palpitano e le fibre che gli traspaiono sul petto.
Lo piansero le divinità dei boschi, i Fauni delle campagne
e i Satiri suoi fratelli, lo piansero Olimpo a lui sempre caro
e le ninfe, e con loro tutti quanti su quei monti
pascolano greggi da lana e armenti con le corna.
Di quella pioggia di lacrime s'intrise la terra fertile,
che in sé madida le accolse, assorbendole nel fondo delle vene;
poi mutatele in acqua, le liberò disperdendole nell'aria.
Da lui prende il nome quel fiume che tra il declinare delle rive
corre rapido verso il mare, Marsia, il più limpido della Frigia.(Ovidio, Metamorfosi VI, 382 ss.)
MEDEA
Μήδεια, figlia del re di Colchide Eeta e di Idia una delle Oceanine, sorella di Absirto e nipote della maga Circe e del dio Elios.
Aiutò Giasone a superare le prove che gli permisero di conquistare il Vello d'oro e lo seguì a Iolco dopo averlo sposato a Drepane.
Con il pretesto di rendergli vigore e giovinezza, convinse le figlie dell’ usurpatore Pelia a fare a pezzi e a bollire il corpo del padre e per questo dovette rifugiarsi con il marito a Corinto.
Qui Giasone l'abbandonò per sposare la figlia del re, Creusa o Glauce, alla quale Medea donò una veste stregata che si incendiò appena venne indossata dalla fanciulla; per rendere più spietata la sua vendetta, uccise anche i due figli avuti da Giasone.
Fuggì poi ad Atene su un carro trainato da serpenti alati e divenne la moglie di re Egeo.
Fu smascherata da Teseo e tornò in Colchide dove regnò sulle terre del padre.
È l'autrice della dodicesima lettera delle Eroidi di Ovidio, della quale per il contenuto poetico ne riporto un breve stralcio dell'inizio e uno della fine:
...Esule, senza mezzi, disprezzata, Medea scrive al novello sposo, o forse non hai tempo libero dagli impegni del regno?
Eppure mi ricordo: io, regina di Colchide, tralasciai i miei impegni, quando chiedesti che la mia arte ti venisse in aiuto! Le sorelle che regolano i destini dei mortali, avrebbero dovuto svolgere allora fino in fondo il mio fuso; allora io, Medea, avrei potuto morire degnamente...
...Va' ora, disonesto, fa' il confronto con le ricchezze di Sisifo! Che tu viva, che abbia una sposa ed un suocero potente, il fatto stesso che tu possa essere ingrato, persino questo, è merito mio.
A loro veramente fra poco..
ma a cosa serve preannunciare un castigo? L'ira genera enormi minacce. Andrò dove mi porterà l'ira. Forse mi pentirò del mio operato, così come mi pento di avere avuto cura di un marito infedele.
Si occupi di queste cose il dio, che ora sconvolge il mio cuore. Di sicuro la mia mente sta meditando non so che di spropositato... Guarda un'altra immagine
Ovidio, Eroidi - Medea a Giasone
Una versione poco conosciuta narra che: Zeus si sarebbe innamorato di Medea, ma Medea, temendo la gelosia di Era, respinse quell'amore. Era allora, per ricompensare Medea, le avrebbe promesso di rendere immortali i suoi figli, se li avesse portati nel suo tempio.
MEDUSA
Μέδουσα, una delle Gorgoni, l'unica mortale delle tre, figlia delle divinità marine Forco e Cheto.
Era in origine una bella fanciulla, ma le sue chiome vennero tramutate in serpenti da Atena che volle punirla per essersi concessa a Poseidone in uno dei templi dedicati alla dea. Il suo aspetto era diventato così tremendo che chiunque la guardava in faccia diventava di pietra. Per questo Perseo, quando le tagliò la testa, ricorse a un lucido scudo di bronzo su cui si rifletteva l'immagine del mostro.
Anche recisa, la testa di Medusa manteneva i suoi terribili poteri tanto che, col solo mostrarla, Perseo annientò Fineo che voleva impedirgli di sposare Andromeda. Guarda altra immagine
Atlante, secondo alcune versioni, sarebbe stato vittima dello stesso sortilegio.
Dopo varie vicende, la testa di Medusa fu collocata da Atena al centro del proprio scudo.
Ecco come con la testa di Medusa nacquero i Coralli: L'eroe intanto attinge acqua e si lava le mani vittoriose;
poi, perché la rena ruvida non danneggi il capo irto di serpi
della figlia di Forco, l'ammorbidisce con le foglie, la copre
di ramoscelli acquatici e vi depone la faccia di Medusa.
I ramoscelli freschi a ancora vivi ne assorbono nel midollo
la forza e a contatto col mostro s'induriscono,
assumendo nei bracci e nelle foglie una rigidità mai vista.
Le ninfe del mare riprovano con molti altri ramoscelli
e si divertono a vedere che il prodigio si ripete;
così li fanno moltiplicare gettandone i semi nel mare.
Ancor oggi i coralli conservano immutata la proprietà
d'indurirsi a contatto dell'aria, per cui ciò che nell'acqua
era vimine, spuntandone fuori si pietrifica (Ovidio, Metamorfosi, IV).
Pausania, su di essa, mettendo da parte la leggenda, ci racconta anche questo: ella era figlia di Forco e alla morte del padre suo fu regina di quella gente che abitava intorno al lago Tritonide; era solita andare a caccia e guidava alle battaglie i Libi; e anche allora, posto il campo con l'esercito contro le forze di Perseo, anch'egli, infatti, era seguito da truppe scelte del Peloponneso, fu di notte uccisa a tradimento. E Perseo anche nel suo corpo esanime ne ammirò la bellezza e perciò, recisale la testa, se la portò per mostrarla ai Greci.
MEGALARTO
Μεγάλαρτος, (Dai grandi pani) Considerato l'inventore del sistema per trasformare il grano in pane.
MEGARA
Μεγάρα, figlia di Creonte re di Tebe, e moglie di Eracle. Mentre questo eroe era disceso negl'Inferi, Lico credendo che Eracle non ritornasse più, volle impadronirsi di Tebe, e per questo tentò di forzare Megara a sposarlo, ma l'eroe ritornato in tempo, uccise Lico. Era sdegnata per la morte di Lico, e perché odiava Eracle quale prova vivente dei continui tradimenti di Zeus, lo fece impazzire, e secondo la versione euripidea ("Eracle furente"), colto da improvvisa pazzia uccise Megara e i figli da lei avuti.
MEGARO
Μεγάρος, figlio di Zeus, si salvò dal diluvio universale rifugiandosi sulla cima del monte Gerania, seguendo il richiamo di alcune gru.
MEGÈRA
Μέγαιρα, una delle tre Erinni.
MELAMPO
Μέλαμπος, (Dal piede nero) Figlio di Amitaone e nipote di Creteo.
Fu il primo mortale cui Apollo concesse il dono di trarre profezie dalle viscere di animali, il primo ad esercitare l'arte medica, il primo che in Grecia eresse un tempio a Dioniso.
