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COLONIZZAZIONE GRECA E FONDAZIONE DI SIRACUSA

Tomba di Archimede
Tomba di Archimede

La colonizzazione greca, sviluppatasi fra l’VIII ed il VI sec. A. C., portò la civiltà greca in una vasta area dell’ Italia meridionale ed in Sicilia. Di questo fenomeno ci sono rimaste numerose e preziose testimonianze costituite dai templi, dai teatri, dalle mura di fortificazione, dalle statue, dalle ceramiche, dalle monete, ecc.

“La parola greca da noi abitualmente tradotta“colonia“ è apoikia, che significa “emigrazione… ciascuna di esse (“colonie”) era una comunità greca indipendente, non una colonia nel senso tradizionalmente attribuito alla parola. E siccome il movimento era una risposta a difficoltà demografiche e agricole, le nuove comunità stesse erano insediamenti agricoli, non centri commerciali (a differenza delle colonie fenicie dell’occidente ).

Per la stessa ragione gli aristocratici della maggiore fra le nuove comunità, Siracusa, erano chiamati Gamoroi,“ coloro che si spartiscono la terra, i proprietari fondiari“ (mentre gli indigeni ridotti in schiavitù e comunque i lavoratori della terra erano chiamati Kyllirioi). Le relazioni fra la colonia e la città madre non avevano mai una base commerciale né altrimenti imperialistica, proprio perché le “colonie” erano indipendenti fin dall’ inizio, politicamente ed economicamente, nel complesso esse mantenevano per lunghi anni relazioni strette e amichevoli con la città madre. (Finley, Gli antichi Greci, Einaudi, 1965 ).

Ma che cosa induce tante migliaia di persone ad abbandonare la Grecia, ad emigrare e fondare nuove città lontano dalla loro terra d’ origine ?
Con il passaggio dai regimi monarchici a quelli aristocratici, le terre finirono in mano dei più ricchi ed i poveri diventarono sempre più poveri.

Uno dei principali motivi della colonizzazione fu appunto quello di smaltire in qualche modo l’eccessivo numero dei contadini inurbati ed in ogni caso settori eccedenti e malcontenti della popolazione.

Edificio circolare
Edificio circolare

Verso la metà dell’ VIII secolo a. C. comincia questa fuga dalla Grecia e la fondazione delle colonie greche in Sicilia e nell’ Italia meridionale.
I luoghi in cui più spesso vengono fondate le colonie sono quelli in cui esistevano già degli scali commerciali. Spesso le prime colonie fondarono a loro volta delle altre città.

Quasi sempre la città madre forniva ai coloni i mezzi necessari e designava il capo della spedizione (l’ecista) che poteva anche svolgersi in diverse fasi e talvolta veniva consentita dalle popolazioni autoctone dietro qualche compenso, mentre altre volte si creavano dei rapporti conflittuali.

La seconda delle città greche in Sicilia fu Siracusa, fondata da un gruppo di cittadini di Corinto guidati dall’ecista Archia verso il 732 a. C.

Sulla storia della fondazione di Siracusa, Strabone, che visse 700 anni dopo il fatto, riferisce che “Archia, navigando da Corinto, fondò Siracusa circa nello stesso periodo in cui furono fondate Nasso e Megara… Archia, continuando nel suo viaggio, incontrò alcuni Dori… che si erano separati dai coloni di Megara; li prese con sé e fondarono insieme Siracusa”.

Di solito le città venivano costruite secondo una pianta ortogonale, cioè con strade ( piuttosto strette ) che si incrociavano ad angolo retto. Il centro della città era costituito dall’Agorà, una piazza in cui si svolgevano tutti gli affari più importanti.
Gli artisti, architetti, scultori, pittori, che operarono nelle città italiote, di solito, replicarono i modelli stilistici usati nella loro città d’ origine, ma spesso seppero apportare a questi modelli delle interessanti innovazioni.

V. Accarpio

I PERSONAGGI:

  • Mosco di Siracusa (II secolo a.C.), poeta. Gli sono attribuiti alcuni frammenti di componimenti pastorali ed erotici di ispirazione teocritea, tra i quali in particolare l'epillio Europa, in cui viene narrata la nota favola di Zeus trasformatosi in toro per amore della fanciulla di Tiro, e l'idillio Eros fuggitivo, nel quale si racconta della promessa, fatta da Afrodite, di una notte d'amore a chi le avesse riportato vivo il figlio scomparso. Degli interessi retorici e degli studi grammaticali di Mosco ci è pervenuto soltanto il titolo di una sua opera, Sulle parole rodie.

  • Gelone (Gela 540 ca. - Siracusa 478 a.C.), tiranno di Gela (491-485 a.C.) e di Siracusa (485-478 a.C.). Comandante della cavalleria di Ippocrate, precedente tiranno di Gela, gli succedette nel 491 a.C. Nel 485 a.C., approfittando di lotte interne a Siracusa, si impadronì anche di questa città, lasciando il governo di Gela al fratello Gerone I. In breve tempo Gelone divenne potentissimo ed estese il suo dominio su gran parte della Sicilia orientale. Nel 481 a.C. durante la seconda guerra persiana, Atene e Sparta gli chiesero aiuto contro i persiani; Gelone accettò pretendendo però il comando dell'esercito, condizione che non venne accolta. Nel 480 a.C. sconfisse i cartaginesi che, intervenuti col pretesto di appoggiare l'ex tiranno di Imera, Terillo, nella riconquista della città, minacciavano in realtà l'egemonia sull'isola delle città greche alleate di Siracusa e Agrigento. La vittoria di Imera rafforzò invece l'influenza sulla Sicilia di Gelone, che morì due anni dopo, lasciando Siracusa al fratello Gerone I di Gela.

  • Agatocle (? 360 ca. - Siracusa 289 a.C.), tiranno di Siracusa (316-289 a.C.), assunse forse nel 304 a.C. il titolo di re. Proseguì la strategia offensiva siracusana contro i cartaginesi, dai quali venne sconfitto a Ecnomo nel 310 a.C.; portò quindi la guerra in Africa, minacciando la stessa Cartagine, con la quale dovette però patteggiare la pace. La sua influenza si estese all'intera Sicilia, a eccezione di Agrigento. Per sua volontà, alla sua morte il governo della città venne affidato al popolo siracusano.

  • Gerone II (Siracusa 306-215 a.C.), re di Siracusa (265-215 a.C.). Di oscure origini, mascherate poi simulando un'illustre discendenza da Gerone I, fu luogotenente di Pirro nelle guerre contro i cartaginesi di Sicilia; assunse successivamente il comando dell'esercito siracusano, impadronendosi di fatto della città. Nemico dei mamertini, i mercenari campani che avevano occupato Messina, nonostante un primo insuccesso li sconfisse a Milazzo nel 265 a.C., dopodiché venne acclamato re di Siracusa. Quando nel 264 a.C. i romani intervennero a Messina in favore dei mamertini (nella prima guerra punica) Gerone si alleò dapprima con i cartaginesi per contrastare l'intervento romano, per poi (263 a.C.) patteggiare con i romani stessi un trattato a durissime condizioni economiche, che vennero condonate solo nel 248 a.C. Da allora fu fedele a Roma, soprattutto in chiave anticartaginese, pur mantenendo buoni rapporti con altri sovrani, in particolare i Tolomei d'Egitto. Sovrano illuminato, favorì le arti e le lettere e instaurò un sistema tributario (lex hieronica) tanto efficiente che i romani stessi lo imitarono. Gli successe il giovane nipote Geronimo.

  • Teocrito (Siracusa 310 ca. – 250 ca. a.C.), poeta, creatore del genere pastorale. Poche sono le notizie biografiche, che perlopiù si ricavano dalle sue opere: nacque a Siracusa, dove trascorse la giovinezza, e visse in questa città probabilmente fino al 275-274 a.C., quando compose un idillio intitolato Le Grazie con il quale si rivolgeva a Gerone II per ottenerne il favore e la protezione. Lasciò poi la patria e si trasferì ad Alessandria, dove fra il 274 e il 270 a.C. scrisse l’Encomio a Tolomeo, carme dedicato al re d’Egitto Tolomeo II Filadelfo di cui esaltava la generosità. Entrò anche in contatto con Callimaco, di cui condivise la poetica (come è attestato dall’idillio Le talisie), senza tuttavia cimentarsi come lui nell’attività di poeta-filologo. Trascorse il resto della vita fra Alessandria e l’isola di Kos, notevole centro culturale, patria di poeti famosi come l’elegiaco Fileta. Rimane sconosciuto l’anno della morte, che tuttavia si colloca con certezza dopo il 260 a.C.

  • Gerone I (? - 466 a.C.), tiranno di Siracusa (478-466 a.C.), successe al fratello Gelone. Gerone era conosciuto per il suo valore militare e prima dell'ascesa al trono si era distinto nella battaglia di Imera nel 480 a.C. Fece di Siracusa la principale città siciliana e fondò la città di Etna (475 a.C.). La sua vittoria sugli etruschi a Cuma, nel 474 a.C. preservò l'indipendenza dei coloni greci in Italia. Nel 472 a.C. l'esercito siracusano sconfisse Trasideo, re di Akrágas (la moderna Agrigento) e Gerone divenne il signore supremo della Sicilia. Era noto per la sua crudeltà, ma anche per la protezione accordata a poeti e filosofi.

  • Archimede (Siracusa 287-212 a.C.), matematico e fisico. Fu uno dei più grandi studiosi di matematica dell'antichità, si interessò di diversi settori della fisica e fu un geniale inventore. Studiò ad Alessandria d'Egitto, dove fu forse allievo di Euclide.

  • Dionisio il Vecchio (432-367 a.C.), tiranno di Siracusa dal 405 al 367. Di umili origini, fu un funzionario governativo prima di conquistare il potere illegalmente. Nel 404 strinse una pace con i cartaginesi, che avevano occupato quasi tutta la Sicilia; intraprese quindi una serie di campagne militari sul territorio siciliano e nella Magna Grecia, tentando, a partire dal 398, di cacciare i cartaginesi dall'isola, riportando inizialmente alcuni successi. Servendosi dell'aiuto di mercenari, Dionisio fece di Siracusa la città più potente dell'isola.

  • Epicarmo (540 ca. a.C. - 450 ca. a.C.), commediografo greco, nato secondo la tradizione a Kos, secondo altre fonti a Siracusa, certamente cresciuto a Megara, in Sicilia. A partire dal 484 a.C. Epicarmo visse a Siracusa, dove godette del mecenatismo di Gelone e Gerone I.

Mappa città antica
Mappa città antica

Non volendo continuare ad allungare questa lunga lista, mi limito ad aggiungere solo alcuni dei personaggi illustri ospitati dalla città di Siracusa:

Simonide di Ceo
Platone
Lisia
Bacchilide
Pindaro
Calamide

Chi di voi avrà la fortuna di visitare questa città, non deve assolutamente perdersi una sosta alla mitica pasticceria BRANCATO sita in via Grottasanta, 219.

Iniziamo con Castello Eurialo

Fatto costruire da Dionisio il Vecchio tra il 402 e il 397 a.C., prende il nome dal greco Euryelos per la sua forma di "chiodo dalla grossa testa". Occupa un'area di 15.000 mq. e si suddivide in due parti: il mastio con gli alloggiamenti militari e il recinto.

Presenta tre prospetti: uno occidentale che rappresenta anche la parte frontale del castello, mentre gli altri due, meridionale e settentrionale, si uniscono formando la punta del "chiodo", rivolta ad est verso il mare. Su quello frontale campeggiano cinque torri quadrate, alte probabilmente all'epoca della loro costruzione quindici metri, dietro le quali macchine belliche, le baliste, permettevano di lanciare sassi e altri materiali offensivi sui nemici.

Antistanti alle torri si possono ancora notare i resti di un cuneo, le cui mura rappresentavano un ulteriore elemento difensivo e tre fossati. Il primo lungo sei metri e profondo quattro è, oggi, completamente interrato. Il secondo, posto a ottantasei metri dal primo, ha una lunghezza di cinquanta metri, una larghezza di ventidue e una profondità di sette. Il terzo fossato, infine, a ridosso delle torri è lungo ottanta metri, largo diciassette e profondo nove. E' il più importante perché collega tutti i reparti difensivi.

Assonometria
Assonometria

La fortezza era provvista di ingegnose opere in grado di assicurare una tenace resistenza. Lungo il fianco settentrionale si può, infatti, ammirare una porta d'accesso, protetta con mura ad imbuto, nascosta da altre disposte trasversalmente, mentre a sud ci sono i resti di tre pilastri che sostenevano il ponte levatoio.

La presenza di tre grosse cisterne e le studiate soluzioni difensive, come le doppie mura a sud, fanno intuire i lunghi periodi di resistenza che questa fortezza poteva garantire.

L'orientamento del Castello, disposto prevalentemente lungo l'asse est-ovest, era stato studiato in modo tale che i difensori, almeno sul fronte principale, non avessero il sole negli occhi al mattino, quando presumibilmente i nemici, dopo una notte di riposo, avrebbero potuto tentare un nuovo assalto. Nel pomeriggio la stanchezza poteva consigliare agli assedianti di desistere, mentre di notte i tre fossati sicuramente costituivano un ottimo deterrente. Nella fioca luce notturna, infatti, essi rappresentavano trappole mortali.

All'interno del Castello, dietro le cinque torri, un cortile di epoca bizantina fungeva da caserma. La truppa nel sicuro delle gallerie e dei camminamenti poteva spostarsi, grazie ad un ingegnoso sistema di scale e di gallerie lungo 480 metri, con la massima celerità da un punto all'altro a secondo delle necessità difensive.

La necessità storica

Per una città come Siracusa posta sul mare, l'arrivo improvviso di una flotta nemica poteva rappresentare un pericolo gravissimo, magari non più in grado di essere combattuto.

Se per terra mura poderose potevano difendere la città e dare modo ai suoi abitanti di resistere anche per lunghi periodi, un nemico agguerrito che si fosse presentato all'improvviso nel Porto Grande difficilmente sarebbe stato rintuzzato e ricacciato in mare aperto o distrutto sul posto.

La via del mare, inoltre, poteva rappresentare l'ultima possibilità di fuga nei confronti di un nemico che per terra avesse travolto le ultime difese.
Era, perciò, indispensabile scrutare soprattutto l'orizzonte marino per prevenire eventuali attacchi e organizzare una migliore difesa. Ortigia, la piccola isola sulla quale Siracusa era stata fondata nel 734 a.C. da coloni corinzi, alta meno di cinquanta metri sul livello del mare, non poteva garantire che la visione di poche miglia marine. Ecco, perciò, l'impellente necessità di avere un posto d'osservazione sufficientemente alto e sufficientemente vicino alla città.

Dalla Marina, l'attuale passeggiata in Ortigia, lo sguardo abbraccia solo l'ampio e luminoso panorama di questa splendida insenatura, partendo proprio dalle ripide coste del promontorio, denominato Capo Murro di Porco, poste di fronte al Castello Maniace, estremo lembo orientale dell'isola.
Fu questo notevole restringimento all'uscita del porto che, grazie ad alcune navi legate tra loro da potenti catene, permise ai Siracusani di chiudere la via di fuga alla flotta ateniese, arrogantemente alla fonda in quelle acque, e di distruggerla nel 413 a.C. durante la seconda guerra del Peloponneso.

Fonte Ciane
Fonte Ciane

La vista prosegue lungo la linea sottile dei lidi sabbiosi, scivolando tra i grigi canneti fino alle foci contigue dell'Anapo e del Ciane, orlate dai ciuffi verdi degli ombrellati papiri.

L'entrata nel tranquillo e sicuro porto doveva rappresentare un momento felice ed esaltante per gli equipaggi, stanchi per giorni o settimane di navigazione. Siracusa non offriva solo uno dei migliori rifugi naturali, tra l'altro rari, lungo la costa orientale della Sicilia; la città, capitale della Magna Grecia era, infatti, uno dei più importanti empori commerciali del Mediterraneo e, quindi, piena di attrattive di tutti i generi.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che Siracusa rappresentava il maggiore avamposto greco verso occidente e che manteneva con la madrepatria intensissimi rapporti culturali, politici ed economici.

Acque sicure dall'imperversare d'improvvise tempeste, specie nel periodo invernale, accoglievano legni greci o di altre azioni venuti a commerciare.

La città, grazie alla sua posizione e all'audacia dei suoi cittadini, riuscì a svilupparsi bene, raggiungendo il massimo splendore sotto il regno di Dionisio il Vecchio, durato dal 405 al 367 a.C..

La storia del Castello s'intreccia intimamente con la figura di questo tiranno, odiato e temuto personaggio della Storia, simbolo di cieco assolutismo, dispotismo e culto della persona, antesignano di Luigi XIV, il re Sole. Modelli che, purtroppo, sono stati copiati nel Novecento con risultati apocalittici nella loro brutale disumanità.
La storia del Castello Eurialo inizia, quindi, alla fine del V secolo con l'opera instancabile di Dionisio, tesa a ricostruire e potenziare le difese della città, soprattutto in vista dell'inevitabile scontro con i Cartaginesi. Essi, infatti, avrebbero sicuramente malvisto il tentativo espansionistico di Siracusa, progettato con l'intento di risalire la profonda china istituzionale ed economica in cui la città era caduta in seguito alle guerre contro Atene e per contrasti interni tra Ermocrate e Dione, sfociati praticamente in una guerra civile.

Soprattutto le difese lungo il versante settentrionale si erano dimostrate essere il tallone di Achille nella guerra contro gli Ateniesi per la loro scarsa consistenza. Demostene, il generale comandante l'esercito ateniese, aveva facilmente occupato per ben due volte, l'alto colle dell'Epipoli dal quale era poi sceso verso la città per cingerla d'assedio.

A sud Siracusa era protetta, invece, dalla Natura. Le paludi Lisimelie, oggi bonificate e note con il significativo toponimo di Pantanelli, rappresentavano allora con la loro presenza un serio ostacolo al rapido movimento di truppe e di macchine belliche, oltre al pericolo incombente della malaria.

Secondo lo storico Diodoro Siculo, Dionisio iniziò a rinforzare le difese proprio sul lato nord, facendo erigere in soli venti giorni con l'aiuto di sessantamila uomini un muro lungo oltre cinquemila metri, traendo i materiali necessari dal generoso territorio degli Iblei. Alle spalle del Castello Eurialo, a circa tre chilometri in prossimità del bivio per Priolo e Floridia, uno spettacolare scenario quasi ci suggerisce il luogo della cava dalla quale i Siracusani probabilmente trassero i mastodontici parallelepipedi di calcare, necessari per la grande opera.

Un grande anfiteatro naturale, infatti, formato da numerosi gradini, resti delle antiche falesie marine, preceduto da una larga zona pianeggiante, induce a questa affascinante considerazione.

Spesso la fantasia colma le lacune della Storia. Nelle vicinanze, poi, del luogo l'effettiva presenza di alcune cave, che ancora oggi traggono dalle visceri degli Iblei materiali utili per l'edilizia, accresce la sensazione e la voglia di rivivere con l'immaginazione eventi che si sono svolti in tempi molto remoti.
Naturalmente il muro, seppur poderoso, da solo non sarebbe bastato ad arginare l'assalto dei nemici, se lungo il suo svolgersi non ci fossero stati a supporto della sua difesa dei fortini. Essi erano collegati molto presumibilmente con la fortezza principale e cioè con il Castello Eurialo.

È bello rivivere, attraverso le parole di Diodoro Siculo (XIV 18,2-7) la descrizione della costruzione del muro settentrionale, lungo esattamente secondo le sue testimonianze 30 stadi attici, cioè 5580 metri, che congiungeva l'Epipoli al mare e a cui si sarebbe successivamente saldato il Castello:

«Avendo visto che durante la guerra con Atene la città era stata bloccata da un muro che andava da mare a mare, temeva, in casi analoghi, di venir tagliato fuori da ogni comunicazione con il territorio circostante: vedeva bene, infatti, che la località chiamata Epipole dominava la città di Siracusa. Rivoltosi ai suoi architetti, in base al loro consiglio decise di fortificare le Epipole con un muro, ancora oggi conservato nella zona intorno all'Exapylon (le " sei porte "). Questo luogo, rivolto a Settentrione, interamente roccioso e a picco, è inaccessibile dall'esterno. Desiderando che le mura fossero costruite con rapidità, fece venire i contadini dalla campagna, tra i quali scelse gli uomini migliori, in numero di 60.000, e li distribuì lungo il settore di muro da costruire. Per ogni stadio designò un architetto e per ogni pietra un mastro muratore, a ciascuno dei quali assegnò 200 operai. 6.000 gioghi di buoi erano impiegati nel luogo designato. L'attività di tanti uomini, che si applicavano con zelo al loro compito, presentava uno spettacolo straordinario. E Dionigi, per stimolare l'entusiasmo di questa moltitudine, prometteva grandi premi a coloro che avessero terminato per primi, specialmente agli architetti, poi anche ai mastri muratori, infine agli operai. Egli stesso, con i suoi amici, assisteva ai lavori per intere giornate, ispezionando ogni luogo e facendo sostituire quelli che erano stanchi. In breve, rinunciando alla dignità del suo ufficio, si riduceva a un rango privato, e assoggettandosi ai lavori più pesanti, sopportava la stessa fatica degli altri: ne nacque di conseguenza una grande emulazione, e alcuni aggiungevano anche parte della notte alla giornata lavorativa. Tale era l'entusiasmo di quella massa di lavoratori. Di conseguenza, il muro fu terminato, al di là di ogni speranza, in 20 giorni: esso era lungo 30 stadi, e di altezza proporzionata, e così robusto da esser considerato imprendibile. Vi erano alte torri a intervalli frequenti, costruite con blocchi lunghi 4 piedi, accuratamente giuntati».

La visita del Castello

Ancora oggi, essa è un viaggio a ritroso nel tempo, capace di offrire intense emozioni. Costruito in un tempo relativamente breve, vista la vastità dell'opera, dal 402 al 397 a.C. proprio sull'Epipoli (dal greco "sopra la città") ad ovest di Siracusa, distante appena otto chilometri da Ortigia, è la più grande opera di ingegneria militare della Magna Grecia, il coronamento delle opere difensive volute da Dionisio, che riuscì così a saldare le mura settentrionali con quelle ad ovest della città, per uno sviluppo complessivo di circa trentadue chilometri.

La sua costruzione, come testimoniano i numerosi resti di abitazioni vicine, permise lo sviluppo di un grosso quartiere, l'Epipoli appunto, che insieme agli altri quattro Tyche, Neapolis, Ortigia ed Acradina, rappresentava l'intero territorio urbano, ampio e ben articolato. Secondo certe stime si valuta in oltre trecentomila persone la popolazione complessiva di allora.

Come nel nostro Medioevo, vicino al castello si raccolse una fitta popolazione. In tempi dove i nemici vittoriosi non andavano tanto per il sottile e, una volta effettuata la conquista, si lasciavano andare a saccheggi e massacri, la gente si sentiva protetta nella propria esistenza, nei commerci e nel proprio lavoro dalla rassicurante presenza delle armi. Senza contare che la fortezza, in caso di pericolo, avrebbe potuto anche accoglierli.

Provenendo da Ortigia e salendo verso l'Epipoli si ha la gradevole sensazione di una vista che si allarga, dominando un territorio sempre più esteso e un orizzonte sempre più lontano.

Teatro greco
Teatro Greco

Superato il luogo dove si era sviluppato l'antico quartiere di Neapolis, sopra il Teatro Greco, ed una postazione dell'Aeronautica ormai in disuso, la strada ci conduce ad una delle porte di accesso alla città, lungo le mura occidentali, vicinissima al Castello Eurialo il cui profilo perimetrale meridionale vediamo torreggiare poco più in alto.

I resti delle vecchie mura accanto alla porta ci danno già l'idea del valore di questa cinta muraria. Alberi di ulivo, mandorli e carrubi, oltre a lentisco, lecci ed euforbie abbelliscono, ombreggiandolo, il ripido versante collinare che sale fino al fianco meridionale del castello.

Un ultimo chilometro, ancora alcuni brevi tornanti e finalmente si entra nello stretto difficile parcheggio. L'ingresso al sito, peraltro gratuito, è ombreggiato da un gruppo di pini a destra che nella calura del primo pomeriggio rappresentano un piccolo refrigerio. Custodi seduti e annoiati che sembrano far parte da secoli del paesaggio, nella loro discrezione, quasi non ti degnano di uno sguardo.

Vista parziale delle 2 torri
Vista parziale delle 2 torri

Superata anche questa piccola oasi di verde siamo finalmente di fronte a questo meraviglioso scenario. Se le "parole" in un celebre libro di Carlo Levi "sono pietre", parafrasando quel titolo, in questo luogo si può affermare che le pietre sono ridiventate parole, messaggi consegnati alla Storia dalla moltitudine di uomini che in questo posto vissero e morirono.

Le cinque torri si ergono quasi a puntellare un cielo pieno di una luminosità che ti pervade fino in fondo e ti cattura, facendoti sentire come una lucertola che avanza a passi misurati, crogiolandosi sui sassi scaldati dal sole. Di un biancore abbagliante ti si para davanti come una corazzata pronta a sparare, adagiata sul dorso del crinale che sale dal mare.

Da questa posizione s'intravede a destra la bassa valle dell'Anapo, mentre a sinistra le brutture industriali di Priolo ed Augusta deturpano un paesaggio meraviglioso, costituito dalla linea di costa che s'inarca verso il Golfo di Catania con l'Etna, maestoso e incombente sulla città. Ancora più in fondo la costa alta di Taormina e nei giorni di vento è visibile perfino la striscia sottile della Calabria.

È bello sostare ad ammirare gli spalti e i fossati antistanti. Tutta la visita del Castello, già di per sé faticosa per i continui saliscendi, andrebbe fatta senza premura, soffermandosi nei numerosi punti dove il gioco delle forme e gli spazi dilatati e immensi del cielo e della terra offrono sensazioni di profondo benessere.

Lontani da rumori, nel silenzio di queste mura si coglie la profonda sensazione di un benessere che ti pervade, senti solo la brezza che sale dal mare e fa oscillare i teneri culmi delle erbe già secche. I cardi spogliati ed arcigni sembrano soldati chiusi nelle loro armature di bronzo e nelle forme scultoree ed aguzze dei loro steli e delle loro spine.

Ingresso al castello
Ingresso al castello

Penetriamo nel castello attraverso una porta presente sul fianco nord al livello del terzo ed ultimo fossato, il più grande, e ci sentiamo subito sprofondati in una realtà facilmente immaginabile.

Un corridoio, parallelo al fossato e scavato nella viva roccia a sinistra, mostra per tutta la sua lunghezza più finestre d'accesso con spioventi litici che, ombreggiando l'interno, permettevano al difensore nascosto di colpire e infilzare il nemico che, abbagliato dal sole, si fosse imprudentemente parato davanti.

Ingresso al fossato
Ingresso al fossato

Ad un capo del corridoio a sinistra, l'inizio di una buia galleria, scatena la nostra fantasia su possibili passaggi segreti. Continuiamo a percorrerlo fino a quando, sempre sulla sinistra, un'altra galleria stavolta in salita ci attira con la sua fioca luce solare giù in fondo.

Nella tenera ma solida roccia calcarea i percorsi tortuosi permettevano di organizzare trappole ed agguati contro improvvidi nemici. Questa galleria, infatti, ci conduce in uno stretto pianoro, racchiuso tra le due fila di mura, poste sul versante meridionale della fortezza.

I soldati nemici che fossero arrivati qui allo scoperto, presi dall'impeto, si sarebbero trovati accerchiati da difensori agguerriti e determinati. Sfruttando una prominenza della parete rocciosa, una porta nascosta sul fondo permetteva ad altri soldati di completare l'accerchiamento.

Una galleria
Una galleria

Tutti i percorsi erano stati progettati e costruiti nel tentativo ovvio di ostacolare il nemico, cercando di canalizzarne l'avanzata, spingendolo verso luoghi ristretti facili da difendere.

Attraverso questa porta raggiungiamo il recinto superiore e da lì il centro della fortezza a ridosso delle cinque torri che, seppur dirute, rimangono fedeli testimoni di un passato glorioso.

Qui non è difficile immaginare le grida e le voci che accompagnavano, inevitabilmente, gli assalti dei nemici, tesi ad occupare una fortezza che nel loro tentativo di conquistare la città, avrebbe sempre rappresentato una spina nel fianco, potendo essa contenere tremila soldati e seicento cavalieri.

Percorriamo nel recinto l'ultimo tratto che ci porta verso la sua estremità, la punta sottile del "chiodo", rivolta ad est verso Siracusa e il mare. Sembra la prua di una nave che naviga in un mare di storia. Man mano che ci si avvicina all'estremità, la vista s'allarga fino a dominare l'intera vallata che circonda la città e il suo porto che si stagliano in fondo all'orizzonte, testimoni di passate civiltà e speranze di future generazioni.

Tino Insolia