GALASSAURA
Γαλαξαύρη, una delle Ninfe Oceanine.
GALATEA
1) Γαλάτεια, una delle figlie di Nereo e di Doride.
Di lei si era innamorato il ciclope Polifemo ma Galatea lo respingeva perché amava il giovane pastore Aci che aveva l'aspetto bellissimo accentuato dai suoi sedici anni.
Polifemo era ovviamente bruttissimo e dal pelo ispido.
Il ciclope, stanco di essere respinto, per vendetta schiacciò Aci sotto un enorme masso.
Galatea, inconsolabile, pianse tanto che fu dagli dèi mutata in fonte perenne.
Galatea personificava la schiuma del mare.
Adesso vorrei divagare su come Amore possa rendere poetico anche il mostro più selvaggio e per questo inserisco alcuni brani tratti dalle "Metamorfosi, XIII" di Ovidio, a parlare è Polifemo:
...Abbi solo un po' di pietà e ascolta, ti supplico, le mie preghiere: a te sola mi sono prosternato.
Io che disprezzo Zeus, il cielo e il fulmine che tutto penetra, temo solo te, Nereide: peggiore del fulmine è l' ira tua.
Ma persino il tuo disprezzo potrei io sopportare, se rifiutassi tutti...
...O Galatea, più candida di un candido petalo di ligustro, più in fiore di un prato, più slanciata di un ontano svettante, più splendente del cristallo, più gaia di un capretto appena nato, più liscia di conchiglie levigate dal flusso del mare, più gradevole del sole in inverno, dell'ombra d'estate, più amabile dei frutti, più attraente di un platano eccelso, più luminosa del ghiaccio, più dolce dell'uva matura, più morbida di una piuma di cigno e del latte cagliato, e, se tu non fuggissi, più bella di un orto irriguo; ma ancora, Galatea, più impetuosa di un giovenco selvaggio, più dura di una vecchia quercia, più infida dell'onda, più sgusciante dei virgulti del salice e della vitalba, più insensibile di questi scogli, più violenta di un fiume, più superba del pavone che si gonfia, più furiosa del fuoco, più aspra delle spine, più ringhiosa dell'orsa che allatta, più sorda dei marosi, più spietata di un serpente calpestato, e, cosa che più d'ogni altra vorrei poterti togliere, più veloce, quando fuggi, non solo del cervo incalzato dall'urlo dei latrati, ma del vento che soffia impetuoso!
2) Statua scolpita da Pigmalione e a seguito delle sue preghiere fu da Afrodite mutata in donna vera.
Pigmalione, deposte le offerte accanto all'altare, timidamente disse: "O dèi, se è vero che tutto potete concedere, vorrei in moglie" (non osò dire: la fanciulla d'avorio) "una donna uguale alla mia d'avorio".
L'aurea Venere, presente alla propria festa, coglie il senso di quella preghiera e, come segno del suo favore, per tre volte fa palpitare una fiamma, che con la sua punta guizza nell'aria.
3) Lampro e sua moglie Galatea erano una coppia di sposi di misera provenienza. Quando la donna restò incinta, il marito dichiarò che avrebbe allevato il figlio solo se fosse stato maschio: nacque una femmina. La madre, non volendo abbandonare la neonata, la vestì in abiti maschili e la chiamò Leucippo. Quando il trucco divenne impossibile da sostenere, la donna supplicò Leto di cambiarle il sesso, e la dea l'esaudì, mutando la fanciulla in fanciullo.
GALENE E PANOPE
Γαλήνη καί Πᾰνόπη, sono le due Nereidi alle quali Luciano fa raccontare l'episodio su come nasce il Giudizio di Paride. Galene si occupava di tenere calmo il mare.
GALINZIA o GALANTI
Γάλανϑις ἤ Γαλινϑιάς, vergine figlia di Prèto, Era la mutò in donnola per averla ingannata e derisa il giorno della nascita di Eracle. La dea Era per ritardare il parto ad Alcmena, si era presentata nelle spoglie di vecchia nella casa di Anfitrione in compagnia delle Moire e di Ilizia, ma Galinzia avendo notato la sgradevole presenza, disse che già Alcmena aveva partorito un figlio.
Frastornate da questa notizia, le dee alzarono incautamente le mani e Alcmena diede i natali a Eracle. Le dee ne provarono dispetto e privarono Galinzia della sua natura di donna perché, pur essendo mortale, aveva preso in giro gli dèi.
Eracle divenuto adulto eresse una statua a Galinzia presso la quale era solito offrirle
dei sacrifici.
GALLI
Γάλλος, sacerdoti di Cibele, simili ai Coribanti si distinguevano da questi perché si eviravano (quindi tanto galli non erano) in memoria di Ati. Pare che il nome provenisse dal fiume Gallus, le cui acque avevano il potere di dare esaltazione frenetica ai sacerdoti della dea. Il loro capo, chiamato Archigallo, aveva la funzione di indovino e ordinatore del culto.
GANIMEDA
Γανυμήδαν, con chiaro riferimento a Coppiera funzione che poi passò a Ganimede, così a Fliunte era chiamata ed adorata Ebe. Il suo tempio posto sull'acropoli della città, fungeva da asilo, infatti vi si rifugiavano gli schiavi fuggitivi e i perseguitati che una volta raggiunto il luogo divenivano inviolabili.
GANIMEDE
Γᾰνῠμήδης, figlio di Troo e di Calliroe. Quando Zeus rapì (per fare ciò si mutò in aquila Omero, Iliade XX, 2 32 ss.; Inno omerico ad Afrodite 202 ss.; Virgilio, Eneide V, 252 ss.; Ovidio, Metamorfosi X, 155 ss.) il bel Ganimede per farne il coppiere degli dèi nell'Olimpo, suo padre Troo cadde nella disperazione, non sapendo dove si trovasse suo figlio.
Allora Zeus inviò Ermes a spiegare tutta la faccenda a Troo assicurandolo che Ganimede avrebbe vissuto tra gli dèi, e, per compensarlo
della perdita del figlio, gli regalò due splendide cavalle immortali capaci di cavalcare sull'acqua e sulle spighe
…Zeus che tutto conosce rapì Ganimede biondo, affinché così bello vivesse tra i numi immortali e versasse nella mensa di Zeus da bere agli dèi, stupore a vedersi, da tutti i beati onorato, dall'aureo cratere il nettare rosso attingendo. Un'angoscia crudele l'animo invase di Troo: ignorava dove rapito gli avesse il figliuolo la furia del turbine sacro; e con gemiti acuti, incessanti, lo andava dovunque chiamando. E Zeus ebbe di lui compassione, e gli diede a compenso del figlio cavalli veloci, gli stessi che portan gli dèi; e poi per volere di Zeus, il nunzio Argicida gli narrò l'accaduto: che il figlio era, come i numi, immortale, né poteva sfiorirne vecchiaia l'eterna bellezza. V Inno omerico ad Afrodite, 235 e ss..
C'è da chiarire che Zeus non si limitava a sedurre solo le donne, ma, anche i giovinetti e infatti lo rapì per farne il suo amante. Vedi altra foto
GARAMANTE
Γαράμας, capostipite dei Garamantidi, figlio di Apollo e di Acacalli.
GEA o GAIA
Γαῖα, dea primigenia della Terra, era una delle prime quattro essenze assieme a Caos, Tartaro e Amore; Gea, è il secondo elemento primordiale, non nasce dal Caos, ma sorge spontaneamente.
Generò da sola Urano (il cielo stellato) e il Ponto. Dalla sua unione con Urano generò: i Centimani - Briareo, Gie e Cotto; seguirono i Ciclopi - Arge, Sterope e Bronte. Urano, incatenò e buttò nel Tartaro questi suoi figli.
Successivamente Gea partorì i Titani (Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeto e Crono) e le loro sorelle Teti, Rea, Themis, Mnemosyne, Febe, Dione e Thia. Gea, addolorata per la sorte dei figli rinchiusi nel Tartaro, convinse Crono a spodestare il padre, quindi gli fornì un falcetto col quale il Titano evirò il padre.
Da alcune gocce di sangue cadute sulla Terra nacquero le Erinni: Aletto, Tisifone e Megera.
Non appena Crono si insediò al potere, come prima decisione fece rinchiudere nuovamente tutti i suoi fratelli nel Tartaro.
Gea si unì anche con Ponto col quale generò: Forco, Taumante, Nereo, Euribia e Ceto. Gea, nell'ultimo tentativo di vendicare i figli prigionieri, si accoppiò con Tartaro generando così il terrificante Tifone:…La sua forza e la sua imponenza superavano di gran lunga quelle di tutti i figli della Terra.
Fino alle cosce aveva una forma umana, ma di spaventosa enormità: era più grande di tutte le montagne, e la sua testa spesso sfiorava le stelle.
Le sue braccia aperte toccavano da una parte il tramonto e dall'altra l'aurora, e terminavano con cento teste di serpente.
Dalle cosce in giù, invece, aveva smisurate spire di vipera: se le stendeva, gli arrivavano fino alla testa, e producevano orrendi sibili.
Tutto il suo corpo era alato; un pelo irsuto gli ondeggiava sulla testa e sulle guance, e gli occhi sprizzavano fiamme.
Con tutta la sua mostruosa grandezza, Tifone si mise a scagliare massi infuocati contro il cielo stesso, fra urla e sibili: e dalla sua bocca sgorgavano torrenti di fuoco… (Apollodoro Biblioteca I, 6).
Gea generò tanti altri esseri, tutti giganteschi e mostruosi. Nella vecchia concezione, Gea esplicava attività profetica, tante storie lo testimoniano.
Basta ricordare la sua presenza come divinità oracolare in Delfi, prima di Apollo (Eschilo, Eumenidi 1 ss.), nonché i suoi frequenti ammonimenti profetici a Zeus sul pericolo di un eventuale figlio che l'avrebbe detronizzato (Eschilo, Prometeo incatenato 210 ss.; Esiodo, Teogonia 886 ss.).
Era venerata come divinità della terra e dei morti, considerato che i morti ritornano alla terra. Era raffigurata a mezza figura uscente dal suolo.
GELLO
Γελλώ, nome usato come spauracchio per tenere buoni i bambini si lasciava loro credere che rapisse i bambini.
GENETILLIDE
Γενετυλλίς, poco conosciuta (o meglio sconosciuta) dea di origine forestiera il cui nome deriva dalle generazioni (geneseis), molto simile a Ecate, vengono sacrificati anche a lei dei cani. Anche una festa celebrata dalle donne ha questo nome.
GÈRANA o ENOE
Γεράνα ἤ Οἰνώη, regina dei Pigmei, poiché aveva peccato d'orgoglio nei confronti degli dei, fu tramutata da Artemide in gru …Poi gettò i semi del timore che questo animale solleva fra i Pigmei. Per il desiderio di vedere il figlio Mopso, Enoe sorvolava di continuo le abitazioni dei Pigmei: brandendo le armi, essi si sforzavano di tenerla lontana. Da ciò deriva l'eterna lotta che c'è fra Pigmei e gru.
(A. Liberale, Metamorfosi XVI). Ebbe così origine la guerra tra questo popolo e le gru.
GERIONE
Γηρυών, aveva tre teste, sei braccia e tre corpi, noto perché aveva una splendida mandria di buoi rossi custoditi da Eurizione e dal cane a due teste Ortro. Prendere i buoi fu la decima fatica di Eracle che per averli uccise : Gerione, Eurizione che era anch'esso un gigante e il cane bicipite Ortro.
Un'altra fonte del mito narra che sulla tomba di Gerione spuntarono due alberi le cui foglie stillavano sangue in memoria di Gerione.
Gerione era discendente di Medusa.
GHERA
Γῆρας, personificazione della Vecchiaia.
GIACÌNTIDII
Ύαϰινϑίδες, nell'antica Atene era l'offerta di fanciulle in sacrificio agli déi per liberare la città dalla peste, dalla carestia (durante la guerra contro Minosse) e per salvare Atene dall'attacco di Eleusi.
GIA
Γύης, uno dei Centimani anche detti Ecatonchiri. (vedi Centimani - Ecatonchiri)
GIACINTO
1) Ὑάκινθος, qui ci troviamo di fronte a un piccolo dilemma: figlio di Amicla e di Diomeda? (Apollodoro - Biblioteca III, 10) o figlio di Clio e di Piero? (Apollodoro - Biblioteca, I, 3) o figlio di Ebalo? (Igino - Miti, 271).
Il cantore Tamiri si innamorò di lui e fu questo il primo amore omosessuale nella storia del mito.
Per la sua grande bellezza anche Apollo e Zefiro, si innamorarono di lui.
Un giorno mentre Apollo e Giacinto giocavano al lancio del disco Zefiro, ingelosito, fece deviare il disco che colpì al capo Giacinto uccidendolo.
Apollo disperato per la morte dell'amico, per rendere immortale il ricordo, lo mutò nel delicato fiore che ne porta il nome.
"Frodato del fiore di giovinezza, tu, Ebàlide, ti spegni," dice Febo, "ed io vedo questa tua ferita che mi accusa.
Specchio del mio dolore, questo sei! Colpevole della tua morte è questa mano mia, a ucciderti io sono stato!
Ma è una colpa la mia?
Sempre che si possa chiamare colpa l'aver giocato, o chiamare colpa l'averti amato.
Oh, se potessi almeno pagare con la vita e con te morire!
Ma poiché la legge del destino me lo vieta, sempre nel cuore t'avrò e sempre sulle mie labbra sarai...
...ecco che sangue più non è, e un fiore più splendente della porpora di Tiro spunta, prendendo la forma che hanno i gigli, solo che purpureo è il suo colore, mentre argenteo è quello del giglio.
Non ancora contento, Febo, autore di questo onore a Giacinto, verga sui petali di propria mano il suo lamento: AI AI, così sul fiore è scritto, lettere che esprimono cordoglio… (Ovidio, Metamorfosi X, 162 ss.).
2) Era originario di Sparta, la sua più grande sfortuna fu trasferirsi ad Atene nel periodo in cui Minosse l'aveva assediata. Ad Atene, per volere di Zeus (padre di Minosse), era scoppiata un' epidemia. Gli ateniesi seguendo un oracolo, sacrificarono sulla tomba del ciclope Geresto, Anteide, Egle, Litea e Ortea, figlie di Giacinto
Per approfondimenti Pausania 3, 19, 4-5; Luciano, Dialoghi degli dèi 14.
GIANTE
Ίανϑη, una delle ninfe Oceanine.
GIAPETO
Ἰαπετός, figlio di Urano e di Gea, sposò l'Oceanina Climene che gli partorì Atlante, Prometeo, Epimeteo e Menenzio, quest'ultimo fu folgorato da Zeus durante la guerra contro i Titani e scaraventato nel Tartaro. (Apollodoro - Biblioteca I,1)
GIASIONE
Ἰάσίω, genio della fertilità della terra e della pioggia fecondante. Fu il primo seminatore a cui Demetra affidò i suoi segreti, dopo di ciò si unì alla dea, che rimase incinta di Pluto, dio della ricchezza e di Polimelo, inventore del carro e dell'aratro.
Giasione venne per questo fulminato da Zeus. Demetra incantata dal genio inventivo del figlio Polimelo lo muta nella costellazione del Boote.
GIASONE
Ἰάσων, figlio di Esone e di Polimede. Il padre venne privato dal fratellastro Pelia del trono di Iolco, in Tessaglia.
Ancora bambino, fu affidato alle cure del centauro Chirone per istruirlo alla maniera degli eroi. Raggiunti i vent'anni di età, andò da Pelia a reclamare il regno che era stato del padre.
Pelia accettò di consegnarglielo a condizione che prima portasse a Iolco il Vello d'oro; questo apparteneva a Eeta re di Colchide e lo teneva appeso su una quercia del bosco sacro a Ares, sorvegliato da un dragone sempre all'erta.
Giasone intraprese così la famosa spedizione sulla nave Argo, seguito dal fior fiore della gioventù ellenica, per questo chiamati "Argonauti" .
Dopo avere attraversato tanti paesi e dopo tante peripezie, aiutato da Medea (in cambio dell'aiuto volle essere sposata), figlia di Eeta, riuscì a impossessarsi del Vello d'oro. Giasone con la sposa Medea e i compagni fece ritorno a Iolco.
Intanto Pelia aveva ucciso Esone costringendolo a bere sangue di toro.
Giasone per vendicarlo si avvalse delle arti magiche della moglie. Costretta ad abbandonare Iolco, la coppia si stabilì a Corinto dove, dopo dieci anni, Giasone abbandonò Medea per Creusa (o Glauce), figlia di Creonte re della città.
La fine dell'eroe è controversa. Alcune fonti riferiscono che morì per il dolore provocato dalla morte dei figli soppressi per vendetta da Medea, altre che rimase ucciso sotto la carena della nave Argo, all'ombra della quale si riposava quando ormai era già rientrato in possesso di Iolco.
Nel suo navigare si trovò a passare da Lemno dove soggiornò nella casa di Ipsipile che gli partorì due figli Euneo e Nebrofono.
La sedotta Ipsipile aspettando invano il ritorno di Giasone, maledì lui e Medea:
Se, dall'alto, Giove stesso, dio di giustizia, accoglie in qualche modo le mie preghiere, anche l'usurpatrice del mio letto provi a sua volta le sofferenze per cui Ipsipile piange e sia colpita dalle sue stesse leggi.
E come io, sposa e madre di due figli, sono abbandonata, anche lei, avuti i figli, sia privata del marito; e ciò che avrà partorito malamente non possa conservarlo a lungo, e ancor peggio lo perda; sia esule e cerchi rifugio per tutto il mondo!
E quanto, come sorella, fu crudele con il fratello e, come figlia, con il povero padre, altrettanto lo sia con i figli e altrettanto con il marito.
E dopo aver esaurito terra e mare, cerchi la via del cielo; vada errando povera e disperata, macchiata del sangue della sua strage.
Queste le punizioni che io, figlia di Toante, defraudata delle mie nozze, invoco.
Vivete, moglie e marito, in un talamo maledetto! (Ovidio, Eroidi VI).
A quanto pare Giasone era abituato a ricevere minacce e maledizioni da parte delle donne, infatti anche Medea gli lancia la sua:
Io non mi appello a te contro tori e uomini e perché un drago giaccia vinto grazie al tuo intervento; è te che chiedo, te ho meritato, che ti sei dato a me di tua volontà, con te, divenuto padre, sono diventata in pari tempo madre.
Chiedi dov'è la mia dote?
L'ho pagata in quel campo che tu dovevi arare, per portare via il vello.
Quell'ariete d'oro, straordinario per il folto vello, è la mia dote; se io ti dicessi: "Rendimelo", tu rifiuteresti.
La mia dote sei tu, salvo, la mia dote è la gioventù greca. Va' ora, disonesto, fa' il confronto con le ricchezze di Sisifo!
Che tu viva, che abbia una sposa ed un suocero potente, il fatto stesso che tu possa essere ingrato, persino questo, è merito mio.
A loro veramente fra poco... ma a cosa serve preannunciare un castigo?
L'ira genera enormi minacce. Andrò dove mi porterà l'ira.
Forse mi pentirò del mio operato, così come mi pento di avere avuto cura di un marito infedele.
Si occupi di queste cose il dio, che ora sconvolge il mio cuore.
Di sicuro la mia mente sta meditando non so che di spropositato.
(Ovidio, Eroidi XII)
Per approfondimenti vedi Ovidio, Eroidi - Ipsipile a Giasone.
GIGANTI
Γίγας, figli di Gea, fecondata dal sangue di Urano (Esiodo, Teogonia 182 ss.), che era stato evirato da Crono, spesso confusi o identificati coi Titani.
Esseri di straordinaria statura e di forza sovrumana, nemici degli dei, tentarono di dar la scalata all'Olimpo, ma furono colpiti insieme dai fulmini di Zeus e dai dardi di Eracle. Alcuni precipitarono nell'Averno, altri furono seppelliti sotto monti che diventarono vulcani.
Essi erano: Porfirione, Alcioneo, Efialte, Eurito, Clizio, Encelado, Pallante, Polibote, Ippolito, Gratione, Agrio e Toante. Nessuno era più enorme di loro, nessuno poteva vincere la loro forza, avevano l'aspetto mostruoso tanto da ispirare paura solo a guardarli.
Dai lunghi capelli irsuti e la barba ispida avevano squamose code di serpente al posto dei piedi. Si credeva fossero nati a Flegra o a Pallene.
Sotto il comando di Porfirione e Alcioneo, i giganti tentarono un colpo di stato nell'Olimpo, ma furono colpiti insieme dai fulmini di Zeus e dalle frecce di Eracle.
Alcuni precipitarono nell'Averno, altri furono seppelliti sotto monti che diventarono vulcani. Simboleggiarono la forza bruta contro l'intelligenza, ed in particolare la violenza dei cataclismi naturali (eruzioni vulcaniche, terremoti, inondazioni, ecc.), fonte di terrore perché se ne ignoravano le cause.
Anche nella mitologia nordica compaiono i giganti, formidabili nemici degli dèi, demoni del freddo inverno, delle tempeste, del mare burrascoso e dei ghiacci perenni.
GIGANTOMACHIA
Γιγαντομαχία, è la lotta grandiosa e primordiale che si svolse tra i Giganti e gli Olimpi nella penisola di Pallene, in Tracia (Ovidio, Metamorfosi I, 150 ss.).
Benché fossero di origine divina, i Giganti erano mortali o, almeno, potevano essere uccisi se colpiti contemporaneamente da un dio e da un mortale. Per questo nella lotta fu determinante la presenza di Eracle, non ancora accolto tra gli dei.
I Giganti furono sconfitti uno per uno: Alcioneo a esempio, che era invincibile finché rimaneva sul suolo patrio, fu ucciso da Atena e da Eracle dopo che l'eroe l'ebbe trascinato fuori da Pallene; Efialte fu colpito da una freccia di Apollo nell'occhio sinistro e da una di Eracle nell'occhio destro; Porfirione, che
assalì Era, venne abbattuto dal fulmine di Zeus e dalle frecce di Eracle; Eurito fu ucciso da Dioniso e come tutti gli altri da Eracle; Poseidone taglio un pezzo dell'isola di Cos e la lanciò su Polibote che divenne l'isolotto di Nisiro; Ermes uccise Ippolito; per non disperderci in questo catalogo, diciamo che per uccidere i giganti, c'è voluto l'attacco iniziale di un dio e il colpo di grazia di Eracle.
GIOCASTA
Ἰοκάστη, sposa di re Laio di Tebe dal quale ebbe Edipo. Più tardi, senza riconoscere il figlio e senza che egli stesso la riconoscesse, sposò Edipo dal quale ebbe vari figli. Scoperto l'incesto, s'impiccò nel palazzo di Tebe.
GLAUCE
1) Γλαύκη, sfortunata figlia di Creonte re Corinto. Nonostante Medea, figlia di Eeta e Idia, avesse già dato a Giasone due figli, e vivesse con lui nella massima concordia, a Giasone veniva rimproverato di avere per moglie una straniera e per giunta maga, lui che era di stirpe nobile, bello, forte e coraggioso (e su questo ho dei grandi dubbi!); perciò Creonte re di Corinto gli offrì in sposa la figlia Glauce e Giasone ( ingrato) senza pensarci due volte accettò ben volentieri l'offerta di Creonte. Medea così si vide oltraggiata da Giasone, uomo che lei tanto aveva aiutato, e protetto. Quindi fabbricò per mezzo di magie e formule varie una corona d'oro e una veste impregnata di veleni, poi ordinò ai suoi figli di portarla in dono alla loro matrigna. La povera e infelice Creusa accettò volentieri i doni, ma non appena li indossò, sia la corona che la veste presero fuoco. Inutilmente tentò di togliersi di dosso le vesti, Glauce arse viva assieme al vecchio Creonte che aveva tentato di aiutare la figlia. Quando Medea vide la reggia in fiamme, uccise i figli che aveva avuto da Giasone, salì sul carro del Sole che era trainato da draghi alati e si rifugiò presso Egeo re di Atene. Un'altra versione del mito narra che Medea lasciò i figli come supplici presso l'altare di Era Acrea, ma il popolo di Corinto li strappò di lì e li massacrò. A Corinto è ancora oggi visibile la fontana di Glauce nella quale si diceva che l'infelice donna ci si fosse gettata dentro, nel tentativo di spegnere il terribile fuoco che la consumava. Si diceva che il veleno con cui Medea aveva contaminato la corona e la veste fosse la nafta, infatti "olio di Medea" era detta la nafta.
2) Glauce principessa di Salamina e sposa di Telamone.
3) Altro nome di Ippolita regina delle Amazzoni.
GLAUCO
1) Γλαῦκος, figlio di un pescatore della Beozia, un giorno vide che i pesci da lui presi se posati su una certa erba, riprendevano la vita e il movimento. Così provò a mangiarla e si ritrovò trasformato in divinità marina. Amava Scilla e per farla sua ricorse alla magia di Circe ma questa, che era innamorata di lui, per gelosia mutò la ragazza in un orribile mostro.
2) Figlio di Minosse e di Pasifae, da bambino cadde in un vaso di miele soffocando ma Asclepio lo fece rivivere. Un'altra versione del mito narra che Glauco, da bambino, dando la caccia a un topo morì cadendo in una giara piena di miele. Minosse, allora, lo cercò ovunque e alla fine ricorse alla divinazione. Chiamato l'indovino Poliido, Minosse gli ordinò di cercare il bambino; Poliido trovò il cadavere del bambino ma Minosse gli ordinò di renderglielo vivo e lo imprigionò insieme al cadavere di Glauco. L'indovino non sapeva proprio che pesci pigliare; quando vide un serpente che si avvicinava al cadavere, temendo per la sua vita, prese un sasso e uccise l'animale. Ma subito arrivò un altro serpente che guardò il serpente morto e se ne andò via ritornando poco dopo con un'erba che appoggiò sul corpo del serpente morto. Non appena quell'erba lo toccò, il serpente riprese a vivere. Poliido, stupefatto di quanto aveva visto, immediatamente prese quell'erba, la pose sul corpo di Glauco e il bambino tornò in vita.
3) Figlio di Sisifo e di Merope, era il padre di Bellerofonte, morì durante i giochi funebri in onore di Pelia, nella gara equestre, travolto e divorato dalle proprie cavalle, da lui tenute lontane dall'accoppiamento e nutrite con carne umana
GOLGO
Γολγος, fondatore della città di Golgi a Cipro era figlio di Afrodite e di Adone.
GONIADI
Γονιάδες, ninfe che rendevano salubre l'acqua corrente e guarivano gli infermi.
GORGONEO
Γοργόνειον, la testa della Medusa che Atena portava nel suo scudo.
GORGONI O FORCIDI
Γοργόνας ἤ Φορκίδες, figlie di Forco e di Cheto. Il loro nome proviene dal greco gorgós=spaventoso Erano: Steno, Euriale e Medusa.
Era mortale questa, immuni da morte o vecchiezza le prime due: con quella, sui fiori d'un morbido prato a Primavera, il Nume s'uní dalla chioma azzurrina (Esiodo Teogonia 274 ss.).
Avevano ali d'oro, mani di ferro, zanne di cinghiale e in testa al posto dei capelli avevano dei serpenti. Avevano il potere di pietrificare chi le guardava. (Esiodo Teogonia 274 ss., non accenna al mostruoso aspetto delle tre Gorgoni, ma si limita a fissare la loro dimora nell'estremo occidente, vicino al giardino delle Esperidi). Nel racconto di Ovidio, la sola ad avere serpenti al posto dei capelli è Medusa, e ci spiega anche il motivo: Uno dei presenti interviene allora chiedendo perché solo Medusa fra le sorelle avesse serpenti in mezzo ai capelli. E l'ospite risponde: "Visto che vuoi sapere cosa che merita raccontare, eccoti il perché.
Di eccezionale bellezza, Medusa fu desiderata e contesa da molti pretendenti, e in tutta la sua persona nulla era più splendido dei capelli: ho conosciuto chi sosteneva d' averla vista.
Si dice che il signore del mare la violasse in un tempio di Minerva: inorridita la casta figlia di Giove con l'egida si coprì il volto, ma perché il fatto non restasse impunito mutò i capelli della Gòrgone in ripugnanti serpenti.
Ancor oggi la dea, per sbigottire e atterrire i nemici, porta davanti, sul petto, quei rettili che lei stessa ha creato". In questo passo abbiamo scoperto che Medusa era di bellezza eccezionale.
GRAIE
Γραιάων =le vecchie, figlie di Ceto e di Forco, divinità marina figlia di Ponto e di Gea. Nate vecchie, erano sorelle e custodi delle Gorgoni e vivevano alle soglie del paese della notte.
Secondo Esiodo erano due: Enio e Penfredo; altri mitografi ne aggiungevano una terza, Dino. Possedevano un solo occhio e un solo dente, che si scambiavano a vicenda.
Perseo le costrinse a rivelargli il nascondiglio delle ninfe Stigie, il cui aiuto gli era indispensabile per uccidere Medusa. Di loro parla Esiodo, che mostra però di conoscere solo le prime due (Teogonia 270 ss.); nel Prometeo incatenato (794 ss.) di Eschilo si dice che esse avevano forma di cigno; anche Ovidio, Metamorfosi IV, 744 ss..
Una curiosità molto insolita su queste divinità è che pur essendo nate vecchie, nell'arte figurata, le Graie sono costantemente raffigurate come belle ragazze splendidamente abbigliate con pepli di croco.
GRAN MADRE
Μάτηρ μεγάλα, divinità delle forze generatrici della natura, idea diffusa in tutti i paesi del Mediterraneo, finì per concretizzarsi con svariate dee, quali: Cibele, Gea, Rea, Temi, Afrodite.
Originariamente era un mucchio di legna carbonizzata coperta da cenere che teneva viva la brace, successivamente in una matrona seduta in trono fra due leoni.
GRIFONE
Γρὺψ, creatura rappresentata in letteratura e arte con la testa e le ali di un'aquila e il corpo di un leone; talvolta ha la coda di un serpente. Una sua raffigurazione veniva posta a guardia nelle antiche miniere di Elettro, Il grifone a oggi è ancora un simbolo nell'araldica, e simboleggia forza e vigilanza.
Se guardate bene oltre che la Chimera, anche il Grifone fa parte dei simboli di questo sito.
GRINEO
Γρυνεύς, uno dei Centauri.