Capiva anche il linguaggio degli uccelli; questa proprietà gli era venuta da una nidiata di serpenti che, per sdebitarsi con lui che li aveva salvati dalle mani di un servo, gli avevano leccato gli orecchi.
Suo fratello Biante era innamorato della loro cugina Pero, ma il padre di lei, Neleo, voleva dargliela soltanto in cambio del bestiame del re Filace.
Quel re, era così geloso della sua mandria che non pensava lontanamente a venderla, e la custodiva tanto bene che non c'era nemmeno da pensare a rubarla. Ma più ancora amava suo figlio Ificlo, e il suo maggiore cruccio era che il figlio fosse impotente.
Allora Melampo si fece promettere da re Filace la famosa mandria contro la guarigione di Ificlo; la cosa gli riuscì tanto bene che Ificlo generò ben presto un figlio, Podarce. Padre e nonno felice, Filace diede a Melampo il bestiame, questi lo passò a Neleo in cambio di Pero che Melampo generosamente cedette a Biante.
Così furono contenti tutti; ma la felicità non doveva durare a lungo, perché Pero morì giovane. Ora avvenne che le tre figlie - Lisippe, Ifinoe e Ifianassa - di Preto, figlio di Abante, che assieme ad Acrisio regnava sull'Argolide, venissero colpite per decreto divino da pazzia.
Non si sa di preciso cosa avessero commesso: forse avevano schernito Dioniso, forse avevano suscitato la collera di Era per certi loro amorazzi. Fatto sta che furiose giravano per i monti, comportandosi in modo abominevole e costringendo i viandanti a soddisfare le loro brame.
Melampo offrì a re Preto di riportate le sue figliuole alla ragione chiedendo come parcella un terzo del suo regno. Preto, pensando che tre pazze in famiglia fossero sufficienti, non volle mettersi nel mezzo anche lui e respinse la richiesta esorbitante.
Melampo non insistette. Ma la pazzia contagiò le altre donne di Argo; molte uccisero i loro bimbi e seguirono le figlie di Preto sui monti.
Allora Preto fece sapere a Melampo che aveva ripensato e accettava la proposta.
« Maestà », ridacchiò Melampo, « prima si trattava di guarire tre donne, adesso ce ne sono molte di più.
Anche facendo uno sconto sulla quantità, voglio ora due terzi del tuo regno: uno per me e uno per mio fratello Biante. Gli affari, sire, sono affari ».
A Preto non restò che accettare le condizioni iugulatoríe, e Melampo, messosi subito all'opera, riuscì con mezzi piuttosto sbrigativi a riportare le donne di Argo e le figlie di Preto alla ragione.
Preto fu di parola cedendo a Melampo e Biante i due terzi del regno, dando per soprammercato - fu generosità o risentimento? Lisippe in sposa a Melampo e Ifianassa a Biante.
MELEAGRO
Μελέαγρος, figlio di Eneo (Oineo) e di Altea (alcuni dicono figlio di Ares), re e regina di Calidone.
Quando Meleagro compì sette anni, apparvero le Moire, Cloto e Lachesi predissero che Meleagro sarebbe cresciuto forte e magnanimo, ma Atropo (la inflessibile),disse che Meleagro sarebbe morto quando il tizzone che era nel focolare si fosse completamente consumato.
A queste parole Altea corse a togliere il tizzone dal fuoco, e lo custodì in una cassa. Meleagro diventò grande, invulnerabile nel corpo e di spirito nobile.
Ma tutto ha una fine, e adesso vediamo come avvenne la fine del nostro eroe: Era arrivato il tempo di sacrificare agli dèi le primizie del raccolto, Eneo compì i riti in onore di tutte le divinità, ma ahimè si dimenticò di Artemide.
La dea infuriata mandò un cinghiale enorme e fortissimo, che devastava la campagna e uccideva tutte le bestie e le persone che incontrava. Eneo chiamò allora da tutta la Grecia gli uomini più valorosi, promettendo in premio la pelle del cinghiale a chi fosse riuscito a ucciderlo.
Ecco l'elenco dei partecipanti alla spettacolare caccia: Meleagro, figlio di Eneo; Driante figlio di Ares; Ida e Linceo, figli di Afareo; Castore e Polluce, figli di Zeus e Leda; Teseo, figlio di Egeo, Admeto figlio di Ferete; Anceo e Cefeo, figli di Licurgo; Giasone, figlio di Esone; Ificle, figlio di Anfitrione; Piritoo, figlio di Issione; Peleo, figlio di Eaco; Telamone, figlio di Eaco; Euritione, figlio di Attore; Atalanta, figlia di Scheneo; Anfiarao, figlio di Oicleo; e tantissimi altri eroi fra i quali i figli di Testio.
Eneo ospitò tutti i convenuti per nove giorni; quando poi giunse il decimo giorno, Cefeo, Anceo e altri ancora si rifiutarono di partecipare alla caccia insieme a Atalanta: ma Meleagro, pur essendo sposato con Cleopatra, desiderava Atalanta, e così obbligò tutti a partecipare alla caccia, nonostante la presenza della dolce fanciulla. Il cinghiale circondato riesce a sfuggire uccidendo Ileo e Anceo, e Peleo, senza volerlo, colpisce Euritione con la sua lancia.
Atalanta per prima riesce a colpire con una freccia la schiena del cinghiale, poi Anfiarao lo colpì in mezzo agli occhi ed infine Meleagro lo finì con la sua lancia.
La pelle quindi spettò a lui, egli volendo fare il galante la donò ad Atalanta. Ma i figli di Testio, indignati che una donna ottenesse il premio al posto degli uomini, le portarono via la pelle, sostenendo che spettava comunque alla loro famiglia, se Meleagro non voleva tenerla per sé.
Meleagro vedendo così andare in fumo i suoi piani di conquista della ragazza, si infuriò, uccise i figli di Testio e restituì la pelle alla tanto desiderata Atalanta.
Fu così che Altea, afflitta dalla morte dei suoi fratelli, fra atroci sofferenze e tentennanze fece bruciare tutto il tizzone, e così Meleagro morì all'istante. Un'altra versione narra che quando i figli di Testio reclamarono la preda sostenendo che il primo colpo era stato quello di Ificle, fra Cureti e Calidoni scoppiò una guerra.
Meleagro riuscì a venir fuori dalla città assediata, e uccise alcuni dei figli di Testio: Altea allora gli lanciò una maledizione, e Meleagro, per la rabbia, si chiuse in casa. I nemici erano ormai sotto le mura della città, e la gente implorava l'aiuto di Meleagro: sua moglie Cleopatra riuscì infine a convincerlo, Meleagro uccise anche gli altri figli di Testio, ma poi cadde anch'egli in battaglia. Dopo la sua morte, Altea e Cleopatra si impiccarono, e tutte le donne che piangevano il cadavere di Meleagro vennero trasformate in uccelli, (le galline faraone). Si narra che ancora oggi esse portino, durante la bella stagione, il lutto di Meleagro.
Per approfondimenti vedi: Omero, Iliade IX, 529-599; Bacchilide, Epinici 5, 93 ss.; Eschilo, Coefore 604 ss.; Ovidio, Metamorfosi VIII, 270 ss, Apollodoro, Biblioteca I,.
MELIA
Μελία, figlia di Oceano, Apollo la mise incinta di Tenero che divenne un noto veggente.
MELIADI
Μηλιάς, ninfe dei frassini, nate dal sangue sparso da Urano quando venne evirato. Tutelavano le greggi.
Nè fu che senza effetto gli uscissero quelle di mano; però che quante lí ne sprizzarono stille di sangue, le accolse tutte quante la Terra; e col volger degli anni, l'Erinni generò tremende, e gl'immani Giganti, lucidi in armi, strette nel pugno le lunghe zagaglie, e quelle Ninfe che Mèlie son dette sovressa la terra
MELICÈRTE
Μελικέρτης, figlio di Atamante e di Ino. Fu trasformato in un dio marino, col nome di Palemone, dopo essersi buttato in mare insieme alla madre per sfuggire alla furia del padre impazzito.
Ino fu poi divinizzata sotto il nome di Leucotea (la Dea Bianca), e Melicerte sotto il nome di Palemone, rappresentato generalmente in groppa a un delfino: sono entrambi divinità dei naviganti, e in onore di Melicerte vennero istituiti da Sisifo i Giochi Istmici di Corinto.
Ma Venere, turbata dall'ingiusta disgrazia della nipote, così blandisce lo zio: «O nume delle acque, che in dote hai un potere quasi pari a quello celeste, Nettuno, grande è il favore che ti chiedo, ma abbi tu pietà dei miei, che vedi travolti nell'immensità dello Ionio, e assumili fra i tuoi numi. Una grazia almeno mi spetta dal mare, se è vero che un tempo nei suoi abissi dalla spuma fui concepita e che il mio nome in greco da quella deriva». Nettuno acconsente alla preghiera: rimuove in loro la natura mortale, vi infonde la dignità degli altari, e con l'aspetto ne muta il nome chiamando Leucòtea la madre, dio Palèmone il figlio Ovidio, Metamorfosi IV, 481 ss.
Per approfondimenti: Diodoro Siculo 4, 47; Igino, Favole 1-5 e Astronomia poetica 2, 20; Erodoto 7, 197; Pausania 1, 44, 7 ss. e 9, 34, 4-5; Nonno, Dionisiache X, 1 ss.
MÈLISSA
Μέλισσα, figlia del re di Creta, Melisseo, e sorella di Amaltea. Allevò Zeus fanciullo, nutrendolo col miele. Rispettivamente raffigurano: Amaltea (Ἀμάλθεια) la capra; Melissa (Μέλισσα) l'ape; Kynosura (Κῠνόσουρα) l'orsa, che a Creta educarono Zeus che in seguito per ricompenza le mutò in Ninfe e costellazioni.
MELOBOSIDE
Μηλόβοσις, una delle Ninfe Oceanine.
MÈMNONE
Μέμνων, figlio di Titone e di Eos (l'Aurora); partecipò, quale re degli etiopi, alla guerra di Troia, in aiuto di Priamo, di cui era nipote.
Anche lui come Achille, era munito di armi divine forgiate da Efesto. Quando stava per affrontare Achille, le due dee, madri dei due guerrieri, andarono da Zeus a perorare la causa dei loro figli che stavano per uccidersi.
Zeus pesò i destini dei due eroi sulla bilancia del fato e vide il piatto con il destino di Memnone inclinare verso la terra e la morte.
Dopo un lunghissimo duello Memnone perì sotto i colpi del fortissimo Achille.
Dalle ceneri del corpo di Memnone, sorsero degli uccelli, che furono chiamati “memnonidi”: questi uccelli ogni anno ritornano nella pianura di Troia e, volteggiando intorno al sepolcro di Memnone, lottano tra loro col becco e con gli artigli, sinché molti precipitano morti sopra il tumulo, offrendo all'eroe il loro sangue.
Ecco come Ovidio narra le suppliche di Eos al grande padre Zeus, perché gli salvi il figlio:
«Inferiore a tutte le dee che vivono nell'etere dorato (pochissimi in tutto il mondo sono i templi a me consacrati), ma come dea vengo, non perché tu mi conceda sacrari, giorni di sacrifici o altari che si accendano di fuochi (eppure, se tu considerassi quali servigi, benché femmina, ti rendo, quando all'alba limito i confini della notte, mi riconosceresti un premio); ma non pensa a questo Aurora, né ora è nello spirito di pretendere gli onori che le spettano. Perché ho perso il mio Mèmnone, che per essersi con valore battuto in favore di suo zio Priamo, è morto nel fiore degli anni, ucciso (voi l'avete voluto) dal forte Achille, qui, qui, vengo. A lui, ti prego, concedi qualche onore a conforto della morte, o supremo signore degli dèi, e allevia il mio strazio di madre!»
Stranezza del mito: Eos, riuscì ad ottenere per lui l'immortalità.
MENADI
Μαινάδες, (furiose, invasate) uno degli epiteti delle Baccanti che partecipavano ai riti orgiastici in onore di Dioniso. La parola allude al frenetico agitarsi in corse e danze licenziose, invasate dal nume.
MENECEO
Μενοικεύς, diiversi gli eroi con questo nome, noi ci occuperemo solo del più eroico, di quello che diede la vita per la patria.
Tiresia aveva predetto ai Tebani che avrebbero vinto se Meneceo, figlio di Creonte e nipote di Giocasta, si fosse offerto in sacrificio ad Ares. Sentito questo, Meneceo si sgozzò davanti alle porte della città. Ecco come il nostro eroe congeda il padre dopo averlo rassicurato che mai si sarebbe ucciso per la salvezza di Tebe:
Ben dici, o padre. Or va. Da tua sorella
mi recherò frattanto io, da Giocasta,
onde il latte succhiai, ché di mia madre
privato io fui bambino, orfano fui,
per salutarla e per condurmi in salvo.
Ma va': non fare ch'io per te ritardi.
(Creonte s'allontana. Menecèo si rivolge al coro)
Donne, cosí del padre ogni sospetto
sventai coi miei discorsi, onde ora posso
effettuare il mio disegno. Ei vuole
allontanarmi, e la città privare
della salvezza, e indurmi a codardia.
E perdonar bisogna un vecchio; ma
io di perdono degno non sarei,
se tradissi la patria onde pur nacqui.
Io dunque andrò, sappiatelo, farò
salva la mia città, darò la vita
per questa terra. Assai turpe sarebbe,
se quei che immuni sono d'ogni oracolo,
né son costretti dal voler dei Dèmoni,
saldi alle torri innanzi rimanessero,
senza schivar la morte, e combattessero
per difender la patria; ed io, tradito
il mio fratello, il padre mio, la patria,
dalla terra fuggissi a mo' d'un vile:
vile, ovunque vivessi, io sembrerei.
No, per Giove che siede in mezzo agli astri,
e per Marte cruento, onde gli Sparti
dal suol nati, di Tebe ebber l'impero.
Andrò, starò sovra gli eccelsi spalti,
e nel profondo oscuro antro del drago
che il profeta indicò, m'ucciderò,
e la patria farò libera. (Euripide, Fenicie)
MENELAO
Μενέλᾱος, figlio di Atreo, il re di Micene, e fratello di Agamennone. Quando sposò Elena, ricevette da Tindareo il trono di Sparta. Ed è proprio Elena, rapita da Paride e causa della guerra di Troia, a dare celebrità a Menelao, che altrimenti sarebbe stato a noi sconosciuto. Durante il conflitto Menelao mise in luce tutto il suo valore: si scontrò con Paride, e lo avrebbe certamente ucciso, se Afrodite non glielo avesse sottratto avvolgendolo in una nube; fra i nemici più valorosi egli uccise Deifobo e Euforbo. Alla caduta di Troia si riconciliò con la moglie e fu il primo a lasciare con le sue navi le terre troiane. Così come Ulisse, anche lui per ritornare in patria dovette affrontare delle lunghe peregrinazioni e sofferenze, infatti erano già passati sette anni dalla sua partenza da Troia e ancora non era arrivato in patria. Finalmente all’inizio dell’ottavo anno incontrò la ninfa Idotea figlia di Proteo (divinità marina).
La giovane impietosita dalle tristi avventure di Menelao, gli suggerì come costringere Proteo a dirgli cosa doveva fare per potere finalmente ritornare in patria. Dopo avere seguito le istruzioni del vecchio Proteo e dopo otto anni di peregrinazioni, arrivò finalmente nella sua Sparta, dove da quel momento condusse un'esistenza tranquilla. Riguardo alla sua morte le tradizioni sono varie: sarebbe stato condotto nei Campi Elisi, oppure in Tauride dove Ifigenia lo avrebbe sacrificato alla dea Artemide.
MENEZIO o MENETIO
Μενοίτιος, titano figlio di Iapeto, fu da Zeus fulminato per avere preso parte alla rivolta dei Titani.
MENTA
μίνθᾰ / μίνθη, per essere stata amata da Ade fu da Persefone calpestata e mutata nell'omonima erba aromatica. Era figlia del dio fluviale Cocìto.
Curiosità: il suo soprannome era eyodsmos (εὔοδμος ) che significa odoroso, con riferimento al suo profumo.
MENTORE
Μέντωρ, vecchio e saggio uomo di Itaca, Ulisse lo incaricò dell'educazione di Telemaco, quando partì per la guerra di Troia. Nell'Odissea, Atena, assunte le sembianze di Mentore, accompagnò Telemaco nel viaggio alla ricerca del padre. Oggi questo nome indica colui che è maestro saggio e consigliere fidato.
MERMERO e FERETE
Μέρμερος καί Φέρης, erano i due figli di Medea, supplici presso il recinto di Era Acrea, furono da lì strappati e lapidati dai corinzi per avere portato a Glauce i doni funesti di Medea.
Poiché i corinzi violarono il sacro recinto di Era ignorando il sacro asilo dei due giovani, la dea scagliò sui corinzi una maledizione che suscitò morte contro gli infanti figli dei corinzi, finché dietro suggerimento dell'oracolo non istituirono dei sacrifici che avevano cadenza annuale.
MEROPE
1) Μερόπη, una delle Pleiadi andò in sposa a Sisifo. E proprio per avere sposato un mortale, brilla di luce rossa al contrario delle sorelle che ebbero sposi divini.
2) Principessa di Chio, fu violentata da Orione, il padre di Merope, Enopione per vendicarsi l’accecò con l'aiuto di Dioniso.
3) Una delle sorelle di Fetonte.
4) Indovino padre della giovane Enippe. Questa, spinta dal dolore per la morte dello sposo, s’impiccò per la disperazione (o forse morì di dolore). Le Ninfe del luogo si riunirono a piangerla e dalle loro lacrime si formò una sorgente che prese il nome della fanciulla.
5) Figlia di Cipselo re di Tracia e moglie di Cresfonte re di Messene che Polifonte uccise con due dei suoi figli usurpandogli il trono. Fu inoltre costretta a diventare moglie di Polifonte; salvò dall'eccidio il figlioletto Epito, che non appena cresciuto vendicò la sua famiglia e riprese il trono.
MÈSSAPO
Μέσσαπος, eroe beota che, giunto in Italia meridionale dette il nome al popolo messapico.
MESSENE
Μεσσήνη, figlia del re di Argo, Triopa, e moglie di Policaone figlio di Lelege. Messene, orgogliosa per via del ricco e potente padre, ritenendo poco decoroso essere sposa di un semplice cittadino, raccolse quindi un esercito da Argo e uno da Sparta e si trasferì con il marito. La terra in cui andarono a vivere fu chiamata Messenia in suo onore. Vennero fondate varie città e, dopo la battaglia di Leuttra che vide antagonisti Tebani e Spartani, venne fondata ai piedi dell'Itome la città di Messene.
METE
Μέθη, l'ebbrezza, divinità ovviamente strettamente connessa a Dioniso e con lui venerata.
MÈTI
Μῆτις, Mètide o Metis, personificazione della saggezza, della prudenza e figurazione dell'intelligenza che tutto muta e trasforma; figlia di Oceano e di Teti. Aveva la capacità di mutarsi in tutte le forme che voleva. Zeus si unì a lei, che inutilmente aveva tentato di sfuggirgli assumendo forme diverse. Rimasta incinta, Zeus con l'inganno, la inghiottì prima che potesse partorire. Infatti aveva predetto che avrebbe avuto una bambina ma se dopo aver partorito una seconda volta, sarebbe stato un maschio, questi era destinato a diventare il padrone del cielo.
Secondo Esiodo (Teogonia, 886 e sgg.), fu la prima sposa di Zeus.
MIAGRO
Μύαγρος, divinità dal compito alquanto insolito di scacciare le mosche era chiamato anche col nome di Miode.
MIDA
Μίδας, re di Bromio. Ospitò Sileno che ubriaco si era addormentato nel suo giardino e poi lo riportò da Bacco che per ricompensarlo della sua cortesia gli fece esprimere un desiderio, Mida, scioccamente scelse di poter mutare in oro tutto quello che toccava. Accortosi che rischiava di morire di fame perché anche i cibi e le bevande che cercava di portare alla bocca diventavano d'oro, andò a cercare Bacco e gli chiese di togliergli quel dono troppo scomodo.
Bacco divertito gli disse di lavarsi le mani nelle sorgive del fiume Pàttolo e così fatto, Mida ritornò alla normalità. Da allora il fiume divenne ricco di pepite d’oro. Ma l’uomo è destinato a sbagliare e a perseverare nell’errore. Infatti, scelto come giudice di una gara musicale fra Pan e Apollo al contrario del monte Tmolo anche lui giudice di gara, Mida votò per Pan provocando l'ira di Apollo. Il divino musicista per punire Mida, gli fece crescere delle lunghe orecchie di asino. Il re, vergognandosi della sua nuova condizione, si coprì il capo con un grande cappello frigio per non far vedere al popolo le sue mostruose nuove orecchie. Disgraziatamente per lui, anche i re hanno bisogno dei barbieri e così dovette mostrare il suo stato, imponendo però il segreto al suo barbiere. Ovidio ci narra come il segreto di Mida fu svelato al popolo:
: Ma il servo, che era solito tagliargli con la lama i capelli troppo lunghi, le vide, e smanioso di divulgare la notizia, non osando rivelare la deformità che aveva scoperto, eppure non riuscendo a tacere, si appartò e, scavata una buca, con un filo di voce, mormorando, riferì alle viscere della terra che razza di orecchie aveva visto al padrone. Poi seppellì il segreto rivelato, coprendo com'era prima il terreno, e occultata quella buca, se ne andò alla chetichella. Ma in quel luogo cominciò a spuntare una fitta macchia di canne tremule, che in capo a un anno fu tutto un rigoglio e tradì il seminatore: agitata dalla brezza, riferiva le parole sepolte, divulgando che orecchie aveva il padrone (Metamorfosi, XI).
MILETO
Μίλητος, e fondatore della omonima città, figlio di Apollo e di Aria (figlia di Cleoco). Crescendo il bimbo divenne un bellissimo fanciullo, allora Minosse cercò di violentarlo. Il giovane dietro consiglio di Sarpedone fuggì fino ad arrivare in Caria, dove fondo la città di Mileto. Qui il giovane re sposò Eidotea (figlia di Eurito) che gli diede i due gemelli, Bibli e Cauno. Una variante del mito lo dà come figlio di Apollo e di Acacalle (figlia di Minosse). In questa variante il bambino fu esposto, nutrito dai lupi e successivamente allevato dai pastori (per il resto è uguale alla prima versione). Il povero Mileto non fu un genitore felice, poiché la bellissima figli Bibli si innamorò perdutamente del fratello Cauno. La giovane ninfa, tormentata dall'amore, rivelò al fratello la sua passione; questo, inorridito, si allontanò da Mileto e, così come il padre, fondò una città alla quale diede il proprio nome. Sulla sorte di Bibli le versioni sono diverse: una dice che si impiccò a una quercia e che dalle sue lacrime fosse nata una sorgente; la versione di A. Liberale narra che Bibli, non sopportando più il tormento amoroso, decise di precipitarsi dall'alto di una roccia. La poveretta si recò sulla montagna e tentò di gettarsi nel vuoto ma le Ninfe ne ebbero pietà e, dopo averla immersa in un sonno profondo, la trasformarono in una ninfa Amadriade e per colmare la misura, fecero sgorgare una fonte dalla roccia dalla quale si voleva precipitare. Alla fonte fu dato il nome di "Lacrime di Bibli".
Muta giace Bibli, tra le unghie stringe l'erba verde
e inonda tutto il prato d'un mare di lacrime.
Da quelle, si racconta, le Naiadi fecero sgorgare
una polla, che mai si potesse seccare: c'è dono migliore?
Subito, come la resina gocciola dalla corteccia incisa,
o come vischioso trasuda il bitume dal grembo della terra,
o come ai primi lievi soffi del Favonio, l'acqua,
cristallizzata dal gelo, si scioglie al sole,
così struggendosi in lacrime, Bibli, nipote di Febo,
si trasforma in fonte, che ancor oggi in quelle vallate
porta il nome della sua signora e sgorga ai piedi di un leccio scuro (Ovidio, Metamorfosi IX).
MINIADI
Μινυάδες, erano le figlie di Minia figlio di Orcomeno, esse erano: Leucippe, Arsippe e Alcatoe. Le tre ragazze erano eccessivamente laboriose e (passatemi il termine) zitellose, non facevano altro che cardare la lana e disprezzare le altre donne che festeggiando, lasciavano la città per andare appresso a Dioniso e alle baccanti. Un giorno Dioniso, preso l'aspetto di un giovane, esortò le figlie di Minia a non disertare e a non disprezzare il culto di Dioniso e i suoi misteri. Le ragazze non vollero prestargli attenzione dicendo che erano fedeli a una dea migliore, Atena. Allora il dio, irritato dal loro comportamento, si mutò prima in toro, poi in leone e poi ancora in pantera, mentre dai telai in suo onore colavano latte e miele. Di fronte a questi eventi le tre zitellone furono prese dalla paura e dalla follia, quindi Leucippe che in preda a questa follia aveva fatto voto di offrire una vittima al dio, con l'aiuto delle sorelle, fece a pezzi il proprio figlioletto Ippaso. Infine, pervase dal furore del dio, lasciarono la casa paterna e andarono sui monti al seguito delle Baccanti. Ma il dio non ancora contento della punizione che aveva inferto alle sventurate, le mutò in uccelli: una di loro divenne nottola, l'altra civetta, la terza gufo. E tutt'e tre fuggirono la luce del sole. Secondo Ovidio furono mutate in pipistrelli:
Le sorelle cercano un riparo nella casa invasa dal fumo,
chi in un luogo chi in un altro, per evitare le vampe del fuoco;
e mentre corrono al rifugio, fra gli arti atrofizzati si stende
una membrana e imprigiona loro le braccia in un velo sottile.
Le tenebre non permettono di capire come abbiano perso
l'aspetto primitivo. Non si librano con l'aiuto di penne,
eppure si sostengono con ali trasparenti,
e quando tentano di parlare emettono un verso fievole
a misura del corpo e si lamentano con sommessi squittii.
Abitano sotto i tetti, non nei boschi; odiando la luce,
volano di notte e prendono il nome dal vespro inoltrato (Metamorfosi IV)
Per approfondimenti A. Liberale, Metamorfosi n° 10; Eliano, Storie varie III, 42.
MINOSSE
Μίνως, figlio di Zeus e di Europa. La madre dopo essere stata abbandonata da Zeus sposò Asterio re di Creta e alla sua morte, Minosse pretese la successione al trono. Perciò, pregò Poseidone di mandarle egli stesso la vittima da sacrificare per la sua incoronazione; il dio per mostrargli il suo consenso, dal mare fece nascere un toro bianco. Era una bestia così bella che Minosse non volle sacrificare e lo sostituì con un altro toro. Così facendo, si tirò addosso lo sdegno di Poseidone che del toro ne fece il suo strumento di vendetta. Il dio fece in modo che Pasifae, moglie di Minosse, si innamorasse follemente di quel toro e la donna, per riuscire ad accoppiarsi, chiese a Dedalo di inventare qualcosa per rendere possibile la sua insana passione. E il geniale inventore trovò il sistema come fare accoppiare Pasifae col toro. Scaduto il tempo Pasifae partorì una creatura mostruosa dalla testa di toro e dal corpo umano che fu chiamato Minotauro. Minosse, per nascondere la prova di quel mostruoso tradimento, fece rinchiudere il mostro e la moglie nel Labirinto. Minosse ebbe parecchi figli, i più famosi furono Deucalione, Fedra, Arianna e l'atletico Androgeo, il giovane partecipò ai giochi delle feste Panatenaiche e risultò sempre vincitore su tutti i partecipanti. Egeo allora lo mandò a catturare il toro di Maratona, ma il giovane restò ucciso. Un'altra versione racconta che Androgeo si stava per recare a Tebe per prendere parte ai giochi in onore di Laio, ma i suoi avversari ateniesi, per invidia, gli tesero un agguato e lo uccisero. Per questo Minosse dichiarò guerra a Atene e, avuta la supremazia su questa città, a titolo di vendetta impose il tributo annuo di sette fanciulli e sette fanciulle da dare in pasto al Minotauro. Nonostante i vari miti aberranti su questo personaggio, Minosse governò Creta con saggezza e diede al popolo le leggi migliori, leggi suggeritegli dal padre Zeus. Ogni cento mesi si recava nell'antro dell'Ida per consultare il padre suo Zeus e in un colloquio a tu per tu, apprendeva gli errori commessi, si sottoponeva al giudizio paterno e riceveva le leggi migliori per il periodo futuro. I cretesi angosciati offrivano sacrifici per lui, perché se il dio era scontento faceva sparire il re. Purtroppo la sua fine non fu delle più felici. Morì in Sicilia quando, sulle tracce di Dedalo, fu ospitato nella corte di re Cocalo; le figlie di Cocalo, che avevano preso in cura Dedalo, per evitare che il padre lo consegnasse a Minosse, mentre questi faceva il bagno gli versarono addosso dell'acqua bollente e lo uccisero. Per la saggezza provata nell'amministrare la legge, quando Minosse giunse negli Inferi fu posto a giudice delle anime dei mortali, in questo compito era coadiuvato da Radamanto e Eaco.
MINOTAURO
Μινώταυρος, mostruoso essere nato per la punizione divina che Poseidone volle dare a Minosse. Minosse re di Creta e sposo di Pasifae, aveva chiesto al dio una vittima sacrificale da immolargli, allora Poseidone fece uscire dal mare un bellissimo toro bianco; Minosse vedendo la bellezza dell'animale volle tenerlo per sé e al dio sacrificò un'altro toro delle sue stalle; allora Poseidone irato fece innamorare Pasifae del toro da lui inviato. La donna smaniando per quell'insano desiderio incaricò Dedalo di inventare qualcosa per potere soddisfare le sue brame. Dedalo, allora, costruì una vacca di legno montata su ruote, con l'interno cavo e ricoperta da una pelle bovina; la collocò nel prato dove il toro era solito pascolare e Pasifae vi entrò dentro. Quando il toro le si avvicinò, la montò, come se fosse una mucca vera. Passato il tempo Pasifae partorì Asterio, chiamato Minotauro: era un essere con la testa di toro e il corpo di uomo. Minosse, seguendo l'indicazione di alcuni oracoli, lo tenne chiuso nel labirinto, una costruzione progettata da Dedalo, che con i suoi meandri aggrovigliati impediva di trovare l'uscita. L'infelice frutto dell'insano amore di Pasifae, rinchiuso nel Labirinto, per volere del crudele Minosse, si nutriva di sette fanciulle e di sette fanciulli che ogni anno (secondo altre versioni ogni sette o nove anni) Minosse esigeva da Atene come tributo. Teseo deciso a porre fine al mostruoso e crudele sacrificio, si offrì come vittima, ma in realtà era intenzionato uccidere il mostro e ci riuscì con l'aiuto di Arianna.
MIRMEX o MIRMECE
Μύρμηξ, ninfa prediletta da Atena che le avrebbe ispirato l'invenzione dell'aratro. Mirmex si vantò come se l'idea fosse stata tutta sua e la dea per punirla la mutò in formica.
MIRMIDONI
Μυρμῐδόνες, Egina accoppiandosi con Zeus ebbe il figlio Eaco. Dopo una terribile pestilenza, Eaco viveva da solo nell'isola di Egina (che prima si chiamava Enone). Non sopportando la solitudine Eaco prego il padre Zeus di dargli compagnia e Zeus, per accontentarlo, mutò le formiche in uomini che appunto da Mirmex (formica) vennero chiamati Mirmidoni
Qui noi scorgemmo una fila di formiche in cerca di semi, che portavano grandi fardelli con la bocca minuta e seguivano un loro sentiero fra le rughe della corteccia. Sbalordito dal loro numero: "Tu che sei il migliore dei padri," dissi, "colma il vuoto delle mura e dammi altrettanti cittadini". L'alta quercia fremette e i suoi rami stormirono senza che un alito... ...divido la città e i campi, lasciati dai contadini scomparsi, fra questi uomini nuovi, e li chiamo Mirmìdoni, perché il nome ne ricordi l'origine... (Ovidio, Metamorfosi VII).
Un’altra versione dice che essendo il terreno roccioso in superficie, gli uomini scavando come formiche riportavano la terra sulle pietre e abitavano poi nelle cavità ottenute dagli scavi.
MIRRA
Μύρρα, figlia di Cinira re di Cipro o di Tiante e di Orizia. Afrodite irata con la ragazza che mai sacrificava alla dea, per vendicarsi la fece innamorare del padre. Con l'aiuto della nutrice, la fanciulla dormì (se sonno si può chiamare) col padre per ben dodici notti senza che questi la riconoscesse. Cupido stesso nega, o Mirra, d'averti ferito con le sue frecce e del tuo crimine scagiona le sue fiaccole. Con una torcia dello Stige e con serpenti velenosi fu una Furia ad appestarti. Delitto è odiare il padre, ma questo amore è delitto peggiore dell'odio (Ovidio, Metamorfosi X). Ma, come ben sappiamo, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi: l'ultima notte che dovevano passare assieme, il padre accese una fiaccola e con orrore si rese conto con chi, per ben dodici notti, aveva fatto l'amore. Presa la spada la inseguì per ucciderla, stava già per raggiungerla quando Mirra invocò gli dèi chiedendo di nasconderla senza stare né tra i vivi né tra i morti. Gli dèi presi a compassione la tramutarono nell'albero a cui rimase il suo nome e le cui gocce di resina ricordano le amare lacrime da lei sparse. Al decimo mese la pianta si spaccò, e nacque il bambino di nome Adone. Secondo la versione di Ovidio, l'insana passione incestuosa di Smirna fu suscitata da Afrodite irritata perché la giovane era stata considerata dalla madre più bella della stessa dea. Adesso è mia intenzione farvi leggere un breve passo delle Metamorfosi che ci mostrano come la poveraccia si strugge e si dispera per tentare di resistere alla maledizione di Afrodite:
O dèi, pietà filiale, vincoli sacri dei parenti, vi supplico:
impedite quest'empietà, opponetevi al mio crimine,
ammesso che sia un crimine. Ma non pare che il rispetto
condanni questa unione. Gli altri animali si accoppiano
senza pensarci e non si ritiene turpe che una giovenca
si faccia montare dal padre; il cavallo sposa la figlia,
il capro si unisce alle capre che ha generato e la stessa femmina
degli uccelli concepisce da chi l'ha concepita.
Felici loro, che possono farlo! Gli scrupoli umani
hanno creato leggi perfide e princìpi astiosi vietano
ciò che natura ammette. Eppure si racconta che vi siano genti
tra cui la madre si accoppia al figlio, la figlia al padre,
e l'affetto tra i congiunti cresce per questo sommarsi d'amore.
Misera me, che non ho avuto in sorte di nascere lì,
ma dove non ho pace. Una continua ossessione, perché?
Via, via, sogni proibiti! Cìnira è degno, sì,
d'essere amato, ma come padre.
Che dire… se non, guai a quegli uomini che attirano su di loro l'ira e l’invidia divina.
MIRTILO
Μυρτίλος, figlio di Ermes e di Mirto, una delle amazzoni. Auriga di Enomao re di Pisa nell'Elide. C'è da sapere che Enomao era un famoso domatore di cavalli, figlio di Ares e padre di Ippodamia. Non volendo che la figlia si sposasse, poiché un oracolo gli aveva predetto che sarebbe stato ucciso dal genero, sfidava tutti i pretendenti a una gara sul cocchio e, dopo averli battuti, li uccideva. Pelope che aspirava alla mano di Ippodamia, per favorirsi la vittoria con varie promesse corruppe Mirtilo. Costui allettato dalle promesse, causò un incidente al re provocandone la morte e favorendo la vittoria di Pelope. Al momento però di ricevere il dovuto per il suo gesto, fu fatto precipitare nel mare Egeo in un tratto che prese il nome di Mirtoo. Le sue maledizioni, pronunciate contro Pelope prima di morire, si abbatterono sui discendenti di questi, causando una serie di sventure. Causò un incidente al re provocandone la morte e favorendo la vittoria di Pelope. Al momento però di ricevere il dovuto per il suo gesto, fu precipitato nel mare Egeo in un tratto che da lui prese il nome di Mirtoo. Le sue maledizioni, pronunciate contro Pelope prima di morire, si abbatterono sui discendenti di questi, causando una serie di sventure. Altri dicono ch'egli si sia vendicato in tal modo, perché questo cocchiere aveva avuto l'ardire di palesare ad Ippodamia la passione che anch'egli aveva per lei concepito.
MISENO
Μῑσηνοί, figlio di Eolo, tanto bravo nel suonare la tromba, che divenne il trombettiere personale di Enea. Tritone invidioso della sua bravura lo fece annegare. Enea ritrovò il cadavere di Miseno presso il promontorio all'estremità occidentale del Golfo di Napoli, là lo seppellì e da allora il luogo prese il suo nome.
...allor che giunti
nel secco lito in su l'arena steso
vider Miseno indegnamente estinto;
Miseno il figlio d'Eolo, ch'araldo
era supremo e col suo fiato solo
possente a suscitar Marte e Bellona...
...seguí l'arme d'Enea: ché non fu punto
inferiore a lui. Stava sul mare
sonando il folle con Tritone a gara,
quando da lui, ch'astio sentinne e sdegno
(se creder dêssi), insidïosamente
tratto giú da lo scoglio ov'era assiso,
fu ne l'onde sommerso. Al corpo intorno
convocati già tutti, amaro pianto
ed alte strida insieme ne gittaro;
e piú de gli altri Enea (Virgilio, Eneide VI)
MISTERO DELLA VEGETAZIONE
βλάστημα ἰονόργια, festa funebre in onore di Adone, fu istituita da Afrodite: si piantavano in cassette dei semi che si innaffiavano con acqua calda giardini di Adone, perché si sviluppassero subito le piantine che poco dopo morivano. Queste simboleggiavano la morte di Adone e le donne, al loro morire, si abbandonavano a lamentazioni funebri rituali.
MNEMOSINE
Μνημοσύνη, figlia di Urano e di Gea. Zeus la rese madre delle nove Muse e in questo cosa fu la quinta sposa di Zeus (Esiodo, Teogonia v. 915 e sgg.). Seppure fu la madre delle Muse non ebbe un culto particolare. Posso intuire che doveva essere una gran bella donna, se Zeus osò rischiare le scenate della gelosa Era, per portarsela a letto. Una cosa è certa: raffigurava la memoria.
MOIRE
Μοῖραι, dee del Destino, dalla genitura molto controversa. Infatti, in Apollodoro sono figlie di Zeus e di Temi; Igino e Esiodo, le dicono figlie della Notte; la teogonia orfica le dice figlie di Urano e di Gea; essendo le Moire delle forze primordiali dell'universo alle quali nemmeno Zeus poteva sfuggire, io preferisco credere a quanto ci narra Esiodo nella Teogonia:
La Notte a luce die' l'odïoso Destino, la Parca
negra, la Morte, il Sonno, fu madre alla stirpe dei Sogni
(né con alcuno giacque per dar loro vita, l'Ombrosa).
Poi Momo partorí, la sempre dogliosa Miseria,
l'Espèridi, che cura, di là dall'immenso Oceàno,
hanno degli aurei pomi, degli alberi gravi di frutti,
e le dogliose Moire, che infliggono crudi tormenti,
àtropo, Clòto e Làchesi, che a tutte le genti mortali
il bene, appena a luce venute, compartono e il male,
e dei trascorsi le pene agli uomini infliggono e ai Numi.
Né dallo sdegno tremendo desistono mai queste Dive,
prima che infliggano a ognuno la pena com'esso ha fallito.
Esse tessevano i giorni dei mortali e ognuna aveva un compito ben preciso: Cloto filava, Làchesi ne aggiudicava la quantità e Atropo, colei che non può essere sviata, lo tagliava. Ovviamente la lunghezza del filato determinava la lunghezza della vita e stabilire questa lunghezza spettava a loro, nemmeno il potente Zeus poteva fare qualcosa per modificarla. Le compagne preferite dalle Moire erano le Chere (Ker) demoni della morte.
MOMO
Μῶμος, dio del Riso, della maldicenza e del sarcasmo. Figlio del Sonno (Hypnos) e della Notte e fratello della Follia. Fu dagli dèi scacciato dall'Olimpo in quanto soleva schernire anche loro. Raffigurato come un nano, calvo, nudo e con una maschera in mano (e più brutto di così non si può). Non trovando nessun difetto in Afrodite, si mise a dire che i sandali della dea scricchiolavano.
MOPSO
Μόψος, famoso indovino, figlio di Manto (figlia di Tiresia) e di Apollo. Fu causa della morte dell'indovino Calcante e vediamo come:
lui e Calcante avevano fatto una sfida di arte divinatoria. Mopso vide una scrofa gravida, e chiese a Calcante quanti porcellini aveva in pancia e quando si sarebbe sgravata: “Otto” rispose Calcante. Ma Mopso sorrise e disse: “L'arte profetica di Calcante è tutto il contrario dell'esattezza. Io, che sono figlio di Apollo e Manto, e assai ricco di quella vista acuta che si accompagna all'esatta divinazione, dico, diversamente da Calcante, che i porcellini in pancia sono nove, e tutti maschi, e verranno partoriti senza ombra di dubbio domani all'ora sesta”. Così avvenne, Calcante morì per lo scoramento. (Apollodoro, Epitome 6)
MORFEO
Μορφεύς, figlio di Hypnos e della Notte, che secondo il mito recava il sonno agli uomini.
Era raffigurato come un vecchio alato, con una corona di papaveri e una cornucopia. Nella locuzione «essere tra le braccia di Morfeo», dormire.
I suoi fratelli più famosi erano Fantaso e Fobetore.
MORFO
Μορφώ, epiteto di Afrodite, con questo nome la dea viene raffigutata seduta, con un velo in capo e con i ceppi ai piedi. Si narra che sia stato Tindaro a farla scolpire coi ceppi, volendo simboleggiare con questi vincoli la fedeltà delle donne verso i loro consorti. Un'altra leggenda, dice che Tindaro la volle con quei ceppi per punire la dea ritenendo che da Afrodite fossero state causate le vergognose azioni delle proprie figlie. (Pausania, III, XV, 10)
MORGES
Μόργης, uno dei Dattili Idei, purificò Pitagora con la pietra di fulmine.
MORIA
Μορίη, ninfa Attica, personificazione dei sacri olivi (moriai) dell'Accademia.
MOSCA
Μυῖα, questo mito ci è stato tralasciato da Luciano di Samosata:
una volta c'era una donna chiamata Mosca, assai bella, ma ciarliera, chiacchierina, e canterina, e rivale di Selene, che tutte e due erano innamorate d'Endimione. E poiché quando il giovane dormiva ella lo svegliava continuamente ruzzando, cantando e ballando, Endimione se ne sdegnò, e Selene che l'odiava la mutò in mosca: e per questo essa ora disurba il sonno a tutti quelli che dormono, ricordandosi ancora di Endimione, e specialmente ai più giovani e più delicati. E quel suo mordere, e quel suo desiderio di sangue non è ferocia, ma segno di amore che porta ai giovani, dei quali ella gode come può, e ne sfiora la bellezza.
MUNICO
Μούνιχος, re dei Molossi, Munico regnava in modo giusto ed era indovino eccellente. Dalla moglie Lelante ebbe tre figli Alcandro (anch'egli indovino ma più bravo del padre), Megaletore e Fileo, e una figlia Iperippe.
Erano dei giovani buoni e imparziali e per questo amati dagli dèi. Una notte che l'intera famiglia si trovava nei campi, i briganti fecero una razzia e tentarono di far tutti prigionieri. Poiché gli assediati non erano tanto forti da potersi misurare corpo a corpo, reagirono scoccando frecce dall'alto del loro rifugio: allora, i ladri appiccarono allora il fuoco alla costruzione. Zeus non volendo vederli perire così miserevolmente, li trasformò tutti in uccelli. Iperippe che era sfuggita al fuoco immergendosi nell'acqua divenne un gabbiano. Gli altri spiccarono il volo per evitare le fiamme: Munico sotto forma di poiana e Alcandro in forma di scricciolo. Megaletore e Fileo, che per evitare il fuoco s'erano infrattati nel muro o rimpiattati al suolo, si trasformarono in due piccoli uccelli: il primo in Ikhneymon mentre Fileo in kyon. La madre divenne un picchio.
L’aquila e l'airone lo contrastano perché infrange le loro uova quando, per cercare insetti, colpisce le querce col becco. Tutti gli uccelli trasformati vivono assieme nei boschi e nelle macchie, salvo il gabbiano che vive nei pressi dei laghi e del mare.
MUSE
Μοῦσα, erano le nove figlie di Zeus e di Mnemosine (la memoria). Il sommo dio si unì per nove notti con Mnemosine figlia di Urano e di Gea. Allo scadere della gestazione la dea partorì (nella Pieria ai piedi dell'Olimpo) nove bimbe: le Muse che presiedevano alle arti, alla musica e alle scienze. Le elenco: Clio ispiratrice della storia, Euterpe la rallegrante, Talia la festosa, Melpomene la cantante, Tersicore che gode della danza, Erato stimolatrice di nostalgie, Urania la celeste, Polinnia la ricca di Inni e Calliope dalla bella voce. Le Muse erano invocate dai poeti come ispiratrici dei loro canti. Ovviamente visto l’interesse delle Muse, esse facevano parte del corteggio di Apollo Musagete. Chi osava offenderle veniva severamente punito, come le figlie di Pierio, re della Tessaglia. Questi aveva nove figlie che vollero gareggiare con le Muse nel canto e furono mutate, come racconta Ovidio, in rauche gazze. Da questo evento le Muse a volte vengono chiamate Pieridi. Anche Tamiri, un giovane di rara bellezza, osò sfidarle. Egli suonava la cetra con una maestria così elevata che volle confrontarsi con le Muse in una gara musicale. I patti erano questi: se Tamiri avesse vinto, avrebbe potuto fare l'amore con tutte le Muse, e se invece avesse perso, esse potevano togliergli ciò che volevano. Naturalmente le Muse vinsero di gran lunga e a Tamiri tolsero la vista e la capacità di suonare la cetra. Nelle libagioni a loro dedicate venivano offerti latte, miele e acqua. I Romani assimilarono le Muse con le loro antiche divinità locali chiamate Camene che erano ninfe delle sorgenti e delle acque venerate presso il boschetto di Porta Capena. Ecco come Esiodo inizia il canto della Teogonia per averne un buon auspicio:
Cominci il canto mio dalle Muse Elicònie, che sopra
l'eccelse d'Elicóna santissime vette han soggiorno,
e con i molli pie' d'intorno alla cerula fonte
danzano, intorno all'ara del figlio possente di Crono...
...Quelle che il canto bello d'Esiodo ispirarono un giorno,
mentr'egli pasturava le greggi sul santo Elicona,
quelle medesime Dive narrarono a me ciò ch'io narro,
le Muse Olimpie, figlie di Giove, dell'ègida sire... (Proemio)
MUSEGETE
Μουσηγέτης = guida delle Muse, epiteto di Apollo.
MUSEO
Μουσαῖος, era il poeta e i sacerdote strettamente legato con Orfeo, di cui una tradizione lo voleva suo figlio e discepolo. In Grecia significò prima tempio delle Muse, mentre a Roma indicava lo studio del letterato, dell'erudito.
Era connesso anche con i misteri eleusini dei quali, si dice, sarebbe stato il primo sacerdote. Personaggio che si pone al confine tra storia e mito, venne considerato dagli antichi un autore di opere a carattere oracolare e cosmogonico.
Altro Museo fu un poeta del IV sec. d.C. realmente esistito che scrisse il poemetto "Ero e Leandro".
Altro Museo fu uno dei Giganti che si astenne dalla lotta contro gli Olimpi e per questo ricevette determinati onori